giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Perché la fine dell’ergastolo ostativo non favorisce la mafia

“Dopo la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non è vero che, come ho letto, rivedremo circolare per le strade i boss mafiosi’. Questa è una bugia anche se detta da un procuratore antimafia”.  Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Ferrara, tra i massimi esperti in Italia di ergastolo ostativo e capofila nella battaglia per eliminarlo, chiarisce i contenuti e conseguenze della  decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Perché non favorisce la mafia

“Questo argomento ha intasato la rassegna stampa degli ultimi giorni, gonfia di dichiarazioni bellicose. Sono prese di posizione  chiaramente mirate a esercitare pressioni sul panel dei 5 giudici europei alla vigilia della loro odierna, coerente e scontata decisione. Eppure, i vari procuratori (anche emeriti) che hanno preso così la parola dovrebbero sapere che l’articolo 3 della CEDU è una delle sole quattro norme della CEU che non ammettono eccezione o sospensione, nemmeno in uno Stato di guerra. I giudici europei non ignorano affatto il fenomeno mafioso, ma sanno che nessun reato, per quanto grave, legittima la violazione della dignità umana protetta da quel divieto. Forse, nei prossimi giorni, ci toccherà sentire voci scandalizzate che chiederanno all’Italia di uscire dal Consiglio d’Europa”.

Cosa succede ai boss

“Caduto l’automatismo ostativo -argomenta – si ritornerà alla regola alla regola della valutazione giurisdizionale individuale. Si chiama riserva di giurisdizione ed è prevista dalla Costituzione come meccanismo di garanzia per tutti cittadini, detenuti compresi. Chi preferisce un giudice ‘passacarte’, in realtà mostra totale sfiducia nella magistratura di sorveglianza, preferendo alla sua autonomia e indipendenza una sua subordinazione alle informative degli apparati di polizia.

Perché è una decisione scontata 

Non sono affatto sorpreso di questa decisione. La sentenza Viola del 13 giugno scorso non faceva altro che applicare al caso italiano una giurisprudenza consolidatissima che considera contraria all’articolo 3 della CEDU una pena perpetua priva di concrete prospettive di liberazione del detenuto, alla luce del suo percorso educativo. Solo chi antepone la logica della politica a quella, stringente, del diritto, poteva anche solo ipotizzare un esito differente”.

Cosa deve fare ora l’Italia

La decisione di oggi è importante per due ragioni; la prima è che la sentenza definitiva segnala nell’ergastolo ostativo un problema strutturale nel nostro ordinamento penitenziario, invitando l’Italia a porvi rimedio attraverso una sua riforma ‘di preferenza di iniziativa legislativa’. Diversamente i molti ricorsi siamesi pendenti a Strasburgo e promossi da altri ergastolani ostativi saranno certamente accolti e l’Italia subirà ripetute condanne per non avere adempiuto all’obbligo di rispettare una delle norme chiave della CEDU.  La seconda ragione è che il 22 ottobre, la Corte Costituzionale si pronuncerà su due questioni di legittimità riguardanti l’articolo 4 – bis, comma I, dell’ordinamento penitenziario, che introduce il regime ostativo applicato all’ergastolo. I giudici costituzionali dovranno misurarsi con le meditate argomentazioni dei loro colleghi di Strasburgo”. Attualmente tre ergastolani su quattro sono ostativi, cioè condannati per gravi reati associativi, che, diversamente da tutti gli altri ristretti in prigione, non beneficeranno mai di alcuna misura extramuraria a meno che non rivelino ciò che ancora sanno dei loro crimini. Lo scopo di tale regime – come la stessa Corte Costituzionale ha recentemente riconosciuto – è di incentivare, per ragioni investigative e di politica criminale generale, la collaborazione con la giustizia attraverso un ‘trattamento penitenziario di particolare asprezza. Il perno di questo regime – una vera e propria presunzione legale assoluta – è che solo collaborando si ha la prova certa sia della rottura col sodalizio criminale che dell’avvenuto processo di ravvedimento del reo”.

La Corte Europea ha bocciato la collaborazione come condizione per avere i benefici?

No, la Corte Europea non ha bocciato la collaborazione come condizione per accedere ai benefici penitenziari ma ha contestato l’equivalenza tra mancata collaborazione e pericolosità sociale del condannato, invitando il legislatore italiano a prevedere anche per l’ergastolano non collaborante la necessità di accedere ai benefici penitenziari, se ha dato la prova del sicuro ravvedimento. Come afferma la sentenza Viola contro Italia numero 2, la scelta se collaborare o meno può non essere libera, quando il reo teme ritorsioni  su di sé o vendette contro i propri familiari. E afferma realisticamente che la stessa collaborazione può nascere non da un’autentica collaborazione, ma anche dall’unico proposito di ottenere i vantaggi di legge, Ecco perché  il solo modo di restituire coerenza al sistema è che sia la magistratura di sorveglianza a valutare, caso per caso, alla luce dell’intero percorso trattamentale del reo, se sia ancora specialmente pericoloso, indipendentemente dalla sua collaborazione con la giustizia.

Logica emergenziale o logica costituzionale?

Rispondo con le parole di Leonardo Sciascia, che di mafia sapeva e scriveva, qaundo ancora se ne negava l’esistenza:  la criminalità mafiosa non si combatte con la ‘terribilità del diritto’ ma con gli strumenti dello Stato di diritto.

(manuela d’alessandro)

 

 

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La corte europea ammette il ricorso di Robledo contro il Csm

Alfredo Robledo contro Italia. Si chiama così la causa che pende davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a cui l’ex procuratore aggiunto di Milano si è rivolto lamentando l’”iniquità” del procedimento disciplinare con cui il Csm lo trasferì a Torino nel pieno della battaglia con l’allora suo capo Edmondo Bruti Liberati.

“Il ricorso è stato dichiarato ammissibile dalla Corte, evento non molto frequente perché succede solo nel quattro per cento delle istanze presentate”, spiega il legale di Robledo, l’avvocato Federico Cerqua, figlio dello scomparso giudice Luigi per tanti anni presidente della Corte d’Assise milanese. Ora la Corte Europea dovrà pronunciarsi nel giro di sei mesi – un anno nel merito del ricorso che ipotizza la violazione dell’articolo 6 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo sul diritto a essere giudicati da un tribunale “soggettivamente e oggettivamente imparziale”. 

La decisione di cacciare Robledo da Milano maturò in due momenti diversi. Prima, il 5 febbraio 2015,  con l’accoglimento da parte della Sezione Disciplinare del Csm in funzione cautelare della richiesta di trasferirlo in modo provvisorio a Torino firmata dal Procuratore Generale della Cassazione. Poi, il 21 aprile 2016 quando ancora la Sezione Disciplinare del Csm con l’identica composizione (relatore Luca Palamara)  dichiarò Robledo colpevole di due illeciti disciplinari per le vicende Aiello e Albertini e lo trasferì nel capoluogo piemontese.

Nel dicembre 2016 l’ex capo del pool anti- corruzione milanese si vide respingere dalla Cassazione il ricorso in cui faceva presente che il giudice cautelare non poteva essere anche quello di merito. Per gli ‘ermellini’ non c’erano dubbi invece sull’imparzialità del collegio che troncò l’avventura milanese di Robledo. Secondo l’avvocato Cerqua, la dimostrazione che i giudici non erano arbitri neutrali starebbe nel fatto che ampi stralci del provvedimento cautelare sono stati poi ripresi in modo letterale nella sentenza di condanna. Tra le altre cose si leggeva che Robledo avrebbe fornito informazioni “privilegiate” all’avvocato Domenico Aiello nell’ambito dell’inchiesta sui consiglieri regionali. (manuela d’alessandro)

Di chi sono e che diritti hanno gli embrioni di Antinori per metà corpo di reato?

 

C’è un affollamento di diritti e pretese attorno ai 6 embrioni sequestrati nell’inchiesta che ha portato all’arresto del ginecologo Severino Antinori. Quelli della ragazza spagnola che reclama il diritto di non diventare madre attraverso i suoi ovociti rubati; quelli delle 3 coppie che vorrebbero diventare genitori attraverso quegli ovociti; quelli dello Stato che li ha sequestrati come corpo del reato. E poi ci sarebbe il diritto degli embrioni, per di più in questo caso metà ‘leciti’ (il seme messo a disposizione dai maschi delle coppie) e metà no (l’ovocita rubato alla presunta vittima) a diventare vite umane. Ma l’embrione  ha questo diritto? E l’embrione per metà corpo di reato lo manterrebbe?

Per il diritto italiano parrebbe di no. Nel nostro ordinamento l’embrione non è un soggetto giuridico, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito con una storica sentenza nel 2015 che esso è titolare dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli uomini e tra questi, primo su tutti, c’è il diritto alla vita.

Spetterà allora a un giudice esprimersi sugli embrioni portati via dalla clinica di Antinori e ora conservati alla clinica Mangiagalli: molto presto se la ragazza spagnola presenterà attraverso il suo legale un’istanza per far distruggere gli embrioni; o più avanti, nel caso di una sentenza di condanna, quando toccherà decidere la sorte del corpo del reato.

E sullo sfondo, se dovesse essere seguita la via europea, una  domanda gigantesca: prevale la volontà di una donna che avrebbe subito una violenza oppure il diritto di 6 vite potenziali?  (manuela d’alessandro)