Condannato per droga a casa sua, in Albania, grazie anche a indagini italiane. Pena già interamente scontata. Stessi fatti, stessi tempi, stesse contestazioni: “non vi è dubbio”, scrive il giudice. Ma siccome adesso è l’Italia a volerlo processare, dei suoi quattro anni e rotti passati in carcere a Kruje, il nostro Paese francamente se ne infischia.
E.F. finisce in un’inchiestona della Dda di Milano nei primi anni del millennio. Richiesta d’arresto del 2005, cioè 16 anni fa, per traffico internazionale di droga. Arriva la condanna, 6 anni e 8 mesi. Di galere, intanto, incontra quelle patrie. La Procura di Milano ha contribuito con i suoi atti d’indagine all’inchiesta del procuratore di Tirana, con tanto di incontro tra magistrati avvenuto in Albania nel 2005. Oggi la procura di Milano insiste per processare di nuovo E.F.. Per gli stessi identici fatti. A dirlo non è solo il suo legale italiano, Daniele Sussman Steinberg, che da mesi chiedendo il proscioglimento sollevando in aula la questione, ma lo stesso giudice a cui viene posta.
“Non vi è dubbio – scrive il gup Roberto Crepaldi – che i fatti per i quali si è proceduto in Albania costituiscono i medesimi per i quali è a processo oggi: la lettura della sentenza consente di comprendere come il procedimento estero si sia svolto, a carico di E.F., in relazione al delitto di traffico di sostenze stupefacenti (quattro episodi) e si sia concluso con la condanna alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione. Inoltre, la stessa motivazione della sentenza della Corte evidenzia che si tratti di procedimenti fondati sui medesimi atti di indagine, portati avanti in sinergia dalle autorità inquirenti dei due Paesi. Ciò non è, tuttavia, sufficiente a comportare la (automatica) improcedibilità dell’azione penale: dando per scontata l’esatta corrispondenza tra i fatti per cui si procede e quelli già giudicati in Albania – argomenta Crepaldi – vi è un ostacolo giuridico di un’automatica preclusione derivante dal bis in idem“. Cioè: sappiamo benissimo che hai già pagato per i reati che hai commesso, ma ti riprocessiamo comunque. Com’è possibile? C’è un “difetto di accordi bilaterali”, spiega il giudice, e dunque non è preclusa la “rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo quello del ne bis in idem un principio generale del diritto internazionale”. Non basta “la Convenzione sul trasferimento delle procedure penali, aperta alla firma a Strasburgo nel 1972 ma mai ratificata dall’Italia”. E neppure il richiamo alla Carta di Nizza, essendo l’Albania “estranea al territorio dell’Unione europea”. Del resto il ne bis in idem è solo “un principio tendenziale cui si ispira oggi l’ordinamento internazionale”. E allora si rigetta l’istanza della difesa e si dispone il procedersi oltre. A processo, di nuovo, per gli stessi fatti, con le stesse prove, quelle di 16 anni fa. Poi un giorno, magari, alla fine del processo, dopo udienze celebrate, soldi spesi, vedremo quel che accadrà…intanto viva bis in idem.
Nel frattempo l’albanese, riarrestato in Italia per la seconda tranche della stessa inchiesta e poi messo ai domiciliari, nel 2015 ha pensato bene di darsela a gambe e tornare in Albania, dove si è fatto una famiglia e ha dei figli. Difficile negare che dal suo punto di vista la fuga dalla giustizia italiana abbia una sua razionalità.
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Pena già scontata in Albania, per l’Italia non conta
17 anni per chiudere un’indagine su uno spaccio all’inizio del millennio
Capita, a inizio stagione giudiziaria, di trovare un avvocato nei corridoi della Procura e, dopo i saluti di rito, chiedergli se abbia qualcosa di interessante. “Nulla di che, sto andando a informarmi su un’inchiesta chiusa dopo 17 anni”, ti risponde come se fosse un’attività di routine.
Un’indagine complessa, non c’è che dire. Un’ottantina di indagati in origine, diversi pm all’opera, venti faldoni di intercettazioni, pedinamenti, ricostruzioni su un maxi spaccio di pasticche di ecstasy avvenuto a Milano all’inizio del nuovo millennio. Ma 17 anni per arrivare alla chiusura delle indagini notificata a 11 persone è un tempo che ci appare davvero mostruoso. “La prescrizione non c’è ancora, ci vogliono più di 20 anni”, spiega l’avvocato Mirko Perlino cui la chiusura è stata recapitata in questi giorni, sebbene la data sull’atto, firmato dal pm Francesca Celle, sia 31 marzo 2016. “Forse hanno fatto fatica a individuare i domicili di alcuni degli indagati”, ipotizza il legale. In effetti, 17 anni dopo uno avrà pure cambiato casa.
(manuela d’alessandro)
Sequestrata per ‘spaccio’ la discoteca a Rimini
Penalisti italiani senza locale per festeggiare
Una due giorni impegnativa, “dedicata a osservatori e commissioni, alle prospettive dei giovani penalisti, alla specializzazione e alla formazione“, richiede un momento di distensione collettiva finale. Per i legali d’ogni parte d’Italia, più che auspicabile è necessario. Tanto più se sei a Rimini in un fine settimana di metà giugno, con il sole che spacca le pietre e rischia di attenuare le capacità dei più fini intelletti giuridici dello Stivale.
Per questo, in occasione del primo “Open day dell’Unione delle Camere Penali Italiane“, era prevista una “cena estiva alla discoteca Coconuts“, con “musica dal vivo” a cura del celebre “Vando Scheggia e il suo gruppo”, come recita il programma del 12 e 13 giugno.
E invece, al Coconuts, la festicciola non si terrà. Il locale è stato chiuso questa mattina, per 30 giorni. “Trentadue risse in due anni, l’ultima meno di un mese fa, 19enne accoltellato da coetanei”, scrive l’agenzia Ansa da Rimini. Nell’ambito dell’operazione ‘Titano’, è stato mandato agli arresti domiciliari uno dei fratelli titolari del locale, in cui, stando agli inquirenti, lo spaccio era abituale e in sostanza tollerato. La discoteca è stata anche passata al setaccio da due cani antidroga della polizia, un pastore tedesco femmina, Delta, “vicina alla pensione, e Wally, un labrador di 35 chilogrammi e fiuto veloce”, come riporta fedelmente l’Ansa.
Insomma sembra destinato a saltare il momento di svago dell’Open Day. E ora i penalisti in trasferta da Milano e non solo si chiedono: “Dov’è la festa?”. (ndr)