giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo d’ispirazione forcaiola

C’è da augurarsi, ma se ne dubita, visto il “clima” pesantemente forcaiolo che da tempo incombe presso una opinione pubblica che sembra avere eletto il carcere a nuova icona della democrazia e del diritto, che il testo appena licenziato dalla Commissione per la introduzione di quel “nuovo” reato di omicidio stradale, da molti invocato, venga se non in tutto, almeno in parte adeguato a più miti consigli. Se venisse, infatti, approvato così come si legge oggi, le conseguenze sarebbero a dir poco opinabili.

Una pena fino a 12 anni di carcere per quello che resta pur sempre un delitto colposo, e quindi non voluto, sia per chi provoca un incidente mortale in stato di “media” ebrezza (che significa da 0,8 a 1,5 per riferirci ai tre valori indicati secondo tabella all’art. 186 del noto Decreto 30.04.92 n. 285), sia per chi, benchè sobrio, abbia superato i 70 km in un centro urbano, e sia infine per chi, benchè sobrio e veloce il giusto abbia effettuato una “inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi” ovvero un “sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua”  (perché poi quel richiamo iniziale al “la stessa pena” non è chiaro se si riferisca alla ipotesi attenuata che sarebbe pur sempre da 7 a 10 anni oppure a quella ‘standard’). Pena ulteriormente aumentabile in caso di fuga e in caso di ulteriore persona coinvolta nel sinistro, leggendosi, quale unico finale calmiere sanzionatorio, il fatto che “in ogni caso la pena non può superare gli anni 18″. Non bastasse è espressamente previsto il divieto per il giudice di contemperare la pena con le circostanze attenuanti e anche in caso di patteggiamento la revoca della patente non più riottenibile se non 15 anni dopo nei casi meno gravi. A ciò si aggiunge ovviamente l’arresto obbligatorio in flagranza e l’allungamento dei termini prescrizionali. A questo punto sarebbe stato meno ipocrita introdurre tout court l’omicidio stradale tra le ipotesi “speciali” di omicidio volontario, sul presupposto, già applicato da taluna giurisprudenza minoritaria, del cosiddetto dolo eventuale che vorrebbe che chi guida senza prudenza un mezzo pericoloso finisca con l’accettare il rischio di provocare la altrui morte. Peccato che se così fosse, ed è qui la fallacia del ragionamento giuridico, dovrebbe ritenersi che il conducente imprudente abbia messo in conto anche la propria di morte, giacchè le conseguenze di un sinistro non sono certo programmabili o evitabili, ed ecco forse la ragione per cui si è ritenuto di mantenere l’ipotesi colposa. Il risultato è stato quello di creare un nuovo reato colposo con trattamento sia sanzionatorio che procedurale da reato doloso, se è questo quello che si voleva, come diceva qualcuno “non capisco, ma mi adeguo”. (avvocato Davide Steccanella)

Il reato di omicidio stradale? E’ la riedizione della legge del taglione

Legiferare “con la pancia”, a seguito di fatti di cronaca, o peggio ancora per accontentare le associazioni delle vittime della strada, magari, inopinatamente, presiedute da qualche avvocato. Questo é il modo per produrre danni, per intervenire a spot, senza poi preoccuparsi di coordinare e razionalizzare le varie norme. Questo è il progetto di legge sull’omicidio stradale di cui si parla in questi giorni.

L’idea base, neanche innovativa peraltro, è quella che aumentando le pene si riducano i reati, teoria già discutibile per i reati dolosi, assurda per quelli colposi, dove manca la volontà di commettere il reato. Oppure aumentare i minimi della pena, per impedire al giudice di commisurare la sanzione alla gravità del reato, auspicando che tutti gli autori di questo reato così debbano finire in carcere. Si tratta della riedizione addolcita della legge del taglione; al reato, segue la carcerazione del reo, quale punizione, più che quale sanzione giusta.

Siamo tornati al medioevo giuridico. Più carceri per accontentare l’opinione pubblica. Senza pensare che mettere in carcere per un lungo periodo un soggetto magari al primo reato non serve a nulla, mentre magari cercare di fargli capire la gravità della sua condotta, attraverso lavori socialmente utili, in ospedali dove ci sono persone che hanno subito incidenti stradali ad esempio, può servire a eliminare la possibilità che reiteri il reato. Oppure un’attività finalizzata al risarcimento del danno delle vittime, troppo spesso insufficiente. Non si sentiva proprio il bisogno di inventarsi un nuovo reato, proprio mentre si ragiona su ipotesi di “depenalizzazione”, di “diritto penale minimo”, anche perché questo modo di legiferare crea situazioni ingiuste. Perché allora non istituire l’omicidio sui posti di lavoro, forse perché “si notano di meno”‘ perché magari i morti vengono buttati a mare? Non ci siamo proprio, è proprio vero che quando la politica si occupa di giustizia questa esce sempre perdente…a prescidendere direi.  (Mirko Mazzali, avvocato e presidente della commissione sicurezza del Comune di Milano)