giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Perché la separazione delle carriere non è il rimedio al male

 

E’ di questi giorni la raccolta firme a sostegno dell’iniziativa popolare per la separazione delle carriere della magistratura promossa da UCPI (Unione Camere Penali Italiane) e annunciata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 93 del 21 aprile 2017.

Il nucleo centrale risiede nella sostituzione dell’attuale primo comma dell’art. 106 della Costituzione che dovrebbe, nell’intenzione dei proponenti, diventare il seguente: “le nomine dei magistrati giudicanti e requirenti hanno luogo per concorsi separati”.

Le ragioni a sostegno dell’iniziativa (che potremmo dire quasi “rivoluzionaria” nel nostro paese) sono plurime, e per la gran parte già note, posto che trattasi di problematica di cui si discute ampiamente da anni e da più parti, ma sostanzialmente si condensano nella volontà di meglio garantire la necessaria “terzietà” del giudicante rispetto ad una delle due parti in contesa, in coerenza con quel “modello accusatorio” che fu il principio ispiratore del codice di rito del 1989.

“Giocheresti una partita arbitrata dal fratello del tuo avversario?” si legge sul sito web del comitato promotore (separazionecarriere.it.) per evidenziare, con efficace slogan, quello che viene ritenuto essere il vizio capitale dell’attuale ordinamento giudiziario: il comune concorso di provenienza.

Da un lato perché chi proviene da una stessa selezione non potrebbe in futuro conservare giusta equidistanza da chi verrebbe comunque visto come un ex “compagno di scuola” e dall’altro perché quella comune legittimazione concorsuale consente successivi passaggi di funzione ulteriormente rafforzanti lo spirito di “colleganza” tra giudicanti e requirenti.

Ne deriva che eliminando quel vizio originario il giudizio penale riacquisterebbe, secondo i promotori, la sua giusta natura di leale confronto tra due parti in perfetta par condicio di fronte al Giudice.

Le motivazioni sono certamente più che lodevoli, ma personalmente non ritengo efficace il rimedio proposto, e non tanto per ragioni “culturali” o “politiche”, ma per un motivo ben più pratico, che cercherò di spiegare.

Se il punto dolens, e su questo siamo ovviamente tutti d’accordo che lo sia, è che a noi difensori capiti talvolta di incappare in giudici palesemente sbilanciati verso la pubblica accusa, la ragione dipende esclusivamente dalla persona di quel giudice che ha evidentemente sbagliato mestiere.

Chi sceglie di esercitare una funzione così delicata, che incide direttamente sulla vita delle persone, deve infatti avere molto chiaro che il suo lavoro consisterà unicamente nel valutare in assoluta oggettività lo spessore delle prove raccolte dalle parti in contesa, e senza il benché minimo condizionamento aliunde, qualunque esso sia.

Un giudice che invece pronuncia una sentenza “in nome del popolo italiano” (evidentemente formato anche da soggetti diversi dai suoi “compagnucci di concorso”) tenendo anche conto della diversità d’ufficio di una delle due parti, è un pessimo magistrato per tara genetica e resterà un pessimo giudice vita natural durante.

Chi nasce pessimo giudice non migliora in forza di legge, né l’imparzialità di giudizio può essere garantita a colpi di commi.

Nella mia professione ho incontrato, come tutti, pessimi giudici e ottimi PM, e come non ho mai pensato che un pessimo PM potesse trasformarsi in futuro in ottimo giudice, altrettanto vale per quei pessimi giudici che non sarà certo un diverso concorso a trasformarl in bravi magistrati.

So bene che mi si obietterà che la riforma di un sistema prescinde dalle singole individualità, e che in ogni caso “il meglio è nemico del bene”, ma proprio perché il tema della terzietà del giudice è fondamentale, temo le soluzioni foglia di fico un po’ ipocrita.

“Avete voluto la separazione delle carriere ? Allora non lamentatevi più” e i pessimi giudici e le pessime sentenze avranno pure l’avallo di una imparzialità per…legge.

avvocato Davide Steccanella

Lo sciopero degli avvocati per un processo meno mediatico e più giusto

 

La prossima settimana si può scommettere che il Palazzo di giustizia si presenterà ancora più deserto: è ben vero che la neve si ostina a non cadere sulle piste da sci, ma l’accoppiata Sant’Ambrogio-Immacolata a inizio settimana è troppo ghiotta per non allungare in surplace il ponte fino al weekend successivo. Ma già lin questi giorni i corridoi del primo e del terzo  piano, dove si affacciano le aule dei dibattimenti penali, apparivano vuoti come una piazza di De Chirico: merito (o colpa) dell’astensione delle udienze proclamata dall’Unione delle camere penali per una lunga serie di doglianze. L’annuncio dello ‘sciopero’ (tecnicamente espressione inesatta, ma che rende bene l’idea) è stato accolto dalla categoria dei giudici con approcci assai diversi: qualcuno (pochi) ha capito le ragioni degli avvocati, molti se ne sono disinteressati, un giudice per le indagini preliminari ha usato toni caustici (“gli avvocati fanno la settimana bianca“) sollevando legittime proteste della categoria.

Così, visto lo scarso appoggio degli altri protagonisti della scena giudiziaria, gli avvocati si sono industriati a cercare l’appoggio degli utilizzatori finali del sistema, ovvero i cittadini: gazebo piazzato davanti al tribunale, in corso di Porta Vittoria, e volantinaggio per riassumere i motivi dell’agitazione.“Nel processo penale è in gioco la libertà di ogni cittadino”, diceva il volantino, tornando a lanciare la proposta della separazione delle carriere tra giudici e pm come unico rimedio alla disparità plateale tra accusa e difesa nelle fasi dei processi, dimostrata anche dall’avvio di dibattimenti importanti (come Aemilia a Bologna e Mafia Capitale a Roma) in un clima di restrizioni che per i penalisti rendono inevitabile parlare di “difesa menomata”.

Da segnalare anche il dibattito che la Camera Penale martedì sera ha organizzato al Cam di corso Garibaldi sul tema del ‘processo mediatico’, analizzando le modalità con cui lo strapotere dell’accusa si traduce nel trattamento che i media riservano alle indagini e ai processi. Sul palco, il presidente della camera penale Monica Gambirasio, Vinicio Nardo (l’ex presidente) e i giornalisti Frank Cimini e Luca Fazzo. A qualche pm forse saranno suonate le orecchie. (orsola golgi)

qui tutte le ragioni dell’astensione