giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Fondi Expo giustizia, il gip di Trento archivia tutto

Ha attraversato città, lagune e monti il fascicolo sui fondi Expo assegnati alla giustizia milanese. Senza un’iscrizione nel registro degli indagati, senza un’attività investigativa visibile all’esterno. Alla fine, nella pace delle montagne trentine, a pochi passi dal confine italiano, ha trovato requie dopo un solo anno di vita. Il gip di Trento ha archiviato il fascicolo dell’inchiesta sulle presunte irregolarità nella gestione da parte del Comune di Milano e dei magistrati di una decina di milioni di euro destinati per lo più al processo informatico. Non è colpa di nessuno se da anni i monitor comprati coi soldi pubblici (appalto da quasi due milioni) rimandano solo buio e silenzio e non le indicazioni al cittadino su come orientarsi nel Palazzo, com’era stato promesso. E se la maggior parte del tesoro è  stato distribuito con affidamenti diretti e non con gare pubbliche può forse destare stupore ma non suggerisce, nemmeno a titolo di ipotesi, un reato. Nella primavera di un anno fa, l’Anac, ‘bastonata’ ieri dal procuratore Francesco Greco per i ritardi nella trasmissione delle segnalazioni, aveva presentato un esposto a Milano. Molto tempo prima, notizie di stampa nel 2014 avevano avanzato dubbi sull’utilizzo di questi soldi, ma a nessuno è venuto in mente di fare approfondimenti.  Fatto sta che i pm si sono accorti dopo un po’ di mesi che non potevano tenere le carte a Milano perché potenzialmente erano coinvolti dei loro colleghi seduti al tavolo attorno al quale si decideva la spartizione dei fondi. Atti a Brescia, allora, dove però il presidente delle Corte d’Appello è Claudio Castelli che a Milano da gip di era occupato del processo digitale. Tutto a Venezia ma anche qui si è scoperto che c’era un magistrato forse coinvolto nella vicenda. Infine, l’approdo a Trento, procura guidata dall’ex milanese Sandro Raimondi. Titoli di coda. Resta da attendere la Corte dei Conti che sta compiendo gli accertamenti di sua competenza prima di tirare una linea definitiva dal punto di vista giudiziario su una storia che dietro di sé lascia comunque molte perplessità.

(manuela d’alessandro)

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La sentenza dei giudici di Trento: per essere buoni genitori non contano né il seme né il sesso

Nei paesi civili di regola, ma sarebbe anche previsto dalla nostra Costituzione, il potere legislativo scrive le leggi e quello giudiziario le applica. Per numerose ragioni, che qui è inutile ricordare, da molti anni in Italia non funziona così, e ormai ci siamo abituati alla “supplenza” del magistrato alle lacune del legislatore. Per cultura e indole personale questo andazzo mi piace molto poco quando si manifesta in materie come il diritto penale, però vanno riconosciuti, ai giudici nostrani, molti meriti nel campo invece dei cosiddetti diritti civili.

Del resto, di fronte ad un legislatore che su tali tematiche sembra arenato su logiche medievali, e basti pensare alla recente e sconcertante vicenda di Fabiano Antoniani, ben vengano anche pronunce giudiziarie più “creative”, se utili a rimuovere discriminazioni a dir poco incomprensibili. E’ di ieri la notizia di una decisione della Corte di appello di Trento, diventata in breve virale su tutti i media come “La sentenza dei due papà”. In realtà la Corte ha semplicemente riconosciuto ad una coppia omosessuale, formata da due uomini, la possibilità di trascrivere anche in Italia un provvedimento estero che riconosceva a entrambi un legame genitoriale con due gemelli, nati mediante maternità surrogata. Perché sia chiaro, i giudici di Trento non hanno affatto introdotto anche in Italia la pratica, da noi vietata, dell’utero in affitto, secondo quella definizione un po’ becera ieri riportata da molti, ma si sono limitati a riconoscere validità ad un provvedimento di uno Stato estero, che statuiva secondo legislazione locale.

In pratica, preso atto di un fatto storico accaduto altrove, dove tale pratica è consentita, si doveva unicamente decidere se la conseguente attribuzione di paternità a entrambi, sempre avvenuta altrove, fosse in contrasto o meno con l’ordinamento italiano. E sul punto la Corte ha giustamente osservato che “nel nostro ordinamento il modello di genitorialità non è esclusivamente fondato sul legame biologico” come dimostra, si legge: “la favorevole considerazione al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, con l’istituto dell’adozione”. Ragion per cui, scrivono i giudici di Trento, se “il concetto di responsabilità genitoriale si manifesta nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato”, non vi è ragione per non riconoscere efficacia di genitorialità anche “in assenza di un legame genetico”. Applicando pertanto il principio stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione del 2016, la Corte ha dichiarato trascrivibile anche in Italia l’atto di nascita redatto all’estero.

Il ragionamento non fa una grinza. Posto che il partner di quella coppia avrebbe potuto tranquillamente diventare padre adottivo dei due gemelli sposando la madre surrogata, non vi è ragione per ritenere che non lo possa diventare sposando invece l’altro genitore biologico, sol perché di sesso maschile. Ma quello che a mio parere riveste grande importanza è il principio per cui non basta generare un figlio per essere buoni genitori.

L’effettiva idoneità a quello che è forse il “mestiere” più difficile del mondo, infatti, si misura dopo, ossia nella effettiva capacità di crescere e allevare quel figlio. Questo dovrebbe fare riflettere anche tutti quei “benpensanti” nostrani, che puntualmente, come in occasione della mancata approvazione della stepchild, soloneggiano sulla necessità che ad allevare un bambino siano per forza un uomo e una donna. Se il compito di un genitore è quello di fare crescere un figlio con amore e attitudine educativa, così come non conta il seme di provenienza, non dovrebbe contare neppure il sesso. Fatto peraltro, dato da anni per pacificamente assodato in molta parte di mondo, e soprattutto in quella che ci piace molto spesso copiare, ma evidentemente per la Coca Cola e i Mac Donald gli americani vanno bene, ma, come si diceva una volta: “non toccatemi la famiglia”.

avvocato Davide Steccanella