Si nasce incendiari e si muore pompieri. Non vale certo per tutti ma per molti decisamente si. Vale per il procuratore capo di Milano Francesco Greco che da giovane pm fece parte di una sparuta ma combattiva pattuglia di magistrati che tra Roma e Milano come “sinistra di Md” si oppose strenuamente all’emergenza antiterrorismo, alle leggi speciali. Greco scriveva su “Woobly collegamenti” un foglio dell’area dell’Autonomia e insieme a chi verga queste povere righe, a Gianmaria Volonte’, al libraio Primo Moroni, a magistrati e avvocati prese parte a un collettivo, “il gruppo del mercoledì” impegnato a perorare la causa dell’amnistia per i detenuti politici.
Insomma ne è passata di acqua sotto i ponti per arrivare ai giorni nostri, gli ultimi della carriera di Francesco Greco che il 14 novembre andrà in pensione dopo aver fatto cose molto diverse, eufemismo, dal contenuto delle sue idee giovanili.
Greco fu la cosiddetta “mente finanziaria” del pool Mani pulite, una nuova emergenza dove recitò fino in fondo il ruolo di chi stava dalla parte di una categoria che approfittando del credito acquisito anni prima saltava al collo della politica per dire “adesso comandiamo noi”.
Stiamo parlando di un magistrato che diede un enorme contributo ai mille pesi mille misure dell’inchiesta che avrebbe dovuto stando alle aspettative cambiare in meglio il paese. E invece tanto per fare un esempio Sergio Cusani che non aveva incarichi e nemmeno firme sui bilanci in Montedison prese il doppio delle pene riservate ai manager Sama e Garofano.
Greco è stato il delfino di Edmondo Bruti Liberati, storico esponente di Md corrente nata a metà degli anni ‘60 teorizzando l’orizzontalita’ negli uffici giudiziari ai danni della verticalità. Bruti con al fianco Greco e supportato dal capo dello Stato e presidente del Csm Giorgio Napolitano usò tutta la verticalità possibile nello scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo esautorato e trasferito perché voleva fare le indagini su Expo.
E da quello scontro interno alla procura di Milano è derivata la linea generale del Csm che adesso lascia i capi delle procure liberi di scegliersi gli aggiunti senza interferire e rinunciando in pratica al suo ruolo.
Tanto è vero che Greco riusciva a far nominare tra i suoi vice Laura Pedio che aveva titoli di gran lunga inferiori a quelli di Annunziata Ciaravolo. Ciaravolo aveva preannunciato a Greco la propria candidatura e il capo della procura aveva dato l’ok. Poi, è storia nota, Greco chiedendo l’appoggio di Palamara riusciva a ottenere il grado per la sua protetta.
Adesso la rogatoria eseguita in Nigeria dall’aggiunto Pedio per il caso Eni è al centro di uno scontro furibondo con la procura di Brescia che chiede quelle carte nell’ambito dell’inchiesta sui pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Greco ha risposto picche spiegando che gli atti fanno parte di una istruttoria in corso coperta da segreto. Il procuratore di Brescia Francesco Prete, in questa lotta a chi ce l’ha più duro, si è rivolto al Governo che dovrebbe chiedere lumi alla Nigeria. Lo stato africano avendo fornito assistenza alla procura di Milano non dovrebbe creare problemi per il passaggio delle carte anche a Brescia. Ma nella vicenda Eni che sta facendo vivere alla procura milanese e al suo capo i giorni più difficili della sua storia nulla è scontato.
(frank cimini)
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Tra pm e tribunale pace ridicola toppa peggio del buco
Prima scatenano la guerra sulla sentenza di assoluzione del caso Eni-Nigeria dicendone di tutti i colori a carico degli interlocutori poi cercano di fare marcia indietro con una riunione che partorisce un comunicato “di pace”. È la storia degli ultimi giorni dei rapporti tra la procura e il Tribunale di Milano.
”La giurisdizione milanese ha sempre rispettato e valorizzato i principi costituzionali del giusto processo e dell’obbligatorietà dell’azione penale, della funzione del pm come organo di giustizia che dunque non vince e non perde i processi ma in conformità alle norme li istruisce” si legge nella nota a firma del presidente del Tribunale Roberto Bichi cofirmata dal procuratore Francesco Greco dal presidente della sezione misure di sorveglianza Fabio Roia dal numero uno dei gip Aurelio Barazzetta e dagli aggiunti Maurizio Romanelli e Eugenio Fusco.
Insomma questi signori in toga vorrebbero farci credere che non era accaduto nulla. Una riedizione di quanto gridava il mitico Everardo Della Noce durante latrasmissione “Quelli che il calcio”. “… ma alla fine non è successo niente”.
Eppure la mitica procura che fu di Mani pulite aveva spedito ai colleghi di Brescia competenti a indagare sui magistrati di Milano le parole di un testimone largamente inattendibile secondo il quale due avvocati patrocinatori di Eni Nerio Diodà e Paola Severino ex ministro della giustizia avrebbero avuto “accesso” al presidente del Tribunale Marco Tremolada.
Brescia archiviava senza fare iscrizioni al registro degli indagati e senza interrogare nessuno. D’altronde si trattava di cosa senza fondamento. Ma proprio per questa ragione la mossa della procura era stata gravissima. E infatti il presidente Bichi aveva preso una posizione netta mettendo nero su bianco la parola “insinuazioni”.
Adesso arrivano i tarallucci e vino, la voglia di metterci una pietra sopra al fine di evitare ulteriori imbarazzi. Ma resta che la procura si era mossa come il classico elefante in cristalleria. Nonostante il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale in sede di requisitoria con grande onestà avesse affermato “qui sia chiaro non c’è la pistola fumante”. La richiesta di condanna poggiava su una sorta di prova logica nell’ambito del cosiddetto rito ambrosiano nato con Main pulite.
I giudici hanno deciso di assolvere e non si tratta certo del primo processo in tema di corruzione internazionale in cui la tesi dei pm di Milano è stata sconfitta. Anche se il comunicato congiunto quello della “pace” dice di non voler sentire di processi vinti e persi. La toppa è peggio del buco.
(frank cimini)