Chi parla di una violenza sessuale subita non ha certo voglia di farlo a voce alta. E se i microfoni non funzionano bisogna ripetere più volte le stesse cose e i processi diventano lenti, così impacciati da violare la recente direttiva del Csm che impone una ‘corsia’ più veloce per i procedimenti in cui si contestano reati di genere.
Per questo il giudice Mariolina Panasiti, che presiede la nona sezione penale davanti alla quale si celebrano questo tipo di processi, sta combattendo da qualche tempo una battaglia contro i microfoni ‘silenziosi’. Nelle aule 9, 9 bis e N del Tribunale di Milano, come è facile appurare per chiunque ci metta piede, i microfoni non amplificano e non registrano le voci delle parti in causa. Il risultato è che i dibattimenti proseguono da diversi mesi con grandi difficoltà perché chi parla è costretto a dover ripetere molte volte le proprie dichiarazioni. Panasiti ha per due volte, nel giro di poche settimane, messo a verbale i problemi che derivano da questa situazione e, durante un’udienza che si è svolta ieri, anche gli avvocati delle parti e il pm Rosaria Stagnaro si sono associati alla sua richiesta di adottare delle soluzioni. Entrambi i verbali sono stati inviati al Presidente della Corte d’Appello, al Presidente del Tribunale e al Procuratore Generale, i quali al momento non hanno fatto pervenire alcuna risposta alle sollecitazioni.
Il giudice sostiene che “la carenza di microfoni e di impianti di amplificazione rallenta notevolmente l’attività giudiziaria” in contrasto con la direttiva del Csm e fa anche presente che “parte civile, difensore e pm dispongono, in banchi diversi, di un unico microfono che per il suo funzionamento, ancorché precario, ha necessità di essere sostenuto da basi di appoggio tra i codici o i supporti di plastica occasionalmente reperiti”. (manuela d’alessandro)