giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Processo a Podestà sospeso per scontro Bruti – Robledo.
A rischio anche quelli a Formigoni e Berlusconi.

La cruenta sfida in Procura blocca il processo, ormai in dirittura d’arrivo, a Guido Podestà, accusato di falso ideologico in relazione alle presunte firme false raccolte a sostegno della candidatura di Roberto Formigoni alle regionali del 2010.  Il giudice della quarta sezione penale Monica Amicone, come prevede la legge, ha sospeso l’udienza a carico del Presidente della Provincia di Milano dopo che i suoi legali, gli avvocati Gaetano Pecorella e Paolo Veneziani, avevano presentato alla Cassazione un ricorso per chiedere lo spostamento da Milano a Brescia a causa dello scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Nell’istanza i difensori ricordano che l’inchiesta è uno dei ‘casus belli’.

Dalla lite tra i due ‘galli’ della Procura, secondo la difesa, sarebbe derivata una “anomala e irrituale duplicazione” del procedimento: quello iscritto per prima all’epoca e poi archiviato, che era assegnato a Bruti, e quello aperto da Robledo mentre pendeva la decisione del gip  sulla richiesta di archiviazione dell’altro fascicolo.  L’indagine sulle firme false è tra quelle indicate come motivo del contendere davanti al Csm anche perché Bruti ha accusato Robledo di non averlo avvisato con tempestività dell’iscrizione nel registro degli indagati di Podestà, mentre Robledo sostiene di avere infomato subito il suo capo dell’interrogatorio della teste Clotilde Strada che aveva indicato elementi d’accusa contro il politico del Pdl. Il processo è stato sospeso in attesa di una decisione della Suprema Corte. E adesso, sull’esempio della difesa Podestà, potrebbero presentare analoghe istanza anche i legali di Berlusconi e quelli di Formigoni nei processi Ruby e Maugeri, entrambi portati al Csm come ‘pomi della discordia’. Qui sotto riportiamo l’istanza di Podestà, se avessero bisogno di ispirazione.(m. d’a.)

Turci_Podestà_ricorso_ex_art._45_cpp

Vietti difensore di Bruti con lavori del Csm ancora aperti

“Spetta al capo della procura la titolarità dell’azione penale”. Il vicepresidente del Csm Michele Vietti, mentre le commissioni sono ancora al lavoro, si fa intervistare dal quotidiano “La Stampa”, per difendere a spada tratta il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati, l’operato del quale è stato oggetto dell’esposto presentato dall’aggiunto Alfredo Robledo.

Vietti parla nello stesso giorno in cui ha incontrato il capo dello Stato Giorgio Napolitano e anche questo dimostra che sono in gioco cose molto più importanti del destino di un po’ di magistrati che hanno litigato tra loro in relazione all’assegnazione di importanti inchieste.

Il numero 2 dell’organo di autogoverno dei giudici teme l’arrivo di rilievi critici su Bruti dalla commissione che si occupa dell’organizzazione degli uffici giudiziari e usa il peso del suo incarico per cercare di influenzare gli esiti della discussione. Insomma Vietti dovrebbe essere arbitro e invece indossa la maglietta di uno dei due protagonisti della querelle.

E non rinuncia Vietti nemmeno alle lodi sperticate alla procura milanese quando parla di “encomiabile impermeabilità davanti alle fughe di notizie”. Evidentemente il vicepresidente del Csm dimentica come minimo, per stare a tempi più o meno recenti, i verbali di Ruby finiti sui giornali.

Fa bene comunque a essere preoccupato Vietti. In qualsiasi modo dovesse finire la querelle interna alla procura è emerso con chiarezza che i magistrati agiscono in base a criteri di opportunità politica, che l’obbligatorietà dell’azione penale è una ‘foglia di fico’ per nascondere le peggiori nefandezze. Ovviamente per tornare a cose concrete, a fatti, Vietti nell’intervista non fa il minimo accenno al fascicolo prima “sparito” e poi “dimenticato” sulla gara d’asta targata Sea indetta nel 2011 dalla neonata giunta di centro-sinistra. (frank cimini)

Pomarici al Csm, quel pm alla Dda solo perché uditrice di Ilda

Quel giovane pm, Paola Biondolillo, è stata assegnata alla Dda solo perché è stata uditrice di Ilda Boccassini. In una lettera inviata a Bruti Liberati, ora depositata al Csm  nell’ambito della ‘sfida’ Robledo – Bruti Liberati, il pm Ferdinando Pomarici, è molto severo a proposito della nomina della collega alla Direzione Distrettuale: “Mi sembra – scrive il sostituto nella missiva anticipata da panorama.it – priva di alcun requisito idoneo all’assegnazione alla Dda se non quello, pare, di essere stata uditrice giudiziaria dell’attuale coordinatore (Ilda Boccassini, ndr)…”Mi stupisce che un esponente storico come te   di Magistratura Democratica, che si è sempre caratterizzata per le battaglie più decise in tema di concorsi interni, abbia poi rinunciato a tali principi quando, forse, richiesto di derogarvi da chi gradiva l’assegnazione di colleghi di propria personale fiducia”.  Sempre in questa lettera, il pm che indagò sulla vicenda Abu Omar annuncia al capo che non intende più partecipare alle riunioni della dirigenza: “Il disagio si è fortemente acuito per effetto di alcune tue scelte che assolutamente non condivido e che non voglio in alcun modo avallare”

Nella seconda lettera, Pomarici critica  Bruti sulla scelta di assegnare il caso Ruby a Ilda Boccassini, secondo lui intervenuta esercitando una informale «auto assegnazione». Pomarici parla di violazione “di una norma che ha costituito per anni cavallo di battaglia di Md proprio per evitare il fenomeno delle assegnazioni “pilotate”, fonte di timore diffuso che anche le successive indagini possano apparire all’esterno parimenti “pilotate”. (m.d’a.)

Nobili al Csm, mai rinunciato in 34 anni a un’indagine

E’ fnita.  Il Csm serra  le quinte dichiarando chiusa l’istruttoria sulla vicenda Bruti – Robledo con l’ultimo atto, l’audizione del procuratore aggiunto Alberto Nobili. Era stato Robledo a chiedere che venisse ascoltato il pm sull’assegnazione del fascicolo Ruby  a Ilda Boccassini. Secondo la sua versione, Nobili non rinunciò a coordinare l’indagine partita dalle rivelazioni della giovane marocchina perché “mai è stato interpellato sul punto, né è stata richiesta la sua opinione”. “Nobili – si legge nella memoria di Robledo – venne meramente informato della decisione che era già stata presa dal Procuratore della quale si limitò a prendere atto”.

Bruti invece aveva sostenuto davanti al Csm che il fascicolo sulle notti ad Arcore era stato assegnato a Boccassini col beneplacito del magistrato che in quel momento avrebbe dovuto coordinarlo, il procuratore aggiunto Nobili. Ebbene, oggi un consigliere del Csm ha letto testualmente a Nobili quanto scritto da Robledo nella sua memoria chiedendogli se corrispondesse al vero e, non solo il procuratore, protagonista di tantissime ‘storiche’ inchieste sulla criminalità organizzata, ha confermato di non essere stato interpellato prima della decisione sul passaggio dell’inchiesta alla sua ex moglie Boccassini, ma ha anche sottolineato di non essersi mai tirato indietro in 34 anni di carriera di fronte a un’indagine.  Quando Bruti gli comunicò che l’inchiesta non gli saprebbe spettata, Nobili ha detto di averne “preso atto”, senza avere “nulla da obbiettare”. Sia la Prima che la Settima Commissione hanno a questo punto chiuso l’istruttoria avviata in seguito alla denuncia di Robledo su presunte irregolarità nella gestione della Procura da parte di Bruti. La Settima Commissione si riunirà in seduta straordinaria martedì prossimo, giorno in cui potrebbe già formulare le conclusioni da proporre al plenum, mentre la Prima Commissione si riunirà solo all’ inizio di giugno. (manuela d’alessandro)

Raccolta di firme tra pm
non siamo come media ci dipingono

I pm di Milano provano a ridisegnare l’immagine di una Procura spezzata dalla violenta contesa finita davanti al Csm tra il loro capo, Edmondo Bruti Liberati, e il ‘rivale’ Alfredo Robledo. Armando Spataro, che tra poche ore potrebbe salutare l’ufficio ed essere nominato alla guida della Procura di Torino, è tra i  promotori una raccolta di firme a sostegno di un documento, che Giustiziami ha potuto leggere. In essa, il magistrato che ha seguito alcuni tra i più importanti processi di terrorismo interno e internazionale contesta l’immagine che sembrerebbe emergere dalle ultime vicende di una Procura alcova dei peggiori sentimenti. “Nell’ovvio rispetto delle future determinazioni del Csm (…) – si legge nel documento – non possiamo non intervenire in ordine alla rappresentazione mediatica non corrispondente al vero che viene offerta alla pubblica opinione (…) con un’immagine di una Procura dilaniata dalla contrapposizione interna. Respingiamo ogni tentativo di delegittimazione complessiva dell’operato della Procura che rischia di danneggiare la credibilità e compromettere l’efficacia dell’azione dell’ufficio”. A quanto ci risulta, il foglio fatto girare negli uffici ha raccolto il consenso della maggioranza dei pubblici ministeri, anche se non l’unanimità. Hanno firmato in 62 su un’ottantina complessiva di pm in servizio a Milano.  Alcuni di loro non si è riusciti a contattarli, altri hanno invece non hanno condiviso il contenuto del documento. In qualche caso ci sono stati anche dibattti molto duri tra i sostenitori dell’iniziativa e chi non ha firmato.

Francamente, con tutta la stima per Spataro e per molti altri pubblici ministeri che giustamente rivendicano la serenità per lavorare, non ce la sentiamo di assumerci la responsabilità di avere raffigurato la Procura così come non è. E’ un fatto che sia in corso al quarto piano una lotta senza esclusione di colpi che non coinvolge soltanto il capo e Robledo ma anche tutte le toghe, e sono tante, che hanno preso posizione a favore dell’uno o dell’altro, a volte con toni anche molto duri nella camera caritatis delle loro stanze. E questo fatto è stato raccontato, bene o male. Ci si è anche ricamato sopra, a volte in modo discutibile, ma il dato di partenza è che a Milano sta succedendo qualcosa che prima mai si era visto. (manuela d’alessandro)