Per fare un’area omogenea, bisogna omogeneizzare. E in effetti l’ultimo interrogatorio di Pierpaolo Perez, ex braccio destro di Antonio Rognoni, arrestato il 20 marzo scorso nell’inchiesta su Infrastrutture Lombarde, è parso ad alcuni il frullato, concentrato, di una serie di situazioni paradossali nate dallo scontro in procura tra il capo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo. Frizioni arrivate fino al Csm e a cui il numero uno della Procura ha di recente tentato di mettere un freno – per qualcuno un tappo – costituendo una “area omogenea” per le inchieste in qualche modo attinenti all’esposizione universale. Continua a leggere
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Bruti doveva motivare atti a Boccassini
E il procuratore detta i ‘nuovi’ criteri organizzativi
Se c’è un vincitore ‘ai punti’, almeno per il momento, è Alfredo Robledo. E lo è il giorno dopo che, a quanto apprende Giustiziami, il suo ‘rivale’, Edmondo Bruti Liberati, ha inviato ai pm una circolare di una sessantina di pagine contenente i nuovi ‘criteri organizzativi’ di assegnazione delle indagini, tema al centro dello scontro che infiamma la Procura. Nel documento si legge, tra l’altro, che i procuratori aggiunti (come Robledo, per intenderci) non possono più essere co – assegnatari di indagini.
Qualche grave errore nel distribuire le inchieste ai suoi pm – adesso è la settima Commissione del Csm a metterlo nero su bianco a maggioranza, in un documento che verrà valutato dal plenum – il ‘capo’ l’ha commesso nei mesi scorsi, a cominciare dal fascicolo più insidioso, quello nato dalle rivelazione di Ruby. Colpa di Bruti anche non avere dettato una “precisa disciplina relativa all’assegnazione” dei fascicoli ai vari dipartimenti, cosa che, a quanto pare, il procuratore avrebbe fatto soltanto ieri.
Bruti Liberati, scrivono i rappresentanti dei magistrati, doveva motivare le ragioni per cui assegnò il coordinamento di questa inchiesta a Ilda Boccassini anche “per scongiurare qualunque possibilità di rischio di esporre l’ufficio al pur semplice sospetto di una gestione personalistica delle indagini delicate” su Silvio Berlusconi. E anche quando nell’ambito dell’inchiesta sul San Raffaele “si è proceduto all’iscrizione di fatti corruttivi (col coinvolgimento di Formigoni, ndr) non è stata attivata la necessaria interlocuzione” con Robledo. Un passaggio, è il rilievo mosso dal Csm a Bruti, che doveva essere compiuto per “verificare la possibilità di una coassegnazione dell’inchiesta” avviata dal dipartimento guidato da Francesco Greco.
Quanto all’ormai noto fascicolo Sea dimenticato da Bruti nell’armadio, il Csm sembra non approvare il comportamento di nessuno dei due contendenti, censurando sia il “ritardo” di Bruti nel consegnarlo al collega, che era competente, sia “l’inerzia” di Robledo “nel sollecitare l’adempimento”. “Nessun rilievo organizzativo” può essere mosso invece al procuratore per la gestione dell’inchiesta su Expo. Anzi, qui sembra essere Robledo quello messo peggio perché al pg della Cassazione Ciani e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando spetterà valutare l’”insistenza di Robledo nella richiesta di trasmisione degli atti”, nonostante ci fosse già un coordinamento, e la “possibile messa a rischio della segretezza delle indagini” con l’invio di atti al Csm. Infine, viene sollecitato il parere del pg anche sul presunto doppio pedinamento di un undagato nell’inchiesta Expo, ‘rivelato’ da Ilda Boccassini ma negato dalla Guardia di Finanza che ne sarebbe stata protagonista. (manuela d’alessandro)
Bruti riscrive al Csm, Robledo pedinò senza informarmi
Sintesi delle puntate precedenti. C’è stato un doppio pedinamento che ha intralciato l’inchiesta Expo (Bruti). No, dici il falso, non c’è stato (Robledo). E’ vero, non c’è stata nessuna sovrapposizione (Guardia di Finanza).
Oggi ecco una nuova puntata di ‘Procuropoli’, i cui intrighi sono degni di una soap opera degli anni ottanta.
Titolo: E invece sì, il doppio pedinamento c’è stato, il bugiardo sei tu. (Bruti). Trama: il capo della Procura scrive una nota di una paginetta e mezzo al Csm in risposta a quella inviata ieri da Robledo per ribadire che un indagato – a quanto ci risulta potrebbe essere il manager di ‘Expo2015′ Angelo Paris – sarebbe stato seguito sia dagli uomini della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, sia da quelli del Nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle. Anzi, è l’ accusa di Bruti, smentendo il doppio pedinamento Robledo implicitamente ammette di avere disposto un servizio di osservazione durato circa due mesi senza informarlo. Continua a leggere
A Expo dal Tav dove i pm non indagano.
Appalti onesti in nome di Dio
A sostituire l’arrestato Angelo Paris in Expo sarà Marco Rettighieri, top manager di Ltf, Torino-Lione, alta velocità ferroviaria. Una provenienza che è una garanzia, perchè gli appalti del Tav sono gli unici onesti e trasparenti al mondo, per definizione, quasi per grazia divina. La ragione è molto semplice: su quegli appalti la procura di Torino non ha acceso non diciamo un faro, ma nemmeno un lumino. Non ci possono essere ombre per ragion di Stato.
Il rischio sarebbe quello di dare argomenti a chi al Tav si oppone nelle piazze, davanti ai cantieri, manifestando dubbi e perplessità su un territorio che viene sventrato, buttando via un sacco di soldi per un’opera che serve a nulla, se non a permettere una spartizione della torta che da anni riguarda soprattutto i partiti “di sinistra”, uno in particolare, che nel tempo ha cambiato nome ma ha sempre gli stessi appetiti.
In materia di Tav la procura di Torino, retta fino a pchi mesi fa da Giancarlo Caselli magistrato ora in pensione e che costruì la sua fortuna passando per ogni “emergenza”, ha ben altro da fare: svolgere il ruolo di laboratorio politico della repressione del terzo millennio. Da cinque mesi, per aver danneggiato un compressore in un cantiere, sono in carcere, torturati da un articolo 41bis di fatto, 4 militanti NoTav che rischiano condanne fino a 30 anni. Secondo i pm, i 4 avrebero agito con finalità di terrorismo, danneggiato l’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea. Il 22 maggio inizierà il processo nell’aula bunker di Torino. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per rinfocolare il clima da emergenza ha proposto che gli imputati non siano presenti in aula ma seguano il processo in videoconferenza dalle prigioni che li “ospitano”. La procura vuole un processo “pilota”, pene esemplari, che suonino da deterrente e da monito per chiunque nel presente e nel futuro pratichi l’opposizone sociale allo status quo.
Per questo, nel momento in cui, quasi tutte le opere pubbliche sono sub judice, gli appalti dell’alta velocità non si discutono. Per non darla vinta ai “terroristi” agitano i fantasmi del passato con un un senatore piddino, siamo sempre lì, che gioca a recitare pateticamente il ruolo del Pecchioli del terzo millennio (frank cimini).
Expo, ammissioni da tutti, ma il ‘compagno G’ resta una sicurezza
La storia non è un’amante fantasiosa, spesso ama riproporre i copioni. In quello dell’inchiesta Expo tutti hanno ammesso piccole e grandi responsabilità, qualcuno ha perfino confessato di avere con sé al momento dell’arresto i biglietti “con la contabilità delle tangenti”, tutti tranne Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo, i tre politici già coinvolti in indagini che hanno segnato la storia d’Italia. Fedele alla linea, il ‘compagno G’, come accadde in Tangentopoli, si è dichiarato innocente, sostenendo che lui si occupava della “filiera del legno”, mica degli appalti e così ha fatto l’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio. Grillo ha negato tutto come già fece quando finì indagato per la scalata ad Antonveneta e la storia in quel caso gli diede ragione perché venne assolto dopo una condanna in primo grado. Gli altri invece si sono lasciati decisamente andare con ammissioni di rado riscontrate al ‘primo giro’ degli interrogatori di garanzia. L’ex udc Sergio Cattozzo rivela di avere provato a nascondere i bigliettini su cui annotava le mazzette ai finanzieri, il manager di Expo Angelo Paris da’ le dimissioni con tante scuse (“Colpa mia, mi sono fidato delle persone sbagliate, ho raccontato informazioni sulle gare che dovevano restare riservate”), mentre l’imprenditore Enrico Maltauro ammette che sì, i fatti sono proprio quelli descritti nell’ordinanza. (manuela d’alessandro)