giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sala a Palazzo: “Fare accendere i monitor di Expo? Ne ho già abbastanza qua dentro…”

 

Beppe Sala sbarca a Palazzo di Giustizia per testimoniare al processo Maroni e come un alieno su una terra impervia si guarda attorno e posa lo sguardo su uno dei monitor non funzionanti acquistati coi soldi di Expo. “Cosa sono? Cosa vuol dire ‘udienza facile’?”.

“Sindaco – gli spieghiamo – sono i monitor acquistati coi soldi di Expo. Non può fare qualcosa per farli partire? Sono qui da 3 anni anni e non danno cenni di vita”. E lui, con amaro sorriso e chiaro riferimento all’indagine sulla ‘Piastra di Expo’ in cui è indagato per falso: “Ne ho già abbastanza, rischio di diventare un habitué qua dentro. Ah sì, ora ricordo, era l’appalto fatto dalla Pomodoro…”.

Si, caro sindaco, ma lei dovrebbe saperne di più perché era il commissario unico di Expo e vennero comprati con la ‘dote’ dell’Esposizione Universale’. Quasi duecento dispositivi di marca Samsung presi nell’ambito di un appalto complessivo da circa due milioni di euro. L’obbiettivo era ‘informatizzare’ la giustizia in vista dell’appuntamento col mondo e, in particolare, far orientare i cittadini nel dedalo giudiziario, sostituendo i fogli di carta appesi alle porte delle aule.

Spenti da secoli, ormai un arredo inerte che punteggia ogni angolo della cittadella giudiziaria, i monitor rappresentano lo spreco più evidente del ‘tesoro’ assegnato alla magistratura milanese in nome di Expo. Con l’ironia della scritta ‘udienza facile’ che lampeggia senza requie, chissà con quale dispendio di energia elettrica. E non sapremo mai di chi ne è la colpa perché nessuna indagine è mai stata aperta. Forse perché chi decideva cosa farne di quei soldi erano proprio dei magistrati. (manuela d’alessandro)

Sala fa la vittima sulla notizia dell’indagine ma le cose non sono come le racconta

Metà del messaggio postato su Facebook in cui Giuseppe Sala annuncia di voler tornare a fare il sindaco è dedicata al suo “stupore” nell’aver appreso dalla stampa di essere indagato. “Giovedì sera nessuna comunicazione ufficiale al riguardo mi era stata fatta, nessun avviso di garanzia mi era stato notificato (…). Mi direte, non è certo la prima volta. Vero, ciò nondimenno dobbiamo tutti insieme fare uno sforzo per non considerare la cosa ‘normale’. Non lo è se riguarda un cittadino e non lo è se riguarda il sindaco di Milano”.

Questa versione del sindaco sembrerebbe prefigurare una clamorosa violazione del segreto istruttorio a suo danno, con la ‘soffiata’ di una irrispettosa procura generale al cronista di turno. La realtà è ben diversa.

Giovedì sera, la magistratura ha notificato una mail con la richiesta di proroga dell’indagine sulla Piastra di Expo all’avvocato d’ufficio Luana Battista. E’ quello che accade al qualsiasi “cittadino” da lui evocato che non ha già un legale perché non è mai stato coinvolto in quell’inchiesta. Sala dimentica di raccontare che ha saputo dai giornali di essere accusato per la presunta falsificazione di due verbali solo perché l’avvocato d’ufficio non ha aperto la sua posta elettronica, come da lei candidamente ammesso (“Non c’erano nomi noti nella prima pagina, sembrava una nomina come le altre”). Nel frattempo, i giornalisti hanno dato risalto a un atto non più segreto in quanto (in teoria) già conosciuto dall’indagato.

Forse al sindaco da’ fastidio aver saputo troppo tardi che l’accusa a suo carico era ‘solo’ quella di falso.  Quando sono uscite le prime notizie, racconta chi è gli è stato vicino, il suo timore era di essere accusato di turbativa d’asta, il reato attorno a cui ruota l’inchiesta sul più ricco appalto di Expo. Di qui il tono infastidito verso stampa e Procura Generale: se avesse saputo che doveva rispondere ‘solo’ di avere retrodato dei verbali non si sarebbe cacciato nel limbo scivoloso dell’autosospensione. (manuela d’alessandro)