giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Strage in Tribunale, per i giudici bresciani ci furono falle nella sicurezza

Per il momento, l’unico che ha pagato è lui: Roberto Piazza, la guardia che presidiava uno degli ingressi del Tribunale di Milano quando Claudio Giardiello entrò per compiere la strage. Nelle motivazioni alla sentenza con cui, il 29 ottobre scorso, l’hanno condannato a 3 anni di carcere, cancellando l’assoluzione del primo grado, i giudici della Corte d’Appello di Brescia riconoscono però le “difficili condizioni nelle quali lavorava” e il cattivo funzionamento del sistema di sicurezza nel Palazzo di Giustizia di Milano. Su questo secondo aspetto, nessuno è mai stato nemmeno indagato dalla Procura.   
Nello spiegare perché Piazza, ultimo anello della catena, è stato condannato per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, i magistrati, presieduti da Mariapaola Borio,  sottolineano il peso di un’intercettazione in cui il killer, che sta scontando l’ergastolo per avere ucciso tre persone e ferite altre due, disse: “Io ho preso la borsa e me ne sono andato, a me nessuno mi ha fermato”. Parole che confermerebbero la negligenza nei controlli da parte dell’imputato. La mattina del 9 aprile 2015, Giardiello fece fuoco con la sua Beretta calibro 9 freddando il giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani, il suo coimputato Giorgio Erba e il giudice Fernando Ciampi. Movente della strage: la rabbia nei confronti di persone che riteneva, a vario titolo, responsabili del suo crac immobiliare e dei conseguenti guai con la giustizia.
Alla guardia viene addebitato di non essersi allarmato nonostante “le tre macchie di particolare intensità” (riprese dalle telecamere della videosorveglianza), corrispondenti a pistola, caricatore  e mazzo di chiavi” che per venti secondi risaltarono sullo schermo al passaggio sotto il tunnel della ’24 ore’ di Giardiello. “Dall’altro lato – sottolineano però i giudici – non possono sottovalutarsi le difficili condizioni nelle quali Piazza si è trovato a lavorare, tenuto conto del fatto che egli, oltre ad essere addetto al Fep (l’apparecchiatura radiogena usata per i controlli, ndr) ricopriva quel giorno, in quanto unica guardia armata presente al varco di via San Barnaba, la funzione di capoposto e quindi con l’esigenza di coordinare e, in qualche modo, controllare, l’operato delle guardie armate, che lo coadiuvavano nell’espletamento dei controlli di accesso con conseguente dispersione di energie nervose”. Inoltre, i giudici evidenziano che “vi sarebbe non poco da osservare sulle modalità di gestione della sicurezza del Palazzo di Giustizia – quali ad esempi il mancato utilizzo di Fep a doppia sorgente o l’incomprensibile sdoppiamento del servizio di guardiania tra personale armato e non armato, impiegato in mansioni sostanzialmente fungibili con ovvi problemi di coordinamento”.                

“No alla vendetta”, la lezione della mamma di Lorenzo nel giorno dell’ergastolo a Giardiello

Ecco le parole dell’avvocato Alberta Brambilla Pisoni, la mamma  di Lorenzo Claris Appiani,  il giovane legale freddato mentre leggeva la formula del giuramento del testimone, dopo la condanna all’ergastolo di Claudio Giardiello.

Se memoria deve restare di quella gelida mattina di sole in cui caddero oltre a Lorenzo, l’imprenditore Giorgio Erba e il giudice Fernando Ciampi,  vorremmo che fosse di questa luminosa lezione di umanità e diritto, e non si sa dove cominci una e finisca l’altro.

“La sentenza rispetta il diritto, la giustizia sarebbe evitare che succedano queste cose. Il processo è stato fatto bene, sono state concesse delle perizie che sono state esaurienti e Giardiello ha avuto tutte le garanzie, com’è giusto che dovesse essere.  Mi è dispiaciuto essere qui presente: lo sono sempre stata quando si parla di Lorenzo e lo sarò sempre, perché quando si parla di Lorenzo io ci sarò sempre, ma non è bello asssitere alla condanna all’ergastolo di una persona. Anche se voi mi avete vista sempre sciolta e battagliera, questa è comunque un’esperienza che ti lascia un sacco di emotività perché comunque un essere della tua specie viene  condannato a una pena a fine vita. La vendetta la lascio a Giardiello, io cerco di lavorare su di me. Per me la vendetta è già un principio di delitto, non viene mai punito il pensiero vendicativo ma già da lì parte qualcosa contro il vivere civile, contro un percorso di miglioramento. La vendetta esiste ma penso che dovremmo fare di tutto per comabatterla”. (manuela d’alessandro)

 

 

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