giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

A Milano record di avvocati che non pagano la quota
Nomi e cognomi vanno in bacheca

E’ record di toghe non paganti nelle aule del Palazzo. “Da dicembre a oggi abbiamo convocato per sollecitare il pagamento della quota annuale 260 legali. Non sono mai stati così tanti in passato”, fa i conti Cinzia Preti, tesoriera dell’Ordine degli Avvocati. La curiosità di chiederle in quanti non pagano l’obolo ce l’ha fatta venire l’insolitamente nutrito elenco degli avvocati morosi, con tanto di nomi e cognomi (ma la privacy?), esposto nelle bacheche dell’Ordine a Palazzo.

“La ragione sta in parte nella crisi, ma bisogna considerare anche i tanti colleghi che si trasferiscono all’estero, e che smettono di  pagare”, è la lettura l’avvocato Preti. Una volta ‘ammoniti’ dall’Ordine, la maggior parte degli inadempienti tuttavia rimedia in fretta. “Dei 260 richiamati, 35 li abbiamo sospesi, e sono quelli che si possono leggere in bacheca, mentre gli altri si sono messi in regola “. Il nuovo regolamento approvato nella primavera scorsa obbliga  gli Ordini a inviare al Consiglio Nazionale Forense la lista dei non paganti e i provvedimenti presi nei loro confronti. Il mancato avvio nei 60 giorni successivi alla comunicazione dell’elenco della procedura di sospensione dall’albo comporta per gli Ordini  una segnalazione al Ministero della Giustizia. Un meccanismo che rende gli Ordini ancora più zelanti nello scovare e ‘denunciare’ gli avvocati riottosi. (manuela d’alessandro)

 

 

Addio fogli sulle porte, arrivano i ‘tabelloni elettronici’ per le udienze

Addio ai vecchi foglietti appiccicati sulle porte con l’elenco delle udienze e degli imputati. Sulle pareti del settimo piano del Palazzo di Giustizia sono spuntati tre mega – schermi, a cui ne seguiranno altri, che dovrebbero permettere alle parti del processo di conoscere tutti i dettagli delle udienze per non smarrire l’orientamento. “Un po’ come mettere una copertina nuova allo stesso libro”, commenta, non si capisce quanto sarcastica, un giudice. Non è ancora chiaro se i nomi degli imputati saranno riportati sugli schermi oppure se si privilegerà una politica della privacy, considerando che in fondo si parla di processi, non è un talent – show.  In questo secondo caso, bisognerà contare su imputati e testimoni molto preparati che siano in grado di riconoscere dal numero del procedimento il loro destino. (m.d’a.)

“Presidente sono il suo incubo” il bigliettino dell’avvocato al giudice sfuggente

L’avvocatessa L.M. deve avere qualcosa di molto importante e urgente da chiedere al giudice Piero Gamacchio. Possiamo apprezzare il suo originale pressing in un biglietto da visita appiccicato alla porta del magistrato. L’esordio è quasi da stalker auto – proclamata: “Sono il suo incubo”, ma poi i toni rientrano in una corretta dialettica processuale per concludersi, dopo avere invitato il giudice a contattarla, con l’”ossequio” finale.  (m.d’a.)

 

 

Tao Scatenato fa tutto da solo
Falsifica un legittimo impedimento e si smaschera
Dieci mesi, per lui neanche le generiche

Un po’ pasticcione, ma l’audacia non gli manca mai. Per questo è il numero uno. Da avvocato o da imputato, poco cambia, Carlo Taormina mena sempre colpi micidiali. Qualche volta per se stesso. E’ Tao Scatenato.

Vi avevamo raccontato qui della sua recente condanna a dieci mesi. Tutto per un legittimo impedimento non esattamente legittimo, corredato da un piccolo falso. La storia è ancora meglio di quanto credessimo. Perché leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre che il Taormina ha combinato tutto da solo: tenta un trucchetto, si accanisce contro un giudice e si smaschera da solo. E così rimedia la condanna.

L’8 maggio 2009 invia un fax al Gup di Milano Giorgio Barbuto con un’istanza di legittimo impedimento. Chiede il rinvio dell’udienza del 15 maggio, in cui sarà imputato per diffamazione ai danni dell’ex procuratore di Aosta Maria Del Savio (le loro strade si erano incrociate nell’inchiesta sul delitto di Cogne). Avvisa che gli sarà impossibile essere in udienza dovendo quello stesso giorno difendere, come unico difensore, un imputato per droga in Sardegna. E allega la citazione della Corte d’Appello di Cagliari.
Il 13 maggio Taormina “trasmetteva segnalazione al Presidente del Tribunale di Milano e al Presidente dell’Ufficio Gip nella quale evidenziava che il suo difensore – nel corso di un colloquio del 12 maggio – aveva percepito che il magistrato, che si era riservato di decidere in udienza, avrebbe potuto non ritenere valido l’impedimento addotto”. Il Tao-legale-imputato lamentava, si legge nelle motivazioni, “la particolare attenzione al processo che lo riguardava da parte del Gip e una ‘solerzia’ così accentuata da parte del magistrato che se avesse riguardato tutti i processi di Milano avrebbe consentito ‘l’eliminazione di ogni più pesante arretrato’”. Insomma Taormina calca la mano sul povero Gip Barbuto. Passa all’attacco: “l’atteggiamento del dott. Barbuto si configurerebbe in caso di celebrazione dell’udienza, illegittimo e inopportuno in quanto per un verso pregiudizievole per l’esercizio del diritto di difesa e per un altro non adeguato alla trattazione di una constroversia penale di non eccessivo rilievo, se non fosse che controparte del sottoscritto siano due magistrati”. Altra bordata. (Saggio è chi evita di attaccare un giudice per la sua solerzia nel celebrare un processo con altri magistrati in veste di parte civile). Ai due presidenti, allega di nuovo la citazione. Solo che questa volta compare un nome che invece non compariva in quella spedita al giudice Barbuto. Compare un codifensore di Taormina nel processo sardo. Mannaggia. E che è successo? Per il Tribunale di Milano, è successo che dell’originale era stata fatta una prima fotocopia oscurando il nome del codifensore. Mentre ai due presidenti era arrivato per fax l’originale. Fatto il confronto, svelato l’inganno. Continua a leggere

Kabobo, schizofrenico anche perché emarginato
Così il gup spiega la condanna a 20 anni

“Non si può dire che la malattia ‘abbia agito al posto’ dell’imputato” Adam Kabobo. Non c’era una mano immaginaria a guidarlo, costringendolo a uccidere tre persone a colpi di piccone. Quella mano non c’era neppure nella sua testa confusa. E se per “il sentire comune” il comportamento del giovane ghanese potrebbe essere considerato pura “follia”, non si può parlare di “automatismo della malattia”. Almeno così ritiene il gup di Milano Manuela Scudieri, che ha condannato Kabobo a 20 anni di carcere (più misura di sicurezza) in rito abbreviato, riconoscendogli una parziale incapacità di intendere.

E però, le cose non sono così semplici, il magistrato non può far finta che Kabobo, difeso dagli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, fosse un cittadino come tutti gli altri, interamente imputabile per il suo comportamento violento, anzi “efferato”. Non può farlo, e infatti è chiamato a decidere sulla base di perizie specialistiche e del complesso degli atti di indagine, non delle dichiarazioni dei politici, non delle interviste rilasciate dagli avvocati, come altrove si vorrebbe.

E allora, la “condizione di emarginazione sociale e culturale” di Adam Kabobo, scrive il gup, è stata “valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale”. La “condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia” di Adam Kabobo, “aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la comprensione cognitiva”. Il giudice condivide la perizia psichiatrica, la quale chiarisce che il ghanese voleva “uccidere e con l’occasione farsi catturare per soddisfare i propri bisogni primari”. Insomma avrebbe ucciso tre persone anche per farsi arrestare, e finire in un carcere italiano, dove notoriamente vitto e alloggio sono da hotel a cinque stelle.

Kabobo ha ucciso tre persone innocenti, senza una ragione comprensibile a noi comuni cittadini. Sulla base di indagini accurate, tenendo conto anche di quanto sostenuto dalle difese e dai legali dei famigliari delle vittime, il giudice ha fatto le sue considerazioni. Matto? Sano? Brutto e cattivo? Adesso l’idea potete farvela anche voi:

motivazioni sentenza kabobo