Il 29 maggio 1982, durante quella che venne definita “emergenza terrorismo” veniva approvata in Italia la Legge n. 304 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 2 giugno) dal titolo “Misure a difesa dell’ordine costituzionale”. La cosiddetta “legge sui pentiti” introduce all’art. 3 notevoli sconti di pena per chi “rende piena confessione di tutti i reati commessi e aiuta l’ autorità di polizia o giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura di uno o più autori di reati commessi ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per la esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori di esso.”
In tal caso” si legge “la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dieci a dodici anni e le altre pene sono diminuite della metà, ma non possono superare, in ogni caso, i dieci anni”. Al secondo comma del medesimo art. 3 si legge che quelle pene già ridotte sono ulteriormente diminuite fino ad un terzo “quando i comportamenti previsti dal comma precedente sono di eccezionale rilevanza” e in tal caso è prevista, si legge al successivo art. 6, “la libertà provvisoria con la sentenza di primo grado o anche successivamente quando, tenuto conto della personalità, anche desunta dalle modalità della condotta, nonché dal comportamento processuale, il giudice possa fondatamente ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività.”.
All’inizio la Legge verrà aspramente criticata da molti cultori del diritto e alcuni giudici milanesi scriveranno, in una Sentenza del 1983, che “spoglia il magistrato della sua dote più sacra, l’imparzialità assoluta nei confronti di chiunque e comunque delinqua» (cfr. Sentenza 20/83, pag. 99).
Tra i casi che destano più “scalpore” nell’opinione pubblica quello dell’ex BR Patrizio Peci, che a fronte di 7 omicidi confessati (più numerosi ferimenti) uscirà dal carcere dopo soli 3 anni e mezzo in regime di protezione, quello del milanese Marco Barbone, scarcerato dopo poco più di 2 anni dal suo arresto al termine del processo di primo grado per l’ omicidio di Walter Tobagi, e quello dell’ex piellino Michele Viscardi, tra i responsabili dell’omicidio del giudice Guido Galli, che sconterà una pena inferiore a quella del settantenne ex partigiano bolognese Torquato Bignami denunciato dal Viscardi per avere prestato al figlio Maurice (anch’egli di Prima Linea) un appartamento a Sorrento, dove fu ricoverato il Viscardi stesso perché ferito in un conflitto a fuoco dopo una rapina a Ponte di Cetti (Viterbo), in cui erano rimasti uccisi i carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa. Continua a leggere