Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.
Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.
“Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità. “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)
ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.