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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La protesta dei lavoratori della giustizia: lo Stato ci ‘deve’ 40 milioni

I lavoratori della giustizia chiedono alla Corte dei Conti di accertare che fine abbiano fatto i 64 milioni di euro risparmiati attraverso l’introduzione del processo civile telematico (PCT). Circa 40 di questi milioni, sostengono nell’esposto presentato nei giorni scorsi all’organo contabile del Lazio, dovrebbero essere redistribuiti a chi è impiegato nei tribunali, come prevede la legge.

“Abbiamo chiesto alla Dgisia (Direzione centrale degli appalti informatici del Ministero della Giustizia) come sia stata impiegata questa somma – spiegano i rappresentanti della FLP, il sindacato che ha firmato l’esposto – ma né il suo direttore Pasquale Liccardo, né il Ministro della Giustizia Andrea Orlando hanno risposto”. Secondo i calcoli di chi protesta, spetterebbero circa 1000 euro annui a ciascun lavoratore. E, visto che nessuno ha mosso ciglio di fronte alla rimostranze, il sindacato ha deciso di rivolgersi alla Procura Generale della Corte dei Conti chiedendole di “accertare i fatti esposti; l’avvenuta violazione delle disposizioni normative e le ragioni del loro mancato rispetto; le ragioni della mancata destinazione delle somme dovute al personale dipendente; la destinazione che hanno avuto le somme risparmiate: la sussistenza di illeciti contabili”.

La legge invocata da chi ha promosso il ricorso alla Corte dei Conti prevede che “una quota fino al 30% dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all’interno delle pubbliche amministrazioni è destinata, in misura fino ai due terzi, a premiare il personale coinvolto”. Una norma che appare molto chiara ma molto di quello che accade attorno al PCT diventa oscuro, a cominciare dall’utilizzo dei milioni di fondi Expo destinati a digitalizzare la giustizia milanese sui quali dovrebbe indagare, oltre alle Procure di 3 città, anche la Corte dei Conti lombarda.  (manuela d’alessandro)

La Corte dei Conti ci mette 12 anni per chiudere l’indagine sull’Agenzia regionale del lavoro

 

C’è una giustizia della cui lentezza si parla poco. Ed è quella rappresentata dalla pensosa magistratura che deve ‘far di conto’ e indicare, tra le altre cose, quanto debba risarcire chi sottrae denaro all’erario. Oggi la Procura della Corte dei Conti ha annunciato di avere chiuso un’indagine su 117 consulenze assegnate nel 2005 dall’Agenzia Regionale per l’Istruzione, la Formazione e il Lavoro (ARIFL), ente della Regione che si occupa di interventi pubblici sul mercato del lavoro lombardo.

Sì, 2005, quasi 12 anni fa. E’ una inchiesta ricca di spunti, questa, su una struttura che ha ottenuto fondi comunitari tra cui circa 20 milioni di euro per creare un portale in grado di offrire offerte di lavoro ai cittadini. Sicuramente non è stato semplice per i giudici che lavorano nelle vellutate astmosfere del bel palazzo di via Marina ricostruire le centinaia di “collaborazioni esterne illecite”, le mancanze nella registrazione della contabilità dell’ente, le presunte responsabilità dei 4 dirigenti ai quali è stato inviato l’atto di citazione e che, da presunti innocenti, avrebbero diritto anche loro a un epilogo.

In coda al comunicato, si fa presente che sono in corso “ulteriori accertamenti” sulla gestione dell’Agenzia tra il 2005 e il 2010. Il danno erariale ipotizzato alla fine sarà ben superiore al poco più di mezzo milione di euro contestato solo in relazione al 2005 ma chissà quando il calcolo sarà comppleto e dei giudici si pronunceranno. Proprio non si poteva tagliare prima il traguardo?  Eppure nell’esposto dei revisori dei conti dell’ARIFL alla Corte dei Conti che ha dato il via all’inchiesta nel 2007 c’era già praticamente scritto tutto. (manuela d’alessandro)

“Pronto a luglio”. Ma dopo 19 anni il bunker di Opera resta un cantiere

 

 

Qualcosa di nuovo c’è: una recinto verde che, in teoria, dovrebbe tenere lontani i non addetti ai lavori dal cantiere, come avverte un cartello con monito: “Limite invalicabile, sorveglianza armata”. Invece, è agevole entrare da un cancello aperto e constatare che la promessa del provveditore alle Opere Pubbliche Pietro Baratono non è stata mantenuta. “A luglio – aveva garantito – l’aula bunker di Opera sarà terminata”.

Diciannove anni e l’ennesima estate dopo, quella che doveva essere la nuova sede dei maxi processi milanesi è ancora un cantiere e neppure troppo fervido. “Quando finirete?”. “E chi lo sa”,  risponde con aria sconsolata uno dei pochi operai che si aggirano.

Da marzo a oggi è cambiato poco. Resta una costruzione fantasma accanto al carcere, il cui aspetto più desolante sono le gabbie dove i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Non sembrano terminati neanche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

Il progetto iniziale prevedeva due aule di udienza, poi si è deciso di ridurre a una l’aula e destinare gli altri spazi a un grande archivio. Sopra l’aula sono previsti gli alloggi dei giudici, sotto le celle per ‘ospitare’ i detenuti nelle pause dei processi. Ma negli anni è successo di tutto: i soffitti sono crollati, la ruggine ha aggredito le gabbie, la falda acquifera è salita, com’era prevedibile ma non previsto nel piano originario.

Il cambiamento più evidente è la crescita dell’erba ad altezza d’uomo nei campi che bisogna attraversare per raggiungere l’edificio perché una strada per accedervi non c’è e mai ci sarà: i terreni non sono stati espropriati, come prevedeva il progetto iniziale.

Qualche mese fa,  su impulso della procura generale di Milano la corte dei conti ha aperto un’indagine con l’ipotesi di reato di ‘danno erariale per opera incompiuta’, mentre la procura a cui pure è giunta una segnalazione per il momento non sembra interessata ad approfondire il dossier. (manuela d’alessandro)

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Aula bunker di Opera incompiuta da 19 anni, indaga la Corte dei Conti

 

E infine è arrivata la Corte dei Conti a indagare sull’aula bunker del carcere di Opera in costruzione da 19 anni e non ancora ultimata. In questa storia di giganteschi ritardi anche la magistratura contabile, nel suo piccolo, ha tentennato prima di aprire un fascicolo per appurare se la collettività abbia subito danni.

Mesi fa la Procura Generale aveva presentato un esposto alla Corte dei Conti che ora ipotizza il reato di ‘danno erariale da opera incompiuta’.  Forse non è ancora troppo tardi per spiegare come diversi milioni di euro siano stati investiti in un cantiere senza fine per realizzare un mostro di cemento  attaccato a una delle carceri più grandi in Italia. Soldi e risorse inghiottiti in un progetto più volte cambiato in corso destinato a ospitare maxi processi molto meno frequenti rispetto al remoto 1996, anno in cui la struttura  venne concepita.  La Procura Generale aveva inviato un dossier anche alla Procura che, almeno stando a quanto a noi noto, sembra non avere ancora avviato accertamenti. Del resto, se reati vi fossero, sarebbero con ogni probabilità già prscritti.

Un nostro sopralluogo a marzo aveva svelato un cantiere fatiscente, il cui aspetto più desolante erano le gabbie in cui i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Erano ancora indietro anche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

Il Provveditore regionale alle opere pubbliche, Pietro Baratono, ci aveva assicurato che  a luglio l’opera sarebbe stata consegnata alla giustizia milanese. Vigileremo. (manuela d’alessandro)

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