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C’è un’apprezzabile e ben articolata analisi storica e sociale, di un paio di pagine, sul ”graffitismo” e anche un più difficile ma coraggioso ragionamento sul concetto di arte, ma anche sulla ”componente” di puro ”vandalismo”, entrambi presenti nel cosiddetto ”fenomeno del writing”, che trova le sue origini nella ”sottocultura dei ghetti newyorkesi”. Non è un saggio di Vittorio Sgarbi, ma sono le interessanti motivazioni (potete leggerle nella sezione ‘Documenti’) della sentenza del gup di Milano Alessandra Clemente che, lo scorso settembre, ha condannato per associazione a delinquere, per la prima volta in Italia, due giovani che armati di bomboletta spray hanno riempito la città di ‘tag’: quelle firme o sigle stilizzate che inondano di vernice i muri dei palazzi e le saracinesche della metropoli. Che facciano schifo è probabilmente un dato oggettivo, extra-processuale.
Il giudice, però, spiega che non sempre è stato così e che un tempo anche nel ‘writing’ c’era ”un’etica che lasciava intatti i monumenti, le zone storiche e i disegni di altri writers”. Ora, aggiunge, ”sui muri e sui mezzi della città, salvo poche eccezioni”, che sono i veri e propri dipinti della ‘street art’, ”si vedono solo firme senza nessuna velleità artistica, degli scarabocchi finalizzati solo a far conoscere il nome del writer e ad ‘occupare il territorio”’. Restano i ”danni per i cittadini”, costretti a pagare, anche con le tasse, per ripulirsi i muri. Da qui l’accusa di ”deturpamento e imbrattamento di cose altrui”, che non fa una piega.
Più difficile accettare la novità ‘storica’ della sentenza, ossia il riconoscimento dell’associazione per delinquere. C’era proprio bisogno di classificarli al pari di una banda di delinquenti? In realtà, il gup sul punto fornisce una serie di elementi, non solo sociali in questo caso, ma soprattutto giuridici per confermare la tesi dei pm Riccardo Targetti e Cristian Barilli. In sostanza, i due ragazzi, assieme ad altri, alcuni minorenni all’epoca dei fatti, hanno fatto parte, secondo il gup, di un ”gruppo di persone” legate tra loro da un interesse ”illecito”, quello di insozzare la città. Una ‘crew’ di ragazzi in ”continua e costante comunicazione” sui social network, base ”virtuale” per pubblicare le loro ‘imprese’ ”in sfregio” anche alle norme del ”vivere civile”. Diciamo che per fortuna i due imputati, assistiti dai legali Laura Colognese e Sabrina Crispino, si sono fatti perdonare mettendosi a disposizione per 800 ore di lavori socialmente utili. Così quell’accusa pesante, degna di ben altri contesti criminali, si è risolta con una pena sospesa di 6 mesi, grazie alle attenuanti. (Roger Ferrari)