Al fine di accompagnare i taralli del caso magistratura, derubricato dal CSM e dai giornaloni a caso Palamara con ovvia radiazione del capro espiatorio per fingere pulizia e tabula rasa, appare utile la lettura delle 223 pagine vergate dal collega Stefano Zurlo cronista nelle aule dei processi di vecchia data, edizioni Baldini e Castoldi, 18 euro.
“Il libro nero della magistratura” recita il titolo accompagnato dall’occhiello “I peccati inconfessati delle toghe italiane nelle sentenze della sezione e disciplinare del Csm.
Si tratta del terzo lavoro di Zurlo sullo stesso tema dopo “La legge italiana siamo noi” del 2009 e “Prepotenti e impuniti” del 2011, “sempre sbianchettando i nomi” specifica l’autore “per non rischiare grappoli di cause milionarie e grane a non finire. Nove anni dopo ci risiamo”.
Non c’è una virgola che sia inventata fuori posto esagerata. “Ci sono giudici che hanno depositato sentenze con mesi e mesi di ritardo e altri che hanno dimenticato in cella gli imputati per 51 giorni… giudici che hanno chiamato i carabinieri per non pagare il conto al ristorante e altri che hanno smarrito pratiche e fascicoli vanificando anni di processi…. Molti sono stati assolti perché c’è quasi sempre una scappatoia, troppo lavoro, il sistema che non funziona, la separazione dalla moglie, la malattia grave di un congiunto”.
Molti non sono sfuggiti alla sanzione, spesso minima, tra ammonimento e censura. Raramente si è arrivati alla perdita di anzianità e molto difficilmente all’espulsione dalla categoria. Tutti processi celebrati in silenzio.
In questo libro siamo oltre gli accordi sottobanco, le spartizioni tra le correnti. Siamo a fatti di vita quotidiana rispetto ai quali si resta senza parole soprattutto perché i comuni mortali per episodi simili sono costretti a vedere i sorci verdi e la loro vita sconvolta dalle decisioni dei togati.
Un giudice resta al suo posto nonostante sia responsabile di 74 procedimenti civili fuori tempo massimo con punte tra i 595 e i 560 giorni e di aver copiato pari pari 55 delle 71 pagine del testo da una delle due parti. La nobilissima arte del copia e incolla. Il signore ha “pagato” con la perdita di un anno di anzianità con gli utenti sempre costretti ad aspettare i suoi tempi.
Un altro giudice si ubriaca, barcolla, viene soccorso, arrivano due poliziotti e lui li “saluta”a modo suo: “Sbirri di merda, mi avete rotto i coglioni”. E ancora: “Ve la faccio pagare adesso chiamo il questore e vi sistemo”. Successivamente dopo aver tamponato un’auto prende a calci e pugni due carabinieri rifiutando di dare le proprie generalità. Diversi procedimenti disciplinari, il buffetto dell’ammonizione. Ma non si ferma, prosegue. Viene sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Adesso vive con l’assegno alimentare cosiddetto. Quello alle toghe non lo negano mai.
C’è il giudice che picchia la moglie e viene assolto con la commissione disciplinare che filosofeggia sui fallimenti esistenziali per coprire gli eccessi e gli istinti maneschi.
Non manca chi ha molestato e vessato per anni una collega “perché non ci stava”, rischia il trasferimento ma non arriva neanche quello e il giudice continua in aula a rappresentare lo Stato.
Un altro fa il giudice e il vicesindaco nello stesso territorio ma se la cava con l’ammonimento.
428 giorni, più di un anno agli arresti domiciliari per un erroraccio del gip che avrebbe dovuto firmare la remissione in libertà di due imputati a maggio del 2013 ma lo fece solo nell’agosto dell’anno successivo. La commissione disciplinare del Csm decide che si tratta di grave negligenza. Emerge che lo stesso giudice aveva dimenticato in cella un terzo imputato per 48 ore. Ma tutto finisce con una semplice censura. Nella commissione disciplinare che prende la decisione ci sono Maria Elisabetta Alberti Casellati futuro presidente del Senato e dulcis in fundo Luca Palamara. Da lui eravamo partiti per parlare del libro di Stefano Zurlo e non possiamo non finire con lo stesso, ormai ex magistrato. Quello che adesso viene misconosciuto dai colleghi a cominciare da quelli beneficiati dalle sue attività diciamo borderline. Ovvio non aveva agito da solo. Piazzare negli anni passati al Csm 86 magistrati in ruoli di vertice non è impresa da poco. Alla fine ha pagato solo lui. E molti giudici dei quali ci racconta Zurlo fecero di peggio molto di peggio, anche se il Csm quei misfatti li ha retrocessi a una sorta di vizi privati da curare al massimo con qualche caramella amara.
(frank cimini)
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Il super poliziotto Gallo va in pensione, ignorato dai magistrati
“Avevo invitato anche i magistrati con cui ho lavorato in questi anni: Spataro, Romanelli, Nobili…”. Carmine Gallo si ferma qui, non fa polemiche. Ma basta guardarsi intorno, nella sala stracolma del ristorante di Lainate scelto per l’occasione, per rendersi conto che di magistrati non c’è neanche l’ombra. Nessuno dei tre citati da Gallo, nessuno dei tanti altri con i quali nei suoi quarantun anni da poliziotto ha lavorato a contatto di gomito. Per celebrare l’addio di Gallo alla divisa sono arrivati da tutta Italia: il vicecapo della polizia Luigi Savina, il questore di Torino Francesco Messina, una lunga serie di poliziotti che hanno fatto la storia delle indagini a Milano, da Francesco Colucci e Massimo Mazza. Il clima è quello consueto di queste occasioni, un po’ di amarcord e un po’ di commozione: come quando Gallo ringrazia sua moglie “per tutte le volte in cui l’ho chiamata dicendo che arrivavo dopo mezz’ora e riapparivo dopo una settimana”. Ma è anche un’occasione speciale, perché Gallo è stato un poliziotto speciale. Formidabile nella mole di lavoro e formidabile nei rapporti con il mondo della malavita, dove conosceva quasi tutti e dove tutti sapevano che – nel rispetto dei ruoli – di Gallo ci si poteva fidare. Come dice il sindaco di Rho, che l’ha avuto come capo del commissariato negli ultimi anni, “se avevo un problema chiamavo Carmine, a qualunque ora del giorno e della notte. E lui mi rispondeva: ci penso io”.
Ecco, anche per tanti magistrati Gallo è stato questo: l’uomo a cui rivolgersi quando c’era un problema da risolvere. Ne ha risolti tanti, di problemi: dal sequestro Sgarella al delitto Gucci. Così fa un certo effetto scoprire che ieri nessuno dei pm con cui ha lavorato (tutti impegnatissimi, per carità…) ha sentito il dovere di essergli affianco. E’ difficile non collocare questa storia nel grande tema dei rapporti tra magistrati e polizia giudiziaria: un rapporto di cui le toghe sono giustamente gelose, e da cui – grazie alla sentenza della Corte Costituzionale – sono riuscite a impedire il controllo della politica. Un rapporto fato di fiducia reciproca, a volte quasi di simbiosi tra magistrato e investigatore.
Gallo è stato anche questo, per anni. Ma la sua non è stata una storia a lieto fine. Incriminato a ripetizione, sempre assolto tranne che per una accusa che riguardava in pieno i suoi rapporti con i pm, con le indagini, con i confidenti. Nessuno dei magistrati che lo svegliavano nel cuore della notte è stato al suo fianco in questa fase, come nessuno è stato presente al suo addio. Così va il mondo, si dirà. Lui va in pensione, in silenzio, schivo. L’ultimo ad abbracciarlo è Gigi Savina: “Grazie, commissario Gallo, per come hai servito il Paese”.(Orsola Golgi)