La morte di un giovane reporter. Mentre faceva il suo lavoro di reporter. Un caso risolto con il contributo fondamentale di altri reporter. C’è tutta la tragedia e al contempo il trionfo di una professione a rischio, quella dei giornalisti freelance di guerra, nelle 169 pagine con cui la corte d’Assise di Pavia motiva la condanna l’italo ucraino Vitaly Markiv accusato di aver ucciso, o meglio contribuito a uccidere, il giovane ma esperto fotografo Andrea ‘Andy’ Rocchelli.
Quei giornalisti, spesso pagati a pezzo o a fotografia, senza tutele di categoria, animati da passione vera per il racconto di aree di crisi, sono elencati uno per uno, testimoni sul campo (il Donbass lacerato dalla guerra tra l’esercito regolare e le formazioni paramilitari ucraine contro le milizie filorusse) testimoni nel processo. Si chiamano William Roguelon (scampato per un soffio alla morte), Ilaria Morani, Marcello Fauci, Francesca Volpi, Andrea Carruba.
Con Andy Rocchelli, vicino a Sloviansk, il 24 maggio 2014 morì anche il producer Andrej Mironov. Markiv, difeso in aula dall’avvocato Raffaele Della Valle, faceva parte della Guardia nazionale ucraina, appostata su una collina da cui partirono i colpi diretti ai giornalisti. Quelli di kalashnikov prima, sparati tra gli altri dallo stesso Markiv, quelli di mortaio poi, lanciati dall’esercito ucraino, nella ricostruzione dei giudici, su precise indicazioni di Markiv.
Hanno contribuito certo alla condanna alcune intercettazioni ambientali, contestate dalla difesa, in cui Markiv sembra confessare l’omicidio. Ma il ruolo dei testimoni a dibattimento è stato essenziale. Come quello per la conoscenza della situazione in quel territorio: “L’attacco mortale – scrivono i giudici – fu rivolto a giornalisti nell’esercizio del diritto di documentare il conflitto in atto. Erano giornalisti ben riconoscibili come tali”.
Nonostante Rocchelli non fosse iscritto all’Ordine e non avesse un contratto Fnsi, la Federazione nazionale della stampa nel processo era parte civile e con lo studio legale Pisapia ha contribuito a sostenere le accuse a Markiv formulate dal pm Andrea Zanoncelli.
Una sentenza che probabilmente ad Andy sarebbe piaciuta. Qui la sentenza completa: sentenza-rocchelli-markiv-motivazioni_compressed
Qui sotto alcuni passaggi.
“Fu (in un colloquio con i giornalisti Fauci e Morani, ndr) lo stesso Markiv a collocare se stesso, quel giorno, sulla collina Karachun, pienamente al corrente dell’attacco appena sferrato ai reporter”. pag 160.
“Non c’era nessuno scontro in atto: i giornalisti non incontrarono nessun posto di blocco filo-russo, nessun soldato filorusso, per cui scesero dal taxi per il loro servizio in una situazione di tranquillità. Solo quando, percorsa la strada, si avvicinarono al treno per scattare le fotografie un giovane ragazzo in abiti civili uscì da una piccola costruzione al lato della ferrovia e li avvertì del pericolo con la parola ‘sniper’. Mironov, il soggetto più esperto del gruppo, consigliò di allontanarsi lentamente, in fila indiana, tornando verso il taxi. Appena raggiunsero l’altezza della fabbrica Zeus ebbe inizio l’attacco, sferrato in più fasi e ccn differenti armi, che non ebbe alcun momento di desistenza sino al definitivo allontanamento del superstite Roguelon. La prima parte dell’offensiva fu portata a colpi di kalashnikov, scariche di colpi, una serie continua di raffiche che sfrecciavano sopra le loro teste e impattavano contro il muro della fabbrica Zeus. Mentre tutti i soggetti si trovavano nel fossato del boschetto proseguirono gli spari e, quindi, dopo cinque minuti, iniziò la seconda parte dell’offensiva, portata con i colpi di mortaio. (…) Dapprima venne preso di mira il taxi, Iniziò quindi la sequenza mirata a tiro progressivo di avvicinamento, dei colpi di mortaio (…) L’attacco proseguì colpendo dapprima Roguelon alle gambe. Fu nella prosecuzione di questo bombardamento che morirono Mironov e Rocchelli, che Roguelon ha ricordato a poca distanza da sé”. Pag 161
E’ pacifica “la ricostruzione del tiro al bersaglio cui erano state sottoposte le persone che avevano cercato scampo nel fossato. In totale furono scaricati 20, 30 colpi di mortaio sui soggetti rifugiati nel boschetto”. pag. 162
“All’agguato contro i giornalisti partecipò in modo attivo Markiv”. Era armato “del proprio Ak74, arma provvista di mirino ottico utile a consentire la migliore visione per attingere bersagli a maggiore distanza e con più precisione. Da quella postazione poteva e doveva fornire le indicazioni necessarie per indirizzare il tiro dei mortai (in uso all’esercito ucraino, ndr) che, come ogni giorno, erano pronti a intervenire”.
Le modalità furono proprio quelle descritte a Ilaria Morani da Markiv, in quella confessione stragiudiziale, elemento rilevante del compendio probatorio, che l’imputato non ha saputo/potuto smentire a dibattimento e che, invece, ha trovato piena corrispondenza nelle ulteriori decisive prove acquisite”. Markiv, nella sua funzione di capo postazione, pur in assenza di qualsivoglia attacco di fuoco della parte nemica, insospetitto dai movimenti dei giornalisti avvicinatisi in prossimità del treno, si mosse “sparando a tutto quello che si muoveva nel raggio di due chilometri’”.
“Markiv partecipò alla prima sparatoria con i fucili Ak74 contro i giornalisti nelle vicinanze del muro della fabbrica Zeus (…) Non riuscendo ad attingere i giornalisti con i kalashnikov, proseguì la propria azione seguendone i movimenti grazie al mirino ottico in dotazione, comunicando attraverso il proprio comandante con l’esercito al fine di colpire il taxi per impedire la fuga e immobilizzare ed eliminare i soggetti nel bosco ove si erano rifugiati (…) consentendo di calibrare quei colpi che Roguelon ha descritto come precisi, in progressivo avvicinamento e aggiustamento, che in sequenza lo attinsero alle gambe, poi caddero accanto a Rocchelli e Mironov, con un colpo più vicino, dalle conseguenze letali”. Pag 163