giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Perché un avvocato difende anche uno stupratore

L’avvocato che non deve difendere. Nulla di nuovo sotto il sole (ma sarebbe più giusto dire nuvole) se il peggior becerume nostrano si è scagliato in questi giorni contro un avvocato di Lugo, reo di prestare la propria opera professionale a un imputato di omissione di soccorso stradale. O se una collega romana ha ritenuto di doverci pubblicamente spiegare che ha accettato di difendere uno dei due carabinieri accusati di stupro solo perché ne avrebbe letto negli occhi la di lui innocenza.

Quante volte infatti, anche in contesti più ‘evoluti’, ci viene richiesto con dissimulata malizia: “Come fai a difendere un assassino ?”. O uno stupratore o un mafioso o un pedofilo o anche, perché no? un bancarottiere o un politico corrotto e persino un truffatore, aggiungo: il codice penale è ricco, come la vita, di figure delinquenziali.

Si ha un bel dire che i paesi civili si distinguono da quelli ove vige la legge del taglione proprio perché esiste il diritto, il processo e quindi anche gli avvocati difensori. O che assistere tecnicamente un imputato affinché vengano rispettate le regole sancite da quella stessa legge che sarebbe stata da lui violata è un principio tutelato anche dalla nostra tanto amata Costituzione, oltre che dal mero buon senso, eppure nulla da fare. Difendere il ‘mostro’ equivale, per i benpensanti di risulta, a contribuire al suo crimine garantendogli impunità, e pertanto non resta che confidare nei bravi e onesti magistrati che non si fanno buggerare dall’azzeccagarbugli prezzolato di turno. Ai quali invece a nessuno verrebbe in mente di chiedere, con altrettanta malizia e tra un tramezzino e l’altro di una serata mondana, “Ma come fai a sbattere in una gabbia per tutta la vita un essere umano ?”. Eppure il mestiere dell’avvocato dovrebbe essere considerato non si dice nobile, anche se un tempo pare lo fosse, ma almeno utile perché consiste semplicemente nel vigilare che venga applicata la legge che regola il processo accertativo di un fatto, anche perché, come disse anni fa qualcuno ben più bravo di me: “il codice penale è scritto per i colpevoli e quello di procedura per gli innocenti”.

Una sentenza giusta è una sentenza che ha applicato la legge, e quella legge prevede che il verdetto sia la conclusione di un iter che indica tra le parti necessarie anche l’avvocato, altrimenti è una sentenza sbagliata che non vale nulla. E’ un controsenso dire che non si difendono i colpevoli di un certo reato, anche perché difendere non significa solo sostenere contro ogni logica l’innocenza del proprio assistito, ma far sì che venga condannato alla pena giusta. E se al termine del processo le prove a suo carico si sono rivelate insufficienti, la sentenza giusta è quella che lo assolve e non quella che lo condanna nel dubbio per tacitare la voglia di forca, e bene ha fatto l’avvocato a impegnarsi perché non avvenisse ciò. A questo servono gli avvocati, che per definizione si occupano di fatti accaduti “ad altri” e non certo a loro, e mi piace ricordare come rispose una simpatica e brava avvocata a un cliente che le diceva che con il suo mestiere ne avrebbe ‘viste’ di tutti i colori: “Abbia pazienza, ne sento, non ne vedo…”. Ma il diritto non piace più, piace la legalità intesa nel suo peggiore degli ossimori, esultando quando una gabbia si chiude e gridando allo scandalo quando si apre, al punto che sono stati coniati neologismi imbecilli tipo “garantista”, per definire un giudice che rispetta la legge.

Perché è legittimo non esserlo? Assistiamo a leggi assurde sulla prescrizione trasformata da secolare baluardo di diritto a mero escamotage da contrastare. Però detto questo, diciamoci la verità colleghi, è anche colpa nostra se da anni vige intorno a noi questa pessima fama. Da quanto tempo abbiamo consentito che anche nei Tribunali il nostro ruolo venisse pesantemente sminuito se non considerato d’intralcio alla giusta prevenzione e repressione del male “in nome del popolo italiano”? Da quanto tempo anche tra noi il legale apprezzato è solo quello che collabora col magistrato e coi media, altrimenti viene ritenuto un fastidioso rompiscatole se non in taluni casi addirittura un connivente? E allora, se non serviamo a nulla e finiamo con il partecipare quali convitati di pietra ad un gigantesco teatrino, sol per comperarci la casa o fare le vacanze al mare con la famigliola e la bella macchina, fanno bene tutti gli altri a considerarci degli inutili impicci alla tanto agognata legalità, e ad additarci come mercenari del crimine.

avvocato Davide Steccanella

 

 

35 anni dopo, fu vera gloria la legge sui pentiti?

Il 29 maggio 1982, durante quella che venne definita “emergenza terrorismo” veniva approvata in Italia la Legge n. 304 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 2 giugno) dal titolo “Misure a difesa dell’ordine costituzionale”. La cosiddetta “legge sui pentiti” introduce all’art. 3 notevoli sconti di pena per chi “rende piena confessione di tutti i reati commessi e aiuta l’ autorità di polizia o giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura di uno o più autori di reati commessi ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per la esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori di esso.”

In tal caso” si legge “la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dieci a dodici anni e le altre pene sono diminuite della metà, ma non possono superare, in ogni caso, i dieci anni”. Al secondo comma del medesimo art. 3 si legge che quelle pene già ridotte sono ulteriormente diminuite fino ad un terzo “quando i comportamenti previsti dal comma precedente sono di eccezionale rilevanza” e in tal caso è prevista, si legge al successivo art. 6, “la libertà provvisoria con la sentenza di primo grado o anche successivamente quando, tenuto conto della personalità, anche desunta dalle modalità della condotta, nonché dal comportamento processuale, il giudice possa fondatamente ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività.”.

All’inizio la Legge verrà aspramente criticata da molti cultori del diritto e alcuni giudici milanesi scriveranno, in una Sentenza del 1983, che “spoglia il magistrato della sua dote più sacra, l’imparzialità assoluta nei confronti di chiunque e comunque delinqua» (cfr. Sentenza 20/83, pag. 99).

Tra i casi che destano più “scalpore” nell’opinione pubblica quello dell’ex BR Patrizio Peci, che a fronte di 7 omicidi confessati (più numerosi ferimenti) uscirà dal carcere dopo soli 3 anni e mezzo in regime di protezione, quello del milanese Marco Barbone, scarcerato dopo poco più di 2 anni dal suo arresto al termine del processo di primo grado per l’ omicidio di Walter Tobagi, e quello dell’ex piellino Michele Viscardi, tra i responsabili dell’omicidio del giudice Guido Galli, che sconterà una pena inferiore a quella del settantenne ex partigiano bolognese Torquato Bignami denunciato dal Viscardi per avere prestato al figlio Maurice (anch’egli di Prima Linea) un appartamento a Sorrento, dove fu ricoverato il Viscardi stesso perché ferito in un conflitto a fuoco dopo una rapina a Ponte di Cetti (Viterbo), in cui erano rimasti uccisi i carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa. Continua a leggere

Perché la separazione delle carriere non è il rimedio al male

 

E’ di questi giorni la raccolta firme a sostegno dell’iniziativa popolare per la separazione delle carriere della magistratura promossa da UCPI (Unione Camere Penali Italiane) e annunciata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 93 del 21 aprile 2017.

Il nucleo centrale risiede nella sostituzione dell’attuale primo comma dell’art. 106 della Costituzione che dovrebbe, nell’intenzione dei proponenti, diventare il seguente: “le nomine dei magistrati giudicanti e requirenti hanno luogo per concorsi separati”.

Le ragioni a sostegno dell’iniziativa (che potremmo dire quasi “rivoluzionaria” nel nostro paese) sono plurime, e per la gran parte già note, posto che trattasi di problematica di cui si discute ampiamente da anni e da più parti, ma sostanzialmente si condensano nella volontà di meglio garantire la necessaria “terzietà” del giudicante rispetto ad una delle due parti in contesa, in coerenza con quel “modello accusatorio” che fu il principio ispiratore del codice di rito del 1989.

“Giocheresti una partita arbitrata dal fratello del tuo avversario?” si legge sul sito web del comitato promotore (separazionecarriere.it.) per evidenziare, con efficace slogan, quello che viene ritenuto essere il vizio capitale dell’attuale ordinamento giudiziario: il comune concorso di provenienza.

Da un lato perché chi proviene da una stessa selezione non potrebbe in futuro conservare giusta equidistanza da chi verrebbe comunque visto come un ex “compagno di scuola” e dall’altro perché quella comune legittimazione concorsuale consente successivi passaggi di funzione ulteriormente rafforzanti lo spirito di “colleganza” tra giudicanti e requirenti.

Ne deriva che eliminando quel vizio originario il giudizio penale riacquisterebbe, secondo i promotori, la sua giusta natura di leale confronto tra due parti in perfetta par condicio di fronte al Giudice.

Le motivazioni sono certamente più che lodevoli, ma personalmente non ritengo efficace il rimedio proposto, e non tanto per ragioni “culturali” o “politiche”, ma per un motivo ben più pratico, che cercherò di spiegare.

Se il punto dolens, e su questo siamo ovviamente tutti d’accordo che lo sia, è che a noi difensori capiti talvolta di incappare in giudici palesemente sbilanciati verso la pubblica accusa, la ragione dipende esclusivamente dalla persona di quel giudice che ha evidentemente sbagliato mestiere.

Chi sceglie di esercitare una funzione così delicata, che incide direttamente sulla vita delle persone, deve infatti avere molto chiaro che il suo lavoro consisterà unicamente nel valutare in assoluta oggettività lo spessore delle prove raccolte dalle parti in contesa, e senza il benché minimo condizionamento aliunde, qualunque esso sia.

Un giudice che invece pronuncia una sentenza “in nome del popolo italiano” (evidentemente formato anche da soggetti diversi dai suoi “compagnucci di concorso”) tenendo anche conto della diversità d’ufficio di una delle due parti, è un pessimo magistrato per tara genetica e resterà un pessimo giudice vita natural durante.

Chi nasce pessimo giudice non migliora in forza di legge, né l’imparzialità di giudizio può essere garantita a colpi di commi.

Nella mia professione ho incontrato, come tutti, pessimi giudici e ottimi PM, e come non ho mai pensato che un pessimo PM potesse trasformarsi in futuro in ottimo giudice, altrettanto vale per quei pessimi giudici che non sarà certo un diverso concorso a trasformarl in bravi magistrati.

So bene che mi si obietterà che la riforma di un sistema prescinde dalle singole individualità, e che in ogni caso “il meglio è nemico del bene”, ma proprio perché il tema della terzietà del giudice è fondamentale, temo le soluzioni foglia di fico un po’ ipocrita.

“Avete voluto la separazione delle carriere ? Allora non lamentatevi più” e i pessimi giudici e le pessime sentenze avranno pure l’avallo di una imparzialità per…legge.

avvocato Davide Steccanella

L”Agenda rivoluzionaria 2017″ di Steccanella, un inno quotidiano a chi ha cambiato il mondo

E’ in libreria l”Agenda Rivoluzionaria 2017′ (edizioni Mimesis, 16 euro) firmata dall’avvocato Davide Steccanella che fa rivivere per ogni giorno dell’anno la fiamma di piccole e grandi ribellioni passate e recenti avvenute in tutto il mondo.

- Davide, all’inizio dell’agenda citi questa frase diMichail Bakunin: “La rivoluzione è sempre per tre quarti fantasia e per un quarto realtà”. E’ proprio così?

- Bakunin e questa frase mi piacciono molto ma l’agenda lo smentisce! Basti pensare proprio alla rivoluzione russa di cui quest’anno ricorre il centenario. Da qualche parte c’è sempre un fermento rivoluzionario, la storia non si ferma e non si smette mai di lottare. Ho scoperto che sono successe nel mondo tante di quelle cose  che è stato complicato sceglierne una al giorno…

- Quali fonti hai utilizzato per trovare ogni giorno una data significativa?

- E’ stato un lavoro faticoso, durato più di un anno. La storia per me è una passione che ho ereditato dal papà. Ho consultato tonnellate di libri, giornali e documenti dell’epoca, l’archivo ‘Cipriani’ e altri e un interessante sito web che si chiama ‘Anarcopedia’, una specie di wikipedia anarchico.

- Perché in Italia, nonostante ci sia una progressiva compressione dei diritti, soprattutto sul lavoro, non si fa una rivoluzione?

- In Italia e nell’occidente manca l’idea di conquistare qualcosa collettivamente, nella storia le conquiste si sono fatte sempre lottando insieme. C’entra il fatto che la nostra società è fondata sull’individualismo ma anche che si è fatta un’opera di rimozione della ribellione. E’ importante che i giovani conoscano il passato. C’è un atteggiamento molto conformista, gli unici a protestare sono i grillini ma non hanno ideologie. Ho paura che non è che non ci sono più solo le ideologie ma nemmeno le idee.

- C’è ancora qualcuno che defineresti rivoluzionario nel nostro paese?

- I ragazzi del movimento No Tav per esempio. Il loro è un dissenso giudicato fastidioso perché oggi viene tollerato solo quello ‘interno’ al potere, il resto è criminalizzato.

- E’ vero che si nasce rivoluzionari e si muore pompieri?

- No! Tanti non hanno fatto questo percorso, ma di loro non si parla, si parla degli altri.

- Chiudiamo con una domanda personale. Cè una data che ha rivoluzionato la tua vita?

- Si, il 9 aprile 1986 quando mi sono fidanzato con un uomo e ho capito che la mia vita poteva essere bella lo stesso.

(manuela d’alessandro)

Avvocati arrestati in Turchia, quando succedeva anche in Italia e perché

La vibrata e giusta protesta delle toghe nostrane a Milano contro l’arresto di  alcuni legali in Turchia non deve farci dimenticare che negli anni della cosiddetta “emergenza terroristica” anche in Italia furono incarcerati parecchi avvocati.

Il primo fu il “caso Senese”, quando il 2 maggio 1977 venne arrestato a Napoli l’avvocato Saverio Senese difensore di alcuni militanti dei Nuclei Armati Proletari, con l’accusa di “partecipazione a banda armata”. Passano pochi giorni e il 12 maggio sempre del 1977 l’autorità giudiziaria di Milano arresta Sergio Spazzali e Giovanni Cappelli, legali di “Soccorso rosso”, l’organizzazione fondata alcuni anni prima tra gli altri da Dario Fo e Franca Rame per la difesa dei tanti militanti di sinistra, e che verranno scarcerati il 28 agosto 1977. Sergio Spazzali era già stato arrestato due anni prima, il 21 novembre del 1975, per una esportazione di armi con alcuni anarchici svizzeri e in carcere a San Vittore aveva subito, unitamente ad altri tre detenuti “politici”, una violenta aggressione, prima di essere scarcerato il 15 aprile 1976. Sempre Sergio Spazzali il 19 aprile 1980 verrà arrestato per la terza volta sulla base delle dichiarazioni del pentito Patrizio Peci e trascorrerà altri 14 mesi di prigione prima di essere assolto in primo grado il 17 giugno del 1981, assoluzione riformata dalla Corte d’Appello che in accoglimento dell’impugnazione della Procura, il 20 marzo 1982 lo condanna a 4 anni. Sergio Spazzali a quel punto ripara all’estero e morirà a Miramas il 22 gennaio 1994, mentre “Nanni” Cappelli smetterà per sempre di fare l’avvocato e dopo avere vissuto con la comunità Saman di Osho aprirà un ristorante alle Hawai con un diverso nome.

Ma quel 19 aprile del 1980, e sempre a seguito delle dichiarazioni di Peci, i carabinieri di Genova si recano a casa dell’Avvocato Edoardo Arnaldi per arrestarlo e Arnaldi, che ha 55 anni e soffre di gravi problemi di salute, si toglie la vita sparandosi un colpo di rivoltella nel bagno mentre nella stanza a fianco si trovava sua moglie. Meno di un mese dopo, il 2 maggio 1980, viene arrestato l’avvocato milanese Gabriele Fuga che il pentito Enrico Paghera indica come appartenente all’Organizzazione anarchica Azione Rivoluzionaria e che sconterà 15 mesi di prigione preventiva prima di essere assolto al processo di Livorno. A difendere Fuga c’è l’avvocato Luigi Zezza che a sua volta il 16 gennaio 1981 viene colpito da mandato di cattura con l’accusa di partecipazione a banda armata ma riesce a riparare all’estero e il 22 ottobre del 1984 verrà assolto. L’Avvocato Fuga verrà nuovamente arrestato il 13 luglio del 1982 con l’accusa di partecipazione a Prima Linea e ancora una volta, dopo una condanna in primo grado, verrà assolto in appello.

Le manette contro gli avvocati dei militanti di sinistra non si fermano e dopo che il 20 maggio del 1980 era stato arrestato l’Avvocato Rocco Ventre, il 13 febbraio del 1981 a Roma il Sostituto Luciano Infelisi arresta in un colpo suolo ben due legali di “Soccorso Rosso”: Eduardo Di Giovanni e Giovanna Lombardi. L’accusa è quella di “apologia di reato” e di “istigazione a violare le leggi dello Stato” per aver concorso nella pubblicazione sulla rivista “Corrispondenza Internazionale” diretta da Carmine Fiorillo del documento brigatista “L’ape e il comunista”, curato dal Collettivo dei prigionieri politici. Il 5 marzo saranno tutti assolti e scarcerati. Infine nel 1983, quando scoppia il “caso Pittella”, il giudice romano Rosario Priore emette un mandato di cattura contro l’avvocato calabrese di “Soccorso Rosso” Tommaso Sorrentino che si rifugia all’estero e si costituirà il 20 luglio del 1987 dopo 4 anni di latitanza.

avvocato Davide Steccanella