giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La crisi dell’avvocato gratis, sempre di più i ‘no’ dei giudici

Se non muori di fame, pur dichiarando di essere nullatenente, non hai diritto all’avvocato gratis.  E’ questa la tendenza che si sta affermando in tribunale a Milano come ha denunciato per primo l’avvocato Corrado Limentani in un post su Facebook che ha raccolto tantissime adesioni da parte di altri rappresentanti del foro meneghino. Un tempo, racconta il legale, tra i massimi esperti sul tema a cui ha dedicato anche dei corsi di formazione, “il giudice chiedeva all’imputato che si dichiarava povero di portargli vicini di casa e amici che testimoniassero la sua effettiva indigenza per valutare se avesse diritto all’avvocato gratis”.

Verrebbe da sorridere pensando all’apparente criterio granitico previsto dalla legge attuale in base alla quale può approfittare di questo istituto di grande civiltà, nato per garantire a tutti la possibilità di difendersi, chi dichiari un reddito inferiore a 11mila euro.  Invece le cose sono molto più complicate nella realtà. 

Si moltiplicano le decisioni dei giudici che negano il beneficio anche per chi ha un reddito zero o inferiore alla soglia prevista dalla legge   con la motivazione che, vista l’oggettiva impossibilità di sopravvivenza da parte del richiedente e del proprio nucleo familiare alla luce di un reddito così esiguo come quello dichiarato, si presume che percepisca denaro non dichiarato a fini fiscali  in quanto provento di attività lavorativa in nero, o benefici di regalie o elargizioni di congiunti il cui ammontare consente il sostentamento. La dichiarazione  di nullatenenza, quindi, finisce con l’essere carta straccia e non consente di effettuare alcuna concreta valutazione sulla presenza dei requisiti per essere ammessi al gratuito patrocinio. Spesso, segnalano diversi avvocati, i giudici presuppongono, senza fare verifiche,  che gli imputati nascondano il loro reddito in quanto provento di reato prima ancora che ci sia una sentenza che li dichiari responsabili.

La tendenza, stando a quanto riferito da diversi legali, è cambiata da un anno mezzo a questa parte quando i giudici hanno cominciato a concedere meno il patrocinio a spese dello Stato. E’ chiaro che dietro ad alcune dichiarazioni di indigenza possono esserci degli abusi ma il punto, chiarisce Limentani, “è che i giudici non dispongono accertamenti per verificarlo, come sarebbe in loro potere”. Decidono ‘a prescindere‘ che, se una persona non muore di fame, non può essere così povera. Il che contrasta con una sentenza con cui la Cassazione, nel 2017, stabiliva che “la semplice affermazione dell’assenza totale di reddito non è affatto di per sé un potenziale inganno (com’era stato ritenuto nel caso della donna che poi ha vinto il ricorso alla Suprema Corte, ndr)” e il giudice deve attivare i suoi “poteri di accertamento”, come per esempio sollecitare l’intervento della Guardia di Finanza, per valutare se l’imputato stia mentendo sulle sue condizioni economiche solo per non pagare la parcella.

In un caso denunciato dall’avvocato Francesca Beretta, “a una donna imputata per maltrattamenti che non riceve nessun aiuto economico dai familiari è stato chiesto di dimostrare di non avere redditi da attività illecita. Nel caso li avessi – si chiede la legale – mi devo autodenunciare?”. “Siamo stanchi – afferma Beretta – viene negato un diritto a chi lo avrebbe e noi dobbiamo scegliere tra un processo gratis e rinunciare al cliente per non lavorare gratis”. Inoltre, “quando gli imputati sono irreperibili, i giudici ti costringono a produrre la dichiarazione consolare relativa ai redditi prodotti all’estero ma i consolati non rispondono mai. Sto attendendo una risposta dal 18 settembre del 2018 dal consolato del Marocco. C’è di più: molti giudici vogliono che contattiamo l’Ufficio immigrazione della Questura che, come il consolato, non risponde mai, nemmeno su sollecito”.

Interessante anche l’analisi statistica dei dati raccolti dall’Ordine degli Avvocati. In ambito civile, nel 2018 sono state 4618 le istanze di patrocinio dello Stato valutate in via preliminare dal consiglio dell’organo di rappresentanza dei legali presentate da persone richiedenti la protezione internazionale, sulla cui ammissione poi il giudice ha la parola definitiva. Circa il 50% delle richieste totali nel civile con una liquidazione media per ciascun legale  di 800 – 900 euro a procedimento (il dato non è ufficiale ma riferito da fonti qualificate). Un numero che cresce sempre di più. Ogni anno, lo Stato mette a disposizione un budget per ciascun Tribunale (a Milano 15 milioni di euro) per varie spese di giustizia, tra cui anche una somma da destinare all’istituto dell ‘avvocato gratis’. Quando il capitolato di spesa si esaurisce, le note vengono comunque liquidate dai giudici agli avvocati che però non vengono pagati perché mancano le risorse. “Come Ordine – spiega l’avvocato e consigliere Andrea Del Corno – il problema è quello delle disponibilità finanziarie per liquidare le note”. Appare evidente che le somme stanziate dallo Stato non sono sufficienti, anche alla luce dell’incremento delle domande dei migranti, il cui diritto all’avvocato è indiscutibile quanto quello per gli indigenti italiani. (manuela d’alessandro)

“Oltre il confine”, la folle guerra dei precari passa dal Tribunale

Igor Greganti fa quello che nessuno ha osato nei nostri anni della crisi. Fa scoppiare una guerra. Che poi, nemmeno minuscoli focolai di piazza si sono visti, a parte qualche forcone smussato. E quindi si valuti bene la portata della sua straordinaria impresa. Col romanzo ‘Oltre il confine’, restituisce alla generazione dei 30 – 40enni italiani quello che la crisi gli ha tolto: la possibilità di una trincea, quella linea di polvere e sangue negata da un’epoca che, con la moltiplicazione dei contratti, ha sigillato i precari in tanti  vasi non comunicanti, un esercito frammentato e coi fucili senza canna verso la disfatta.

E’ una guerra assurda, che non ha nulla di eroico e anzi trasuda  ironia e malinconia, stati dell’anima sottili poco affini alla retorica bellica. A cominciare dalla bislacca truppa in campo: Giuseppe Manna, 20 anni compiuti nel 2000 e già testimone di un processo al Presidente del Consiglio, il giornalista stanco Gianni Tristano, l’ex banchiere cinico Simone Fronte e il fragile Paolo Arco. La loro missione non è disarcionare un nemico, grande assente dell’età della crisi, ma portare una valigetta dal contenuto misterioso oltre il confine, mentre si sfaldano tutti i centri del potere: lo Stato, il clero, le industrie, le banche, i media e la giustizia.  Dalle prime sommosse si era passati alla guerra civile dopo che il Presidente del Consiglio aveva annunciato la fine della crisi in “un’altra giornata in cui era davvero difficile trovare un lavoro”.

Quali parole usare per una guerra così folle? Greganti si cimenta in un’altra impresa. Abolisce il linguaggio sciatto e sincopato dei suoi coetanei, inventando una lingua vertiginosa e lenta, che si adatta meglio alla strada tortuosa percorsa dalla generazione precaria, costretta spesso  a camminare sul posto, senza andare avanti né indietro, tanto si è offuscata la sua meta originaria (l’autore sembra chiedersi: ma poi, qual era?). Igor è anche poeta, e per questo non butta sul foglio nemmeno una parola se non ha un abito elegante e un suono tondo. “Così da una decina di mesi o forse più – è il passaggio in cui si racconta la crisi di Manna – aveva scelto di vivere soltanto per se stesso e di dormire in attesa dello sviluppo degli eventi. L’unico rischio che si era concesso era stato comprare i biglietti perdenti di due lotterie appena istituite, facendosi largo anche lui nel virus che accomunava signore intolleranti e stranieri dai denti d’oro”. Finché il rumore dei fucili non fa alzare la testa dal cuscino al giovane testimone del processo al capo del Governo che  ai giudici era riuscito a dire soltanto: ‘Vi rendete conto che fine abbiamo fatto?’.  

La combriccola protagonista del road movie, che passa anche per una chiesa, una locanda e un ospedale, trova approdo e svolta in un luogo che rimanda alla sala stampa dell‘”immenso, quasi bello e terrificante” Palazzo di Giustizia milanese in cui, durante la guerra, si vivacchiava in “un piccolo mondo di toghe imperfette, imputati che si bastonavano da soli e notizie senza lettori, mentre fuori nemmeno gli scontri ad armi in pugno avevano una direzione precisa”.  Sarà un assurdo patto generazionale a indicare la direzione salvando i ragazzi che in trincea imparano il coraggio. A firmarlo un personaggio indimenticabile per chi bazzica i corridoi del Palazzo: il “barbuto” Francesco From, “l’ex influente cronista ribelle, ora valoroso nel non trascurare i migliori tratti dell’animo umano”. Indovinate chi è.

(manuela d’alessandro)

“Oltre il confine” di Igor Greganti, Laurana Editore. Pagine 141, euro 14,90.