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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

Scorrendo la rosa ufficializzzata oggi dei 10 candidati (qui la lista) alla successione di Edmondo Bruti Liberati, brilla tra i nomi favoriti per i bookmakers quello di Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Andrea Orlando. “Se dovesse arrivare lui, significherebbe il commissariamento della Procura”, teorizza un pubblico ministero, e non è il solo al quarto piano del Palazzo di Giustizia a dirsi spaventato da questa eventualità.

All’apparenza Melillo potrebbe essere il ‘procuratore straniero’ mai visto a Milano (dove da sempre vince la soluzione interna), il gran pacificatore che viene da fuori per redimere gli spiriti bollenti di una Procura distrutta dallo scontro fratricida Bruti – Robledo. In realtà Melillo in quella stagione disgraziata ci è entrato quando, a luglio 2015, il Ministro della Giustizia promosse un’azione disciplinare contro Alfredo Robledo al quale veniva contestato di aver pagato 1 milione a tre custodi per far conservare  non sul Fondo Unico della Giustizia (FUG) ma sulla banca Bcc di Carate Brianza i 90 milioni sequestrati a 3 banche estere per truffa sui derivati al Comune di Milano. Colpì il fatto che l’esercizio del potere disciplinare sul magistrato venne esercitato dopo che alla fine del 2014 la Procura Generale della Cassazione aveva già archiviato gli stessi addebiti disciplinari a carico di Robledo.

In ogni caso, un uomo del Governo proprio ‘terzo’ è difficile immaginarlo.  Se Giovanni Melillo ha proposto la sua candidatura al Csm deve averlo fatto col consenso del Guardasigilli, al quale sembra piacere molto l’idea di porre un suo fedelissimo in cima a una Procura per tradizione riottosa alla politica (fatta salva l’ultima parte dell’epoca Bruti).

Lui o il procuratore di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, altro nome ‘benedetto’ dai bookmakers,  potrebbero zittire le ambizioni del trio milanese di pretendenti: Alberto Nobili, Francesco Greco e Ilda Boccassini. Tra loro, il più in corsa appare Greco, il quale, nonostante sia stato consulente del governo Renzi e abbia una notevole capacità relazionale a tutti i livelli, potrebbe non essere considerato abbastanza prono ai desideri della politica. A Nobili spetta il primato di più amato dai colleghi pm milanesi: magistrato capace e  uomo saggio, viene indicato da molti come l’uomo ideale per ricompattare la Procura. Gli manca l’appeal politico, e non pare poco in un mare, come quello del Csm, attraversato da implacabili correnti.  (manuela d’alessandro)

Un logo per Bruti, Expo sponsor della procura o viceversa?

C’è il coloratissimo logo ufficiale di Expo sulla pagina 8 della relazione sul bilancio della responsabilità sociale preparata da Edmondo Bruti Liberati. Siamo nell’aula magna del palazzo di giustizia per l’ultimo atto della carriera in toga del procuratore capo che dal 16 novembre andrà in pensione. In pratica è una sorta di “messa cantata” e a officiare il rito ci sono il ministro Andrea Orlando, il rettore del politecnico Giovanni Azzone, il sindaco Giuliano Pisapia, il presidente dell’ordine degli avvocati Remo Danovi.

“Sensibilità istitituzionale è rapidità delle indagini per consentire ad altre articolazioni della società di intervenire per assicurare la prosecuzione delle opere in condizioni di ripristinata legalità”. Con queste parole Bruti risponde ai giornalisti che gli chiedono a cosa si riferisse Renzi il quale prima in agosto e poi ieri aveva “ringraziato” la procura di Milano per la sensibilità istituzionale dimostrata in relazione a Expo.

“Sensibilità istituzionale significa che la procura ha rispettato la legge” è invece l’ineffabile spiegazione del guardasigilli. Come dire che un panettiere ha fatto il pane. Quelle parole del presidente del consiglio, dette nel bel mezzo dell’evento e poi ribadite a distanza di 3 mesi  dopo la chiusura formale dell’esposizione, rappresentano una pietra miliare di una vicenda di cui si parlerà ancora a lungo.

Quel logo sulla relazione del procuratore può essere un incrocio tra un lapsus freudiano e un bollino di garanzia sul fatto che tra le ragioni del “successo” di Expo 2015 c’è stata la moratoria sulle indagini al fine di non disturbatore il manovratore (frank cimini e manuela d’alessandro)

No agli animali nel Palazzo, caccia al geco del Procuratore

Divieto di ingresso agli animali in Tribunale: ma alcune specie continueranno a frequentare inevitabilmente gli austeri corridoi. Piccioni, rondini, topi, pidocchi, il piccolo zoo metropolitano che da sempre vegeta a palazzo di giustizia. A questa fauna nei giorni scorsi si è aggiunto, anche se per poche ore, un geco. Il piccolo rettile è stato introdotto del tutto involontariamente a Palazzo nientemeno che dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che – avvicinandosi il momento dell’addio all’ufficio, fissato per il 16 novembre – ha ordinato di tasca sua tre grandi piante da lasciare nel corrodio davanti alla sua stanza. Ma insieme alle piante dal vivaio è arrivato il minuscolo geco, che è balzato fuori dal vaso e ha iniziato ad aggirarsi sui marmi piacentiniani. E’ partita la caccia al geco, con l’obiettivo di portare in salvo l’animale. La caccia capitanata dal Procuratore ha avuto momenti quasi comici, ma alla fine il geco è stato catturato e chiuso in una bottiglia. Poche ore dopo pare sia stato liberato nel giardino di casa Bruti, confidando che l’inverno milanese non sia troppo inclemente. (orsola golgi)

Pm Brescia: Bruti violò obblighi ma non c’è prova che fosse consapevole

Domani il consiglio giudiziario valuterà se confermare Edmondo Bruti Liberati nell’incarico di capo della Procura. Alla vigilia della decisione, Alfredo Robledo porta all’attenzione del consiglio un documento che, a suo avviso, impedirebbe il rinnovo della carica di quello che è stato il suo ‘nemico pubblico’ in una lunga contesa finita davanti al Csm.  La ‘carta’ gettata sul banco da Robledo arriva da Brescia ed è la richiesta della Procura locale di archiviare un’indagine in cui Bruti è indagato per omissione in atti d’ufficio.  Continua a leggere

L’”irritazione” della Procura per Bruti – Robledo, cosa voleva dire de Bortoli?

A pratica ormai quasi chiusa, con il procuratore aggiunto Alfredo Robledo spedito dal Csm a fare il giudice (ma la Cassazione dovrà valutare la legittimità del provvedimento), un interessante dettaglio sulla guerra interna che ha scosso a lungo la magistratura milanese emerge nell’editoriale con cui Ferruccio de Bortoli lo scorso 30 aprile ha preso commiato dai lettori del Corriere della Sera, dopo averlo diretto per dodici anni.

Nel suo lungo articolo di saluto, de Bortoli rivendica con legittimo orgoglio di avere tenuto dritta la barra dell’indipendenza del quotidiano di via Solferino sfidando anche le pressioni dei poteri forti. E qui, a sorpresa, tra i poteri scontentati dalla sua direzione, il giornalista inserisce anche quello della magistratura.Il Corriere “non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario”, scrive de Bortoli.

A cosa si riferisce? Il concetto viene reso più esplicito poche righe più sotto: dopo avere ricordato che  ad “alcuni miei – ormai ex – azionisti sono risultate indigeste talune cronache finanziarie e giudiziarie. A Torino come a Milano. Se ne sono fatti una ragione”, (e qui sembra chiaro l’accenno ai problemi giudiziari di Marco Tronchetti Provera), de Bortoli aggiunge: “Alla Procura di Milano si sono irritati, e non poco, per come abbiamo trattato il caso Bruti-Robledo? Ancora pazienza”.
Il dettaglio viene riferito da de Bortoli, come è nel suo stile, senza enfasi. Ma è difficile non coglierne la portata. Se de Bortoli dice che la Procura di Milano era “irritata” per le cronache (prevalentemente a firma di Luigi Ferrarella) sul caso Bruti-Robledo, significa che in qualche modo i vertici della Procura hanno fatto conoscere il loro sentimento ai vertici del ‘Corriere’. Può essere avvenuto in molti modi diversi – da una telefonata diretta a de Bortoli, una manifestazione di insofferenza verso Ferrarella, a un messaggio fatto arrivare di rimbalzo – ma poco cambia. Se un potere come quello giudiziario manda a dire a un organo di stampa (peraltro stampato a Milano, e quindi soggetto alla giurisdizione della procura milanese) di essere irritato, non può sfuggire il carico di un simile messaggio. Non occorre essere americani per ricordarsi che tra i doveri della stampa c’è quello di essere il cane da guardia del potere. Di tutti i poteri.

Sarebbe interessante, a questo punto, capire cosa sia accaduto più precisamente. Le raccolte del ‘Corriere’ di questo ultimo anno sono lì a raccontare come in effetti il quotidiano di via Solferino abbia trattato la vicenda senza sconti per nessuno, raccontando meriti e colpe di entrambi i contendenti e dei loro supporter. Quando e come la Procura ha fatto sapere alla direzione del quotidiano di essere “irritata”? Potrebbe raccontarlo sicuramente Ferruccio de Bortoli, ma – interpellato sul punto – l’ormai ex direttore del ‘Corriere’ si trincera dietro un cortesissimo “no comment”. Nessuna risposta dai vertici della Procura: “Andate a chiederlo a de Bortoli”. Comunque sia andata la cosa, l’impressione è che lo scontro Bruti-Robledo sia stata non solo una brutta pagina della vita interna della magistratura ma anche dei rapporti tra informazione e giustizia. (orsola golgi)