giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il fantomatico complotto giudiziario della ‘particella 463′
e la giustizia sotto scacco per la denuncite incatenata

Denunce a raffica, anni di indagini, procuratori capo indagati insieme a giudici, poliziotti, vigili urbani, militari della Gdf. E poi decine di legali impegnati, udienze in tre distretti di corte d’appello. Sarà il nuovo maxiprocesso alla mafia? Il Watergate italiano? No, è solo la particella 463, foglio XYZ del catasto dei terreni di Biella, con il suo fantasmagorico potenziale giudiziario. Grazie alla pervicacia di una coppia di coniugi, uno dei quali avvocato, e al loro allegro uso delle denunce-matrioska per abuso d’ufficio, da anni tiene sotto scacco la giustizia di Biella, Alessandria, Milano e Brescia, determinando un impegno di risorse e tempo – qualcuno lo definisce apertamente spreco – con pochi precedenti in Italia.

La storia inizia anni fa. La coppia accusa un vigile urbano di essersi illecitamente introdotto nella particella catastale 463. È solo il primo degli episodi. Di asserite invasioni di campo ce ne saranno altre. Ma c’è anche una delibera comunale da cui si evince che una porzione di quel terreno, a uso vicinale, è transitabile. La coppia denuncia 20 consiglieri comunali. Quando la procuratrice capo di Biella, Teresa Camelio, chiede l’archiviazione per il vigile invasore, parte un’altra denuncia, questa volta per lei. Accusa: abuso d’ufficio. Finisce a Milano, competente sulle indagini che riguardino magistrati piemontesi. Poi altre denunce. E quando un giudice riunisce due procedimenti, ne parte un’altra, una specie di meta-denuncia, per abuso d’ufficio.

La coppia è indagata in un altro procedimento per atti persecutori. E allora i due denunciano il gup, accusandolo di aver omesso la notifica di una asserita nullità: ovviamente, abuso d’ufficio.

Accusano poi due legali per un’altra vicenda ai limiti del comprensibile, la presunta scomparsa di due foglietti scritti a mano su una ricevuta di notifica. Quando il pm di Alessandria chiede l’archiviazione, loro si oppongono, il gip archivia, e allora lo denunciano: indovinate per quale reato. Poi si rendono irreperibili per una notifica. Salvo poi denunciare due poliziotti e la procuratrice di Biella quando vengono dichiarati irreperibili. Ipotesi di reato, sempre quella lì.

E quando due dei loro arditi procedimenti vengono riuniti e archiviati, partono denunce per la procuratrice, una sua sostituta, e una giudice di Biella: non potevano farlo, sostengono, è un abuso. Vanno poi all’attacco di altri due avvocati. E quando si va verso l’archiviazione loro denunciano di nuovo procuratrice e giudice.

A fine 2019 vengono rinviati a giudizio per atti persecutori e allora la donna, il giorno dopo, in altra udienza, si avvicina alla giudice: “Ci sono rimasta proprio male ieri. Da lei proprio non me l’aspettavo. Pensavo di aver trovato in lei finalmente un giudice che capisse la situazione”. A quel punto il magistrato chiede di astenersi dal procedimento. La presidente del Tribunale, Paola Rava, accoglie la richiesta. Et voilà l’aspirante campionessa biellese di querele-matrioska denuncia anche l’alto magistrato, questa volta per diffamazione.

Tutto ciò, e molto altro, per un totale di 13 fascicoli scaturite da molte più denunce, finisce a Milano. Il pm Paolo Filippini riunisce e chiede l’archiviazione. Loro si oppongono, naturalmente. Si racconta di un’udienza scoppiettante, a settembre scorso, con decine di avvocati arrivati da mezzo Piemonte in via Freguglia e nervosetti per l’evidente perdita di tempo. Anche questa volta, l’opposizione finisce come previsto. Archiviazione concessa e motivata il 21 dicembre scorso, non senza reale uno sforzo di umana comprensione nei confronti dei denuncianti per il loro “profondo senso di frustrazione, ingiustizia e insofferenza”, come scrive la gip di Milano Lorenza Pasquinelli, la quale dà atto del “clima teso” e della diffidenza reciproca accresciuta negli anni tra il mondo giudiziario biellese e la coppia di denuncianti. Tale è l’accuratezza e la mancanza di pregiudizio del gip milanese, che per una delle 13 denunce dispone ulteriori accertamenti al fine di ascoltare i potenziali testimoni di un bizzarro episodio di “sequestro di persona” da parte di appartenenti alla Gdf, di cui l’avvocato dice essere stata vittima insieme a un’amica.

Potete immaginare come prosegue la storia. Il pm milanese Filippini è stato denunciato a Brescia. Verrà con ogni probabilità archiviato. Ma scommettiamo che la vicenda si sposterà poi a Venezia? E in seguito? Piccolo consiglio all’ex pm milanese Sandro Raimondi, ora a capo della procura di Trento: inizi silenziosamente a portarsi avanti studiandosi la vicenda, qui su Giustiziami.

Greco indagato, ragione in più per pensione subito

Il procuratore di Milano Francesco Greco risulta indagato a Brescia per omissione in atti d’ufficio. Non avrebbe iscritto tempestivamente l’avvocato Piero Amara nell’apposito registro. Si tratterebbe di un atto dovuto dopo le dichiarazioni a verbale del pm milanese Paolo Storari.
A questo punto ci sarebbe una ragione ulteriore non certo la più importante per lasciare l’incarico. Non si capisce perché il procuratore Greco resti al suo posto ad aspettare la data della pensione, il 14 novembre, e non anticipi l’uscita. Il documento di solidarietà al sostituto procuratore Paolo Storari è un chiarissimo segnale di sfiducia nei confronti di Greco a firma di 56 pubblici ministeri ai quali vanno aggiunti magistrati e giudici esterni all’ufficio inquirente.
Si tratta di una presa di posizione almeno per quanto riguarda i pm milanesi che va molto al di là del caso relativo al processo Eni Nigeria, Amara, Armanna, nessi e connessi. Si può benissimo dire che il caso Storari è la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Da molto tempo in procura c’erano insoddisfazioni, critiche, risentimenti per il modo in cui Greco aveva organizzato l’ufficio, distribuito gli incarichi, favorendo alcuni settori a danno di altri. Quando subito dopo la sentenza di assoluzione dei vertici dell’Eni il procuratore aveva cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto addirittura negando la diatriba con il tribunale avevano fatto sensazione le parole digitate da Storari nel dibattito su what’sapp: “Francesco le cose non stanno così, lo sai benissimo e bisognerà parlarne”.
S’era capito che non sarebbe finita lì è così è stato. Greco dovesse restare fino al termine del mandato andrebbe incontro a un calvario. La gestione dell’ufficio sarebbe molto difficile. Edmondo Bruti Liberati il suo predecessore anticipò l’andata in pensione perché comprese che lo scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo dal quale pure era uscito vincitore aveva lasciato degli strascichi evidenti. La procura di Brescia assolvendo Bruti dall’abuso d’ufficio affermava che c’era materia per un procedimento disciplinare avendo lui agito in base a criteri politici. Bruti annunciò che avrebbe lasciato. Di lì a qualche giorno il Csm formalizzò un “disciplinare” che era chiaro sarebbe evaporato per mancanza di tempo utile.
Greco è messo molto peggio del suo predecessore che per esempio non era stato “sfiduciato” dai sottoposti. Non rischia un disciplinare solo perché la pensione è troppo vicina. Non sembra in grado di riguadagnare l’antica credibilità. Aderente come Bruti alla corrente di Md, nata per privilegiare negli uffici inquirenti l’orizzontalità a danno della verticalità, ha finito al pari di chi l’aveva preceduto nell’incarico per predicare bene e razzolare male. Far credere di non aver approfondito le indagini su Amara per puro garantismo è ridicolo. La vera ragione era quella di non rovinarsi il testimone della corona nel caso Eni. Molto presunto.
(Frank Cimini)

La strana retromarcia dei giudici di Olindo e Rosa sulle “nuove prove”

“Abbiamo convocato le parti in udienza interlocutoria perché sicuramente un incidente probatorio lo faremo”. Così garantiva il presidente della prima sezione della Corte d’Appello di Brescia Enrico Fischetti, all’udienza a porte chiuse del 21 novembre scorso (Giustiziami ha potuto leggere le trascrizioni), a proposito della richiesta della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi di analizzare nuovi reperti per aprire la strada alla revisione del processo sulla strage di Erba.

Oggi invece gli stessi giudici dichiarano “inammissibile” l’istanza degli avvocati della coppia che sta scontando la condanna definitiva all’ergastolo, spiegando che l’analisi dei reperti, tra cui il capello della piccola vittima Youssef Marozuk, non è in astratto in grado di ribaltare la condanna all’ergastolo della coppia.

“I giudici contraddicono loro stessi e anche la Cassazione”,  commenta il legale di Olindo e Rosa, l’avvocato Fabbio Schembri, ricordando come fu proprio la Suprema Corte nell’aprile del 2017 a rimandare gli atti ai giudici bresciani dopo una prima bocciatura di un’analoga richiesta di nuovi accertamenti su guanti, cellulari, mozziconi, tende, cuscini, giacconi.

Com’è stata possibile una retromarcia così netta?

Eppure, sempre all’udienza del 21 novembre, il presidente Fischetti precisava di avere convocato quell’udienza anche per parlare “di cosa il perito deve fare, dove deve andare, e che tipo di indagini deve fare, perché, voi sapete, le indagini sul Dna hanno una possibilità diversa a seconda del tipo di indagine che si deve svolgere, e poi andiamo sullo specifico”. Addirittura si sbilanciava: “C’è la possibilità di nominare, e questo lo dico apertamente, il colonnello Lago, che non era all’epoca Comandante del Ris e che svolgerebbe l’attività con capacità professionale. Faremo un’ordinanza di ammissione, vi daremo una data, la data di conferimento dell’incarico sarà, credo, a metà gennaio”. Anche il procuratore generale era sulla stessa linea: “Mi pare che dopo la sentenza della Cassazione sul fatto che si debba svolgere l’incidente probatorio non vi possa essere dubbio”.

Invece – nel cangiante e misterioso mondo del diritto – ora i giudici si sono accorti di avere il dovere di valutare se queste nuove analisi potrebbero incidere sulle sicurezze quasi granitiche di una sentenza definitiva di condanna. Schembri, che riporoporrà un nuovo ricorso in Cassazione,  è molto perplesso: “Nel provvedimento i giudici sostengono che le nostre richieste di analisi erano generiche e ‘in quanto meramente esplorative inidonee a superare il vaglio’ previsto dalla legge. Ma come possiamo sapere che esiti avremmo da quelle analisi se prima non le facciamo?”. Che poi la legge (articolo 631 del codice penale) era quella pure il 21 novembre. (manuela d’alessandro)

Robledo assolto nonostante il grave abbaglio del pm sul figlio

 

 

Alfredo Robledo, un tempo procuratore aggiunto a Milano ora in servizio a Torino, è stato prosciolto a Brescia dall’accusa di abuso d’ufficio nata dall’esposto presentato da Edmondo Bruti Liberati all’epoca capo della procura di Milano in relazione al deposito di soldi sequestrati non nel Fondo unico giustizia ma presso la Banca del Credito Cooperativo di Carate Brianza.

Il proscioglimento arrivato solo adesso lascia ampiamente capire che lo scopo dell’esposto di Bruti non era certo quello di accertare le responsabilità del collega in relazione ai fondi sequestrati alle banche nella vicenda dei derivati a Palazzo Marino ma quello di metterlo in cattiva luce e in parole povere di farlo fuori. Insomma uno dei tanti capitoli della guerra interna alla procura di Milano, con  sullo sfondo la moratoria delle indagini su Expo decisa dal vertice massimo dell’ufficio inquirente.

La procura di Brescia, oggi smentita dal gup, aveva coltivato l’esposto di Bruti fino ad affermare: “Il presidente della Bcc di Carate Annibale Colombo era conoscente di lunga data dell’imputato Robledo e il figlio di quest’ultimo dipendente della filiale Bcc di Barlassina”. Il figlio di Robledo fa l’allenatore di pallacanestro e non ha mai lavorato in banca.  Un funzionario dell’istituto sentito come testimone aveva escluso la presenza di congiunti di Robledo tra i dipendenti ma evidentemente ciò non è bastato al pm, interessato a diffondere veleni. Va ricordato inoltre che la procura di Brescia aveva pure svolto accertamenti patrimoniali su Robledo che in relazione al reato di abuso d’ufficio non sono consentite.

Robledo nel corso della guerra interna alla procura era stato poi trasferito a Torino in riferimento a una serie di sms scambiati con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello. L’uscita di Robledo ovviamente consentiva al capo della procura di dispiegare tutta la potenza della moratoria su Expo, solo parzialmente rimessa in discussione dall’avocazione da parte della procura generale che metteva sotto inchiesta il sindaco di Milano Beppe Sala e ne chiedeva il rinvio a giudizio per falso che sarà discusso davanti al gip il 14 dicembre prossimo.

Sala comunque era stato “salvato” dall’accusa di abuso d’ufficio per non aver indetto la gara pubblica sulla ristorazione con appalto assegnato direttamente a Oscar Farinetti. Per la procura di Bruti Sala favorì Farinetti “senza averne l’intenzione”. E poi c’era fretta, bisognava realizzare Expo. Insomma un abuso d’ufo a fin di bene, con archiviazione decisa dallo stesso giudice che come responsabile dell’informatizzazione aveva contribuito a evitare gare pubbliche sui fondi Expo giustizia. Ironia della sorte, tra i beneficiati addirittura una società con sede nel paradiso fiscale del Delaware.

Dunque Robledo ostacolava la moratoria e persino gli “affari” delle toghe. Doveva pagarla, l’ha pagata e la sentenza di proscioglimento di oggi a Brescia suona quasi come una beffa. Nel frattempo a Milano di nuove indagini su reati contro la pubblica amministrazione non c’è traccia. Del resto a succedere a Bruti ora in pensione è stato il suo braccio destro Francesco Greco eletto all’unanimità dal Csm dell’omertà. Il cosiddetto organo di autogoverno infatti, regista nemmeno tanto occulto Giorgio Napolitano, aveva da subito supportato Bruti contro Robledo (frank cimini)

Assolta avvocatessa accusata di avere calunniato giudice milanese

Un giudice di Brescia assolve un’avvocatessa dall’accusa di avere calunniato un suo collega magistrato ‘perché il fatto non costituisce reato’. Succede, e quando succede è sicuramente una notizia.

La toga milanese Benedetto Simi De Burgis aveva querelato il legale per calunnia perché lei lo aveva accusato di avere pronunciato frasi “offensive, denigratorie e umilianti” nei suoi confronti, durante un procedura in cui era curatrice, “finalizzate a farle togliere gli incarichi”.

Due a zero per l’avvocatessa (parziale, De Burgis farà senz’altro appello) perché la vicenda penale deriva da una disciplinare, chiusa con un provvedimento definitivo di ‘censura’ da parte della Corte di Cassazione a carico del magistrato per avere tenuto “un tono irridente e allusivo” nei confronti della curatrice. Il legale aveva fatto scattare il procedimento disciplinare lamentadosi col presidente della sezione in cui lavora De Burgis del contenuto di alcuni scritti, da lei ritenuti offensivi, e lui aveva ribattuto denunciandola per calunnia. De Burgis, stando a quanto scritto dalla Cassazione, si era preso gioco dell’avvocatessa ironizzando sulla sua esosa richiesta di liquidazione rispetto al patrimonio da lei amministrato e su altre strategie procedurali del legale nell’ambito di una procedura per la nomina di un ammistratore di sostegno. Nel suo ricorso alla Cassazione, dopo una prima censura del Csm, il giudice si era difeso sostenendo che la donna avesse “specifici motivi di astio” contro di lui. (manuela d’alessandro)

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