giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Giustizia folle, 300mila euro “per non aver educato il figlio”

Due genitori milanesi sono stati condannati a risarcire 300 mila euro con sentenza della Cassazione “per non aver educato il figlio” che quando aveva 12 anni urtò con la sua bici quella di una donna finita nel Naviglio e morta dopo un anno e mezzo di agonia.

“Culpa in educando” è la formula giuridica. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il ragazzo che ha 26 anni è tuttora in terapia psicologica, i genitori intanto hanno venduto la casa di Milano e vivono in affitto nell’hinterland. Non hanno i soldi per pagare. La mamma ha un lavoro part-time nel settore delle pulizie, il padre è impiegato in una ditta di soccorso stradale. Entrambi chiedono che un giudice rilegga le carte. Il ragazzo, che il giorno della tragedia era affidato all’oratorio, non è mai stato ascoltato nel corso della causa.

E’ la vicenda di una giustizia che sembra ignorare cosa sia la vita quotidiana, con le toghe che hanno la presunzione di decidere in che modo si educa un bambino di 12 anni. Chi ha un minimo di spirito critico è consapevole che alcuni giudici ne fanno anche di peggio, ma il caso lascia particolarmente sbigottiti. I genitori riferiscono di essersi appellati a varie autorità “ma sono spariti tutti”. Resterebbe solo la corte europea di diritti dell’uomo, organismo che ha diverse volte in passato condannato la nostra giustizia per le ragioni più diverse. L’imputato eccellente per antonomasia, da quando si occupa di lor signori in toga per ragioni molto poco nobili, i fatti suoi e basta, propose che dei giudici fosse verificata la capacità psichica una volta l’anno. A questo punto sarebbe meglio stare sui 6 mesi. Sia per noi sia per loro. (frank cimini)

Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)

La decisione del giudice arriva ai legali 5 anni dopo con la posta elettronica

Col formidabile acceleratore della Pec – fulmineo acronimo che sta per Posta Elettronica Certificata e rimanda a un mondo ideale di giustizia senza carta -  viene recapitato oggi in uno studio legale milanese l’avviso che il dieci novembre 2010 il Tribunale di Milano (in funzione di giudice del Riesame) si è pronunciato respingendo l’istanza di scarcerazione di un detenuto per reati fiscali.

“Ora potremmo fare ricorso in Cassazione contro questa decisione”, ironizza uno dei difensori. Per fortuna, la giustizia degli uomini va più veloce di quella divina e anche di quella digitale. Così, G.B., arrestato e portato a San Vittore nel 2010, ha patteggiato nel dicembre 2010 tre anni e quattro mesi di carcere e poi gli sono stati concessi i domiciliari. Ha fatto in tempo anche a operarsi al cuore (quando era ancora in carcere) e a fare chissà quante altre cose mentre la Pec percorreva il suo onirico viaggio dalla cancelleria del Tribunale allo studio legale. (manuela d’alessandro)

‘Il clima ideale’ tra Milano e la ex Jugoslavia, thriller d’esordio di Franco Vanni

 

 

E’ tutta una questione di clima per Aleksandar Jovanov. Cambia pelle, odore e perfino nome quando Franco Vanni gira la manopola della temperatura sulle pagine.

Nel clima mite della campagna elettorale serba 2012 è il candidato premier progressista “buono, sicuro, conciliante” che si fa fotografare tra i garofani.  In quello acre della Bosnia orientale venti anni prima lo chiamavano Dragan ed era un criminale di guerra, stupratore e assassino “per divertimento” ma anche perché non sopportava la puzza di carogna che emanava il suo corpo fin da bambino.

Pure per Michele, trentenne di Milano coi capelli a scodella e l’ossessione dello yo – yo, è una faccenda di clima. Lobbista, il suo lavoro consiste nel creare quello “ideale” per gli interessi dei clienti, anche quando gli tocca piegare la legge. Tenero con la sola persona al mondo a cui “non saprebbe mai dire di no”. Nonno Folco, 91 anni, psichiatra di furiosa intelligenza e ironia, lo spedisce in Albania a indagare sulla vita della meravigliosa Nina, cameriera e figlia di Jovanov.

Il vecchio vuole sapere se la ragazza è così legata al padre da dispiacersi molto se lui dovesse andare a ficcare una pallottola nel cuore del futuro premier. Folco è pronto a immolarsi per evitare che il politico, i cui abomini gli sono stati svelati da un’adolescente bosniaca sua paziente, si consacri con l’elezione “paladino dei diritti civili”. Michele vola a Tirana, incontra Nina che poi scompare e da quel momento il clima del racconto impazzisce, regalando variazioni continue. Vanni, cronista giudiziario di ‘Repubblica’, ha il ritmo giusto per alternare ambienti feroci ad altri dolci. Sa quando lasciar riposare i personaggi all’ombra dei loro pensieri e quando buttarli tra i nembi dell’azione. Scrive chiaro e spedito, e la storia da tortuosa alla fine si fa semplice, come semplice ne è l’ispirazione e il senso ultimo: l’amore puro tra un nonno e un nipote. Ai nonni ‘Franco e Franco’, il giovane Franco dedica il suo esuberante esordio.  (manuela d’alessandro)

‘Il clima ideale’ di Franco Fanni, Laurana Editore, pagg. 296, euro 16. Lo trovate anche alla libreria ‘L’Accademia’ di corso Porta Vittoria 14

 

 

 

Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”

“Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta –  mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.

Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.

Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.

Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.

Manuela D’Alessandro