giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

I ‘tappabuchi’ della giustizia
Chiamati per 8 giorni al mese

Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.

Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.

Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere. Continua a leggere

Sospesi gli affidamenti diretti Expo per la giustizia milanese
Il verbale che svela il clamoroso cambio di rotta.

Ci eravamo lasciati con una domanda (Le carte degli appalti Expo senza gara): perché  gran parte del ‘tesoretto’ dei fondi Expo assegnato alla giustizia milanese è stato distribuito con una pioggia di affidamenti diretti e non con gare pubbliche?

LA SVOLTA.

Qualche giorno dopo la pubblicazione di quell’articolo, tutti i vertici dell’amministrazione giudiziaria milanese si sono riuniti coi rappresentanti del Comune e del Ministero per fare il punto sui 16 milioni di euro complessivi che, in nome dell’Esposizione Universale, sono stati destinati al Palazzo.

Ed è arrivata una sorprendente svolta: da adesso in poi, e per quel che resta da spartirsi, niente più affidamenti diretti, solo gare pubbliche. Con retromarce repentine sui contratti per alcuni lavori che appaiono dettate sia dall’improvvisa attenzione mediatica sul tema, sia dalle ‘pretese’ di una parte degli uffici giudiziari (Procura Generale e Corte d’Appello)  rimasti esclusi della spartizione dei soldi e che ora reclamano la loro fetta. In concreto, ciò significa che per l’inizio di Expo, maggio 2015, salvo miracoli, il previsto maquillage del Palazzo non sarà completato perché le gare richiedono molto più tempo rispetto alla procedura sprint degli affidamenti fin qui adottata.

UNA RIUNIONE MOLTO TESA.

E’ il 10 ottobre e nell’elegante stanza della Corte d’Appello l’aria si fa subito gelida. Il ‘padrone di casa’, il Presidente Giovanni Canzio, esordisce affermando che  da febbraio era stato da lui invano atteso e sollecitato più volte un incontro sui progetti di informatizzazione finanziati coi fondi Expo.  Le parole che leggiamo nel verbale dell’incontro, di cui siamo entrati in possesso (Il verbale della riunione sui fondi Expo), fanno immaginare volti,  sguardi e toni di chi sta giocando non una partita comune sotto l’egida di Expo ma una corsa dove ognuno sembra andare per la propria strada.  Non a caso, il termine che si lascia sfuggire più spesso nei suoi interventi il Presidente della Corte Giovanni Canzio è “disallineamento” e la sua continua esortazione è quella a una maggiore “serietà” da ora in avanti.  Espressioni che evocano con toni diplomatici gli aspri contrasti nel conclave di chi decide le sorti dei fondi.

Dei 16 milioni destinati alla giustizia ambrosiana, 10 sono già stati assegnati con il primo e il secondo finanziamento attraverso una raffica di affidamenti diretti di cui ha beneficiato soprattutto il Processo Civile Telematico; ne restano circa 6,  da distribuire nell’ambito della terza e della quarta tranche programmate nel 2010 quando l’”oro” di Expo ha cominciato a circolare nel Palazzo.

LA RIVELAZIONE.

Tocca a Laura Tragni, segretario generale della Corte d’Appello, svelare due freschissimi cambi di programma nella gestione dei soldi Expo.  Dalla lettura dell’ultimo rendiconto, spedito dal giudice Claudio Castelli alla Commissione qualche giorno prima della riunione, Tragni ha appreso “con stupore” che è stata prevista una gara europea per l’utilizzo dei fondi Expo destinati a Unep (Uffici Notificazioni Esecuzioni e Protesti) per la Corte d’Appello.  Un progetto che dovrebbe rendere elettroniche le notifiche dei provvedimenti giudiziari. “E’ stata una doccia fredda”, “qualcosa di assolutamente diverso da quanto mi era stato comunicato nel luglio di quest’anno”, lamenta, sottolineando che il ricorso alla gara europea dilaterà di molto i tempi per Unep.  A luglio, questa è la ricostruzione offerta dalla rappresentante della Corte d’Appello, era già stata individuata la società che, col solito meccanismo dell’affidamento diretto, avrebbe dovuto occuparsi del progetto ed erano “già state acquisite le valutazioni di congruità tecnico – economica”. Adesso però si è deciso che è tutto da rifare, e questa volta con la gara europea, quella che garantisce la massima ‘democrazia’ nella scelta del contraente.

E questo non è l’unico cambio in corsa che ha sconcertato la dottoressa Tragni. “Il secondo profilo di preoccupazione” espresso dalla segretaria – si legge infatti nel verbale – nasce da un confronto tra il rendiconto di settembre, dove spunta, a pagina 1 del Prospetto delle acquisizioni da commissionare relative al terzo finanziamento, accanto alla voce riguardante il Processo Civile Telematico (del consistente importo di 1 milione e 400mila euro) l’indicazione ‘Ricevuta offerta e congruità. In sospeso per inoltro criticità su affidamento’”. Tragni definisce “allarmante” il fatto che all’improvviso sia stata bloccata la procedura dell’affidamento diretto per un settore “nevralgico e sofferente” come quello fallimentare dove il processo telematico sta creando molti problemi.

Il direttore del Settore Uffici Giudiziari per il Comune, Carmelo Maugeri, e la Direttrice Generale del Dgsia (Direzione Generale per i Sistemi Informativi del Minstero della Giustizia), Daniela Intravaia, spiegano a Tragni che “3 lotti andranno in gara pubblica, non trovando altrimenti giustificazioni tecniche” e che non ci sono i presupposti per utilizzare l’articolo 57 comma due del codice sugli appalti, quello che consente di fare affidamenti diretti allo stesso fornitore già in precedenza individuato da un’amministrazione. Proprio quell’articolo di legge in nome del quale sono stati distribuiti diversi milioni di euro targati Expo, alcuni dei quali proprio a quella NetService che, anche in questo caso, sembrava essersi accaparrata l’affidamento diretto prima della sospensione. Il nuovo scenario non convince la segretaria della Corte d’Appello che insiste: perché all’inizio queste “criticità” sugli affidamenti diretti non erano state evidenziate?

Le sorprese non sono finite.  Anche Intravaia si lascia andare a una rivelazione interessante: per la prima volta l’organo di controllo interno dell’articolazione ministeriale da lei diretta ha mosso un rilievo interno “sul perché ci si è appellati alla continuità tecnologica dell’articolo 57 sul contratto fatto al loro abituale fornitore Net Service”. A questa società erano stati assegnati due affidamenti diretti per la realizzazione del Processo Civile Telematico invocando la “continuità tecnologica” che adesso viene messa in discussione.  Continua a leggere

La carte degli appalti Expo senza gara per Tribunale.
A chi e perché sono finiti i fondi per la giustizia milanese

 

Abbiamo trovato negli uffici del Comune di Milano le carte (consultabili qui: Documenti appalti Expo e Documenti appalti Expo 2) che giustificano gli affidamenti diretti a imprese beneficiarie dei fondi Expo per migliorare la giustizia milanese. Un  bel ‘tesoretto’ di diversi milioni di euro  che è stato distribuito a fortunate aziende o enti scelti senza una gara, diremmo quasi ‘sulla fiducia’.  La legge prevede questa possibilità anche per appalti al di sopra dei 40mila euro, la soglia sotto la quale i contraenti fanno un po’ quello che vogliono, senza bisogno di una competizione. Ma se si scavalca l’asticella dei 40mila euro l’affidamento diretto è un’eccezione e bisogna spiegare molto bene perché non si faccia la gara, con “adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre”.  Seguiteci nel nostro viaggio che ha cercato di rispondere, appalto per appalto, alle domande che ci eravamo posti nei giorni scorsi (inchiesta-milioni-di-fondi-expo-per-il-tribunale-assegnati-senza-gara-perche). Ma ve lo diciamo subito: più che trovare risposte abbiamo trovato nuove domande, che giriamo agli interessati. Senza pregiudizio, ma con molta curiosità.

FACCIAMO BELLO IL SITO DEL TRIBUNALE

Perché sono toccati proprio alla Camera di Commercio trucchi e pennelli per fare il maquillage del sito internet del Tribunale di Milano e la ‘regia’ per sviluppare l’intranet (la rete informatica del Palazzo)? E perché è stata prescelta senza gara per ricevere a questo scopo 265.295mila euro di fondi Expo? Nella determinazione dirigenziale datata 23 maggio 2013 col timbro di Palazzo Marino, si fa riferimento al dlgs. 163 del 2006, la norma del codice degli appalti che prevede l’affidamento diretto come ipotesi percorribile solo in casi puntuali. I funzionari non indicano in base a quale articolo di questa legge, richiamata solo in modo generico, la scelta sia caduta sulla Camera di Commercio. Il documento è tuttavia chiaro nello spiegarci le caratteristiche che deve avere chi desidera  questo contratto: “l’implementazione dell’intranet nonché la realizzazione del nuovo sito deve avvenire, vista la particolarità del sito utilizzatore, a cura di un operatore economico in grado di garantire la massima segretezza e riservatezza soprattutto in ordine alle notizie di cui verrà a conoscenza necessarie al fine di realizzare quanto richiesto”.
Bene. Allora uno s’immagina che vengano lodate le capacità di mantenere i ‘segreti’ da parte della Camera di Commercio. Invece i dirigenti spiegano così i passaggi che portano all’individuazione dell’ente. “Gli Uffici Giudiziari del Palazzo hanno comunicato che da tempo è in essere un rapporto istituzionale consolidato tra gli stessi uffici e la Camera di Commercio in ordine all’esecuzione di attività varie”.

Questo rapporto in realtà, non era tra tutti gli uffici giudiziari bensì solo tra il Tribunale e la Camera di Commercio. Restavano fuori quindi Procura, Procura Generale, Corte d’Appello. Ma cosa riguardava esattamente questa collaborazione? Qualcosa che ha messo in luce la capacità della Camera di Commercio di mantenere i segreti? Non proprio. La convenzione del 23 luglio 2008 “è dedicata principalmente all’informatizzazione dell’iter delle procedure concorsuali ed è stata integrata con addendum specifico per la gestione della pubblicità delle aste. Questa collaborazione – si legge nel foglio – ha consentito al Tribunale di usufruire di alcuni importanti servizi della Camera, tra cui la diffusione delle informazioni relative alle procedure concorsuali pendenti”. Quindi, la Camera di Commercio viene scelta come operatore in grado di garantire la segretezza perché ha dimostrato di essere brava a dare pubblicità alle aste? Eppure questo è il know how “specifico” indicato nel documento di Palazzo Marino di cui è in possesso la Camera “all’interno di organizzazione complesse come può essere il Tribunale di Milano”.

Sia il sito della Procura che quello della Corte d’Appello sono stati invece realizzati gratis, con risorse interne all’ufficio il primo e con l’aiuto di AsteGiudiziarie. spa il secondo.

CHI MANOVRA LA CONSOLLE DEL MAGISTRATO?
Ed eccoci a uno dei ‘piatti’ più succulenti alla tavola giudiziaria di Expo: milioni di euro per i lavori necessari a mettere a punto la consolle del magistrato, il software che dovrebbe proiettare le toghe nell’era 2.0.  e, più in generale, utile allo sviluppo degli strumenti del Processo Civile Telematico.  Sono quattro le tranches di denaro uscito dal ‘cappello’ di Expo che vengono assegnate a questo fine e tutte se le aggiudicano Elsag Datamat  e Net Service, società entrambe nel ‘regno’ di Finmeccanica.

1) A Elsag Datamat finiscono con affidamento diretto 959.952 mila euro del primo finanziamento Expo. Vediamo qual è l’asserita “adeguata motivazione”  per evitare la gara. Nella delibera del 26 novembre 2010 viene spiegato che la Datamat spa già il 28 luglio 2002, quando Expo era un miraggio, aveva vinto una gara europea per costruire l’”infrastruttura tecnologica” della consolle. In seguito a quella gara, il Ministero della Giustizia aveva sottoscritto nel 2003 un contratto con Datamat che poi si era fusa con Elsag. E tanto basta per far dire al Comune, 7 anni dopo, che il contratto va rinnovato a quella che nel frattempo è diventata  Elsag Datamat “per ragioni di natura tecnica”.

L’articolo di riferimento è il numero 57 comma 2 lettera b del codice degli appalti per cui è possibile l’affidamento diretto “qualora per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente a un operatore economico determinato”. Quali siano le “ragioni di natura tecnica” per cui solo Finmeccanica era in grado di effettuare la prestazione non viene esplicitato in questa sede.

2) Con identica motivazione contenuta nella determinazione dirigenziale del 24 gennaio 2011 viene affidato direttamente un altro gruzzoletto da 958.620mila euro sempre a Elsag Datamat, ancora una volta da destinarsi alla consolle del magistrato e al processo civile telematico.

3) Stesso scenario per il 1.264.147,50 euro del secondo finanziamento che viene affidato alla società bolognese Net Service srl per il processo civile telematico. Ancora spicca il riferimento all’articolo 2 lettera b dell’articolo 57 per giustificare l’affidamento diretto e quello alla gara Ue di molti anni prima. Nella determina dirigenziale, notiamo anche che l’amministrazione comunale affida il denaro a Net Service su richiesta del Dgsia (Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati), previo rilascio di un parere favorevole dello stesso Dgsia.

4) Anche una fetta del terzo finanziamento viene utilizzata per migliorare la consolle del magistrato e il processo civile telematico. Per l’esattezza 631.960mila euro sono assegnati con affidamento diretto a Net Service. Nella determinazione dirigenziale del 7 novembre 2013 si fa anche un cenno all’esistenza del  ”cruscotto del Presidente che consente al capo dell’Ufficio di esercitare un monitoraggio costante e proattivo dei singoli fenomeni di interesse”. Tutto e sempre in ne della “ragioni tecniche” indicate nel codice degli appalti che determina l’eccezione alla regola della gara.

A questo punto viene da chiedersi: il Processo Civile Telematico funziona? E’ ovvio che un’innovazione così epocale ha bisogno di tempo per esprimere al massimo le sue potenzialità però fa impressione leggere in un recente  documento ufficiale dell’Anm di Milano che il “Pct attualmente dipende e si fonda su un parco macchine di estrema fragilità e su dotazioni software incomplete e inadeguate allo sfruttamento completo delle potenzialità dello strumento”.  (il-processo-civile-telematico-piu-lento-di-quello-cartaceo-e-poco-efficiente-nonostante-i-fondi-expo)

 

IL SOFTWARE E’ MIO E ME LO GESTISCO IO
Un altro affidamento diretto è quello del giugno 2011 da 40mila euro concesso a Tecnoindex spa per il “sistema di gestione Easy Doc Portal” e l’evoluzione del sistema “Giada”. Tecnoindex è la società che si è aggiudicata l’appalto informatico per la Camera dei Deputati e dietro alla quale ci sarebbe, come risulta da fonti aperte (‘Il Fatto Quotidiano’, 2 novembre 2011), Giuseppe Bonifacino, già coinvolto in Mani Pulite. Anche qui sembra che a determinare la partita abbia giocato un ruolo clou il Cisia, un’articolazione del Ministero a livello locale, i cui “rapporti” vengono indicati nella determina come decisivi per la scelta di questa società “che possiede un approfondito know how e, fra l’altro, risulta essere il produttore e manutentore del software utilizzato”.
Nel 2014, la RedTurtle Technology, sempre con affidamento diretto, si porta a casa circa 30mila euro con affidamento diretto per l’”evoluzione del sistema gestionale Easydoc Portal”. E’ la stessa RedTurtle – leggiamo – a inoltrare “direttamente agli uffici del Tribunale la proposta tecnico – economica”. Dunque, il beneficiario ente pubblico (Tribunale) riceve dal privato contraente la proposta.

PG E CORTE D’APPELLO, “NOI NON C’ENTRIAMO NULLA CON QUESTI APPALTI”.

Torniamo al punto di partenza del nostro viaggio. I fondi Expo in teoria dovrebbero servire per rendere più efficiente agli occhi del mondo la giustizia milanese e, in particolare, a permetterle un salto nel futuro col Processo Civile Telematico. Nelle carte che abbiamo avuto modo di vedere sembra che dalle scelte contrattuali che hanno portato a diversi affidamenti diretti siano stati esclusi Corte d’Appello e Procura Generale.  Siamo andati a chiedere ai diretti interessati.

“Noi abbiamo detto che non ci interessava come venivano destinati questi soldi e l’abbiamo fatto capire per vie di fatto, non andando alle riunioni”, ci spiega l’Avvocato dello Stato, Laura Bertolé Viale. Netta anche la posizione espressa da Giovanni Canzio, Presidente della Corte d’Appello: “Noi e la Procura Generale – afferma – siamo stati completamente estranei alla fase contrattuale. Abbiamo solo indicato le nostre necessità”. “Il nostro sito – risponde Canzio a una domanda sull’affidamento diretto alla Camera di Commercio – ce lo siamo fatto noi e anche gratis. Non solo non sappiamo niente di questi contratti ma niente ne vogliamo sapere. Questo deve essere chiaro perché la conoscibilità delle cose, in generale, implica delle responsabilità. Come mai il Tribunale è così presente nelle carte? Chiedetelo a loro….”. 

(manuela d’alessandro)

 

Guerra in Procura al Csm
‘Indignato Jo’ in via Freguglia
con tarallucci e vino

Noi del suo parere teniamo sempre conto. Perché la sua è una visione ‘laterale’, frutto della forma mentis di chi conosce la Procura come le sue tasche ma non risponde esattamente alle logiche della quotidianità tribunalizia. Ebbene, Giorgio Dini Ciacci, sabato scorso, si è presentato all’ingresso di via Freguglia così.

Ha provato a entrare ma lo hanno fermato al metal detector di via Freguglia. Meglio di un editoriale. Il modo più diretto per esprimere la previsione sul finale della lunga guerra in Procura tra Bruti Liberati e il suo aggiunto Robledo. Come andrà a finire al Csm? Prima ancora che si conoscesse il contenuto delle proposte della prima e della settima commissione, l’Indignato Jo aveva già detto la sua. Con tarallucci e vino.

Tao Scatenato fa tutto da solo
Falsifica un legittimo impedimento e si smaschera
Dieci mesi, per lui neanche le generiche

Un po’ pasticcione, ma l’audacia non gli manca mai. Per questo è il numero uno. Da avvocato o da imputato, poco cambia, Carlo Taormina mena sempre colpi micidiali. Qualche volta per se stesso. E’ Tao Scatenato.

Vi avevamo raccontato qui della sua recente condanna a dieci mesi. Tutto per un legittimo impedimento non esattamente legittimo, corredato da un piccolo falso. La storia è ancora meglio di quanto credessimo. Perché leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre che il Taormina ha combinato tutto da solo: tenta un trucchetto, si accanisce contro un giudice e si smaschera da solo. E così rimedia la condanna.

L’8 maggio 2009 invia un fax al Gup di Milano Giorgio Barbuto con un’istanza di legittimo impedimento. Chiede il rinvio dell’udienza del 15 maggio, in cui sarà imputato per diffamazione ai danni dell’ex procuratore di Aosta Maria Del Savio (le loro strade si erano incrociate nell’inchiesta sul delitto di Cogne). Avvisa che gli sarà impossibile essere in udienza dovendo quello stesso giorno difendere, come unico difensore, un imputato per droga in Sardegna. E allega la citazione della Corte d’Appello di Cagliari.
Il 13 maggio Taormina “trasmetteva segnalazione al Presidente del Tribunale di Milano e al Presidente dell’Ufficio Gip nella quale evidenziava che il suo difensore – nel corso di un colloquio del 12 maggio – aveva percepito che il magistrato, che si era riservato di decidere in udienza, avrebbe potuto non ritenere valido l’impedimento addotto”. Il Tao-legale-imputato lamentava, si legge nelle motivazioni, “la particolare attenzione al processo che lo riguardava da parte del Gip e una ‘solerzia’ così accentuata da parte del magistrato che se avesse riguardato tutti i processi di Milano avrebbe consentito ‘l’eliminazione di ogni più pesante arretrato’”. Insomma Taormina calca la mano sul povero Gip Barbuto. Passa all’attacco: “l’atteggiamento del dott. Barbuto si configurerebbe in caso di celebrazione dell’udienza, illegittimo e inopportuno in quanto per un verso pregiudizievole per l’esercizio del diritto di difesa e per un altro non adeguato alla trattazione di una constroversia penale di non eccessivo rilievo, se non fosse che controparte del sottoscritto siano due magistrati”. Altra bordata. (Saggio è chi evita di attaccare un giudice per la sua solerzia nel celebrare un processo con altri magistrati in veste di parte civile). Ai due presidenti, allega di nuovo la citazione. Solo che questa volta compare un nome che invece non compariva in quella spedita al giudice Barbuto. Compare un codifensore di Taormina nel processo sardo. Mannaggia. E che è successo? Per il Tribunale di Milano, è successo che dell’originale era stata fatta una prima fotocopia oscurando il nome del codifensore. Mentre ai due presidenti era arrivato per fax l’originale. Fatto il confronto, svelato l’inganno. Continua a leggere