A pochi giorni dalla decisione con cui la corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo aveva sanzionato l’Italia per non aver introdotto nel suo codice il reato di tortura, arriva dagli stessi giudici un altro colpo tremendo alla credibilità della nostra giustizia. La sentenza che condannò il poliziotto Bruno Contrada non fu legittima. L’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa non era all’epoca previsto dall’ordinamento. E, per giunta, non lo è nemmeno adesso. Il reato fu inventato dalle procure e accolto dai collegi giudicanti. Ma da allora la politica ha fatto nulla. Nè ha inserito il reato nel codice, né ha detto ai magistrati di applicare le leggi che ci sono, senza inventarne altre.
Ironia della sorte buona parte di quelli che avevano applaudito la sentenza europea sulla “macelleria messicana” della scuola Diaz, adesso sulla nuova decisione sembrano molto meno entusiasti (eufemismo). E’ l’ennesima dimostrazione che questo è un paese pieno di garantisti sì, ma ognuno per i propri amici, pronto a utilizzare la clava del penale contro i nemici. E’ la continuazione della logica dell’emergenza, inaugurata per risolvere la questione della sovversione interna negli anni ’70 e poi diventata prassi di governo al tempo della mafia e di Mani pulite, fino ai giorni nostri.
In questo disastro del diritto nell’ex culla del diritto le responsabilità di magistrati e politici pari sono e nessuno sembra in grado di porvi rimedio, dal momento che la norma appena varata sulla tortura appare di difficile applicazione (ancora eufemismo). Chissà cosa succederà adesso che bisognerà prendere atto della decisione di Strasburgo sul concorso esterno. Ovviamente la questione va molto al di là della sorte di Contrada al quale hanno distrutto la vita e che spera nel quarto tentativo di revisione del processo, anziano e malato.
Contrada non è l’unico condannato per un reato che non esiste. I magistrati e i giudici hanno imboccato da decenni una scorciatoia per ovviare alla mancanza di prove. La politica e il Parlamento sono stati complici. Insomma non se ne esce (frank cimini)