giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il giudice rivoluzionario che riconosce il permesso di soggiorno per fame

Per la prima volta un giudice italiano riconosce un permesso di soggiorno per fame. Tecnicamente, si chiama ‘protezione umanitaria’, l’ultima carta dei disperati che non hanno le caratteristiche né per lo status di rifugiato né per chiedere il diritto d’asilo. Mai era stata riconosciuta ai migranti economici.

E’ un provvedimento visionario ed emozionante quello del giudice civile di Milano Federico Salmeri che, osserva l’avvocato Eugenio Losco, esperto della materia, “non fa una piega in diritto“. Alti e saldi sono i principi a cui si ancora per accogliere un ragazzo di 24 anni scappato dal poverissimo Gambia:  l’articolo 32 della costituzione che riconosce il diritto alla salute inteso anche come diritto ad avere un pasto; la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nella quale si fa diretto riferimento al diritto all’alimentazione; i patti internazionali ratificati dall’Italia che sanciscono “il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame”.

Per il magistrato, il richiedente “è titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia laddove le condizioni economico – sanitarie del proprio paese non consentano un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita”. Il fondo monetario internazionale, le nazioni unite e wikipedia (citati dal giudice) raccontano di un paese dalle terre infertili dove le famiglie non possono comprare nemmen un pugno di riso.

Questo significa una “protezione di massa umanitaria?”, si chiede il giudice, prevenendo le reazioni alla sua decisione, come quella del leader leghista Matteo Salvini (“sentenza folle”). La sua risposta è: “il riconoscimento  di un diritto fondamentale non può dipendere dal numero di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso”.  Resta chiaro che la decisione di un giudice non vincola gli altri che dovranno pronunciarsi sullo stesso tema, limitandosi a essere un precedente. “Un precedente rivoluzionario – chiude l’avvocato Losco – se pensiamo anche agli immigrati italiani del novecento che scappavano da una povertà meno severa di quella di questo ragazzo”. (manuela d’alessandro)

Il testo dell’ordinanza del giudice dal sito Melting Pot

La candida divisa da gelataio non piace
a chi fa le pulizie per i giudici

Bella la nuova divisa del gelataio, no? Trasmette senso di pulizia. Ah no, a Palazzo di giustizia, di gelatai non ce ne sono. (Certo, qualcuno potrebbe avere obiezioni sul punto). Ci sono invece una cinquantina di addetti delle pulizie assunti da una cooperativa, la Coop Multiservice, che ha pensato di imporre a tutti quanti, uomini e donne, una bella divisa bianca e azzurra. Il colore più adatto per chi ripulisce il Tribunale, capirete bene. New look. Prima, erano blu. Come le tute blu, che non ci stanno più. Forse per questo gli addetti alle pulizie sono diventati bianchi e azzurri. Dalla cinta in giù, candidi come la neve (fino alla prima ramazzatura, ça va sans dire). Sopra, la camiciola a righine bianche e azzurre.


Per gli utenti di palazzo il dettaglio che aggiunge colore al già eccitante panorama piacentiniano. Un po’ meno estasiati sono coloro che quelle divise le devono indossare. “A fare le pulizie, sai, ci si sporca. E di divise ce ne danno solo due. Scrivilo, siamo un po’ arrabbiati”. Più che arrabbiato, chi pronuncia queste parole sembra vergognarsi un po’, ha lo sguardo triste. Cinquecento euro al mese per un part-time, sui 900 per chi lavora a tempo pieno. La camicia è a maniche corte. D’estate va benissimo, d’inverno un po’ meno, ma è comoda. Così è e così sia, nel palazzo di giustizia.