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Su Sky documentario su tortura a difesa della democrazia
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Moro, l’archivio sotto un dominio pieno e incontrollato
Oggi un anno. Un anno fa il sequestro. Il sequestrato si trova sotto un dominio pieno e incontrollato. Parafrasiamo quanto scrisse Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse perché a essere sequestrato l’8 giugno del 2021 fu l’archivio del ricercatore Paolo Persichetti sulla base di presunte molto presunte violazioni di segreti. Che infatti sono state escluse dal perito nominato dal giudice secondo il quale nell’archivio del ricercatore indipendente non c’erano atti coperti da segreto della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.
Ma nonostante ciò l’archivio non è stato dissequestrato. Sono state resitituite solo due pendrive che tra l’altro non c’entravano nulla con Persichetti.
L’archivio come dicevamo resta sotto il dominio di un’operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica, la corrente “di sinistra” alla quale appartengono sia il pm Eugenio Albamonte sia il gip Valerio Savio. L’indagine insomma continua, è senza confini, sempre a caccia di improbabili complici di misteri inesistenti relativi a servizi segreti di mezzo mondo che sarebbero stati dietro le Br per i fatti di via Fani.
È una storia assurda che si spiega solo con la politica, attività a cui la magistratura italiana da tempo immemore dedica molto tempo e tantissime energie.
L’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era caduta praticamente subito. Del resto parliamo di una indagine nata a Milano su presunti favoreggiatori della latitanza di Cesare Battisti, archiviata senza neanche perquisire Persichetti come aveva chiesto la polizia. Il fascicolo è stato preso in carico a Roma dalla procura già nota per aver preso il Dna dei condannati per la strage di via Fani e altre persone a oltre 40 anni dagli accadimenti.
Paradossalmente la ricerca storica indipendente pur avendo raggiunte le stesse conclusioni di cinque processi (dietro le Br c’erano solo le Br) viene criminalizzata. Siamo nel paese dove la Fondazione Flamigni che da decenni spaccia bufale dietrologiche sul caso Moro riceve finanziamenti pubblici. Dove il presidente della Repubblica ripete ossessivamente di ricercare la verità come se non avesse in qualità di capo del Csm il dovere di prendere atto degli esiti processuali.
La caccia alle streghe continua. Il sequestro dell’archivio tra l’altro impedisce l’uscita del secondo volume della storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Una sorta di censura preventiva. È tutto nel silenzio dei mezzi di informazione che di questa “strana” indagine non hanno mai sostanzialmente scritto al di là di qualche lodevole eccezione (frank cimini)
Caso Moro, siamo passati dai misteri ai miracoli
Nel caso Moro siamo passati dai misteri inesistenti ai miracoli che si verificano. È comparsa improvvisamente una strana figura di cui mai si era avuto sentore in passato, quella di un tecnico del suono che come secondo lavoro per arrotondare fa il vice procuratore onorario al tribunale di Roma. Si chiama Mario Pescilavora per la Pantheon Sel che fornisce servizi tecnici a Radio Radicale. In sostanza si tratta di fare le registrazioni che l’emittente commissiona.
Pesce era stato incaricato di registrare il 12 maggio scorso il dibattito relativo alla presentazione del libro di Paolo Persichetti “La polizia della storia” sulle fake news del caso Moro e sulla vicenda del sequestro dell’archivio più pericolo del mondo.
Pesce era stato riconosciuto e mostrava di non gradire la circostanza e nemmeno la sua presenza sul posto. Avrebbe potuto chiedere di farsi sostituire. Mario Pesci invece andava a farsi un giro per poi tornare restandosene appartato. Alla fine affermava di aver registrato ma che il microfono non aveva funzionato. Bisogna considerare che i tecnici portano sempre del materiale di scorta come un secondo microfono.
Insomma non c’è la registrazione del dibattito con l’autore del libro, la filosofa Donatella Di Cesare, l’avvocato Francesco Romeo. Esiste invece la possibilità di una singolare coincidenza, che si sia trattato di un sabotaggio al fine di evitare la divulgazione della registrazione. Non si può non considerare il secondo lavoro del signor Pesci. Lavora in quell’ufficio giudiziario che ha messo in piedi una indagine che non sta in piedi a carico di Paolo Persichetti. Il perito del giudice infatti ha accertato che non c’erano atti riservati della commissione Moro nell’archivio del ricercatore quindi non può esserci la violazione del segreto d’ufficio.
Raccontiamo questa ulteriore storia di democratura relativa a un caso che dopo 44 anni non sembra voler smettere di sorprendere. Ma le sorprese continuano ad andare in una sola direzione.
Perché ci sono uffici giudiziari e commissioni parlamentari che tentano in tutti i modi di andare oltre l’esito di cinque processi secondo i quali dietro le Br c’erano solo le Br. Perché lor signori insistono “a ricercare la verità” tanto per usare le patetiche parole di Mattarella. E per raggiungere l’obiettivo fanno carte false arrivando a impedire la registrazione di un dibattito su un libro di ricerca storica indipendente (frank cimini)
Moro per sempre… codici usati come proiettili
La procura di Roma non demorde cambiando di nuovo l’accusa nella vicenda relativa al sequestro dell’archivio informatico di Paolo Persichetti. Siamo approdati al quinto capo di incolpazione dall’8 giugno il giorno del sequestro. Il pm Eugenio Albamonte di Magistratura Democratica torna a contestare il favoreggiamento di latitanti, ipotesi già bocciata lo scorso 2 luglio in sede di riesame insieme all’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo.
Il pm ha presentato una richiesta di incidente probatorio sulla quale dovrà decidere il giudice delle indagini preliminari che rigettando analoga richiesta da parte della difesa aveva bacchettato la procura osservando che non c’era un capo di incolpazione minimamente delineato.
Siamo ai codici, penale e di procedura penale, utilizzati come proiettili contro la ricerca storica indipendente e lo stato di diritto nel silenzio complice di quasi tutti i media e della politica.
Sembra una storia senza fine. L’avvocato Francesco Romeo difensore di Persichetti replica al pm accusandolo di sequestrare per cercare il reato e non come dovrebbe essere di sequestrare perché c’è un reato. Il legale insiste anche sull’impossibilità di contestare il favoreggiamento di latitanti in relazione a fatti per i quali Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono sono già stati condannati all’ergastolo tra i responsabili della strage di via Fani e del sequestro dell’onorevole Aldo Moro.
Persichetti avrebbe trasmesso per posta elettronica a Casimirri e Lojacono atti della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Questi documenti erano stati etichettati come riservati da Giuseppe Fioroni presidente della commissione nonostante fossero destinati alla pubblicazione come parte della relazione a distanza di soli due giorni.
Nell’indagine avviata dal pm Albamonte, sotto il coordinamento del procuratore capo Michele Prestipino, Fioroni è stato sentito come testimone di accusa. Tutta questa storia è frutto di un gioco di sponda tra procura, procura generale che aveva riaperto la caccia ai misteri inesistenti del caso Moro e la commissione parlamentare non rinnovata in questa legislatura ma che continua a far sentire il suo peso.
Il problema è politico. Sotto inchiesta in realtà c’è la ricerca storica indipendente e il lavoro della procura con il sequestro dell’archivio impedisce di fatto la pubblicazione del secondo volume della storia delle Brigate Rosse “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Il 17 dicembre è fissata l’udienza in cui il gip dovrà decidere sull’istanza di dissequestro. Va ricordata la recente circolare del Pg di Trento Giovanni Ilarda mandata anche al Pg della Cassazione in cui si chiedono criteri e pratiche uniformi a livello nazionale nel senso che in caso di sequestro di contenuti di pc e cellulari gli inquirenti una volta estratta la cosiddetta copia forense devono restituire tutto. A Persichetti non è stato ridato indietro niente dopo aver preso persino la certificazione medica del figlio diversamente abile.
(frank cimini)