giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Boccassini in pensione, mai più una come lei

Dopo avere letto che “Ilda Boccassini va in pensione” ho ritenuto, non lo faccio mai, di andare a salutarla nel suo ufficio, lo stesso che occupa da anni al 4° piano del palazzo di giustizia.
Eppure non è una mia “amica”, dopo anni in cui pure a me tocca quotidianamente di frequentare quel luogo anche questo può accadere, e quella mitizzata indole persecutoria che tanto piace ai manettari in servizio permanente che affliggono il nostro paese è quanto di più distante ci sia dalla mia idea di giustizia, però mi è venuto del tutto spontaneo il farlo, perché, ne sono certo, una così, nel bene o nel male, non la incontrerò più.
Sono passati 30 anni da quel processo Duomo Connection nel quale, sfruttando l’introduzione del nuovo codice, fu la prima ad utilizzare a piene mani, potremmo dire a piene orecchie, quelle intercettazioni ambientali che in seguito avrebbero trasformato interi settori di polizia giudiziaria in una sorta di grande fratello permanente, molto prima che Pietro Taricone desse corso a un nuovo, e non necessariamente migliore, modo di fare televisione.
Avevo 28 anni e mi colpì sin da subito quella devozione ai limiti del maniacale allo “Stato”, sembrava di sentire la lettera maiuscola quando lo pronunciava, che le faceva affermare con orgoglio, unica tra una pletora di ipocriti e finti garantisti che in seguito ne avrebbero ereditato il peggio, che “con il nuovo codice il Pm era diventato l’avvocato della Polizia”.
Ma lei doveva prendere i mafiosi e li prese, non tutti per vero lo erano (e qualcuno si fece pure anni di galera gratis), ma erano anni di trincea perché tre anni dopo vennero uccisi Falcone e Borsellino e lei andò giù in Sicilia a prendere anche quelli, mentre nel frattempo la Milano “da bere” si invaghiva del mito di Di Pietro, destinato in breve a scolorire, come tutti i miti mediatici che si rispettano.
Poi tornata a Milano si occupò di chi da quel finto repulisti si era politicamente avvantaggiato e le sue battaglie contro l’allora potente clan del cavaliere ne implementarono la leggenda di castigatore degli impuniti, anche se il processo Ruby ebbe la conclusione che la stessa Cassazione ribadì che doveva avere, ma sono convinto che anche in quel caso lei fosse “convinta”.
Detto ciò, le vanno riconosciuti alcuni meriti tutt’altro che diffusi all’interno della sua categoria.
Per prima cosa ha sempre fatto il pubblico ministero ben guardandosi dal fare il giudice, rispettando nella sostanza, e non solo con facili slogan, il principio della separazione, oggi tanto invocato da chi invece predilige le forme.
Per seconda cosa in quella stanza del 4° piano era e in quella stanza è rimasta fino alla fine, mentre quasi tutti i colleghi passavano, dopo qualche annetto di sbandierato “impegno sul campo” a ruoli più comodamente dirigenziali.
Per terza cosa, se c’è qualcuno che è diventato un’icona popolare suo malgrado è proprio lei, che a differenza della gran parte dei colleghi aborriva qualsiasi esposizione mediatica, tanto che un giorno che le chiesi per conto di una delle tante congreghe che l’avevano eletta a proprio idolo (senza dirglielo) di tenere una lezione sul ruolo del pm, mi rispose che avrebbe accettato “solo se si trattava di ragazzi in età scolastica”, altrimenti di cercarmi altri illustri relatori “da convegno”.
Per quarta cosa il suo carattere scostante con tutti quelli che non era suoi amici, giornalisti compresi, e scevro da qualsivoglia forma di opportunismo, oggi spacciato per capacità di fare pierre, la rendevano un’eroina popolare del tutto anomala, in questo, mi ricorda un po’ due tipi come Francesco Guccini e Nanni Moretti, tanto famosi e celebrati, quanto rigorosamente idiosincratici a qualsiasi ribalta mediatica.
Infine, anche il suo anelito permanente alla punizione di ogni illegalità la rendeva immune da qualsiasi condizionamento, un po’ come quel rivoluzionario parlando del quale un giorno qualcuno che l’aveva conosciuto mi disse: “se lo avesse ritenuto utile alla causa avrebbe ucciso anche sua madre”, e sono convinto che il pm Boccassini, che invece non uccideva ma arrestava, se l’avesse colta con le mani nel sacco, avrebbe arrestato anche sua madre.
Che poi fuori da quel palazzo fosse anche una persona dalla simpatia tutta napoletana, di grande cultura letteraria e cinematografica e con la quale era estremamente piacevole conversare non rileva, perché tanto il mito mediatico è quello del pm in servizio permanente e di quello parleranno, se non l’hanno già fatto, tutti i giornali il giorno che se ne andrà.
E che pare sarà il giorno del suo compleanno, quello in cui i milanesi festeggiano Sant’Ambrogio, fatto che a una che ha sempre messo il lavoro sopra ogni cosa le fece immediatamente pensare, arrivando da Napoli, alla fortuna di potersene restare a casa essendo festa.
Come tutte le personalità loro malgrado finite preda di adoratori proni o di odiatori ottusi ci sarà sempre chi ne parlerà bene e chi ne parlerà male, e molto spesso a casaccio, ma, come nel caso di altra illustre amata/odiata, Oriana Fallaci, si potrà anche discuterne la predica ma mai il…pulpito.

avvocato Davide Steccanella

Il pg Isnardi va in pensione e lascia l’inchiesta su Sala aperta a tutto

Felice Isnardi allo scoccare dei 70 anni ripone la toga, offre spumante al bar del Palazzo e lascia nel mezzo del cammino l’inchiesta sulla Piastra di Expo che coinvolge il sindaco Beppe Sala. Non sarà lui, ma chi erediterà gli atti – i colleghi Massimo Gaballo e Vincenzo Calia – a decidere se chiedere l’archiviazione oppure il processo per l’accusa di turbativa d’asta relativa alla fornitura di 6mila alberi per l’Esposizione Universale.

Il 20 settembre scorso Isnardi, dopo avere strappato l’inchiesta alla Procura ritenuta inerte che mai aveva indagato Sala, si era limitato a chiedere il rinvio a giudizio del sindaco per il reato di falso (udienza preliminare il 14 dicembre) nella sostituzione di 2 commissari di gara, lasciando immaginare di avere stralciato l’ipotesi della turbativa in vista di un’archiviazione.

Invece rumors degli ultimi giorni davano molto probabile una richiesta di processo anche per la turbativa che sembrava potesse arrivare oggi come ultimo atto del magistrato. Non è accaduto e le interpretazioni possono essere varie. Si è preferito lasciare ai due pg che potrebbero sostenere l’accusa nel processo la parola finale. Ci sono state pressioni del procuratore capo Roberto Alfonso su Isnardi che potrebbe avere preferito non mettere la faccia su un epilogo non condiviso.

Il magistrato che iniziò la carriera con l’inchiesta cinematografica ‘Pizza connection’ è apparso comunque sereno al brindisi d’addio. Scherzando coi giornalisti ha detto: “Verrò a trovarvi in sala stampa per avere da voi informazioni o magari farò una ‘Procura ombra‘”. In fondo proprio questo è quello che ha fatto negli ultimi anni riaprendo casi come quelli dell’operaio Giuseppe Uva morto dopo un arresto, di Mps e della ‘Piastra’. Inchieste che per la Procura Generale erano state archiviate con troppo fretta e senza i dovuti approfondimenti, quella su Expo in nome della ‘moratoria’ terreno di scontro feroce tra gli ex numeri uno e due Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo. (manuela d’alessandro)

48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

“Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

“Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

“Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

ce-un-solo-magistrato-arrabbiato-allanno-giudiziario-2015

Bruti: Vado in pensione. Cassazione: ok Robledo a Torino

Nel giorno in cui la Cassazione, sezioni civili, dà l’ok al trasferimento a Torino dell’ex aggiunto Alfredo Robledo a causa degli sms scambiati con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello, il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati annuncia che andrà in pensione il 16 novembre, rinunciando a prorogare l’incarico.

Bruti e Robledo. I protagonisti dello scontro più forte mai avvenuto dentro una procura importante, dove è emerso chiaro come non mai il collegamento tra giustizia e politica. E basta leggere gli atti del contenzioso per rendersene conto. Nemmeno l’imputato eccellente per antonomasia con tutti i suoi potenti mezzi era riuscito a mettere in così grande difficoltà l’immagine e non solo quella della magistratura italiana.

Dunque per la Cassazione era urgente il trasferimento a Torino di Robledo, al di là di quello che sarà il procedimento nel merito che in verità non è nemmeno stato avviato. Al pari quello a carico di Bruti che a questo punto non ci sarà. La ciliegina sulla torta l’aveva messa pochi giorni fa il consiglio giudiziario milanese rinviando al 22 settembre il parere sulla decisione della conferma dell’incarico di Bruti come procuratore capo. Tomo tomo cacchio cacchio Bruti va via senza rischiare di pagare dazio per aver “dimenticato” per 6 mesi nel cassetto un fascicolo. Non si trattava di un incidente stradale, ma della gara d’asta per la Sea, una delle più importanti aziende italiane, dove era lambita la giunta di centrosinistra del capoluogo lombardo.

Ha pagato alla fine solo l’anello più debole, Robledo, schiacciato dal ruolo gerarchico di Bruti che come fondatore di Md era per l’organizzazione orizzontale contro i vertici. E che nella guerra interna ha avuto il sostegno importante di Giorgio Napolitano dal Quirinale il quale spesso ha fatto riferimento proprio ai poteri di cui dispongono i capi degli uffici inquirenti. Si chiude, si fa per dire, così una bruttissima pagina della storia della magistratura. Indipendenza? Autonomia? E da chi? Da questa vicenda è emerso che i politici con tutte le loro gravissime colpe non sono certo i peggiori nell’ex patria del diritto. Da tempo ormai è tutto al rovescio (frank cimini)