Per Natascia Savio e Robert Firozpoor i pm avevano chiesto la condanna a 17 anni, per Giuseppe Bruna 18 anni e 4 mesi. Tutti accusati di terrorismo in relazione ai pacchi bomba intercettati con destinazione due magistrati di Torino è un dirigente del Dap. Si trattava dell’inchiesta Prometeo, pista anarchica, con l’appoggio di tutti i partiti e tutti i giornali. Oggi i giudici di Genova hanno deciso per l’assoluzione. Non hanno commesso il fatto. La pista anarchica non c’è più.
La sentenza arriva dopo due anni e mezzo di carcere duro. I giudici hanno disatteso le richieste di condanna della procura antiterrorismo di Genova dando credito ai difensori che avevano parlato di indagini a senso unico. Dei tre imputati Bruna resta in carcere a causa di un’altra misura cautelare mentre gli altri due sono liberi. Natascia Savio aveva fatto un lungo sciopero della fame perché detenuta in una prigione troppo lontana dal suo difensore Claudio Novaro.
Non è la prima indagine su gruppi anarchici che si rivela un flop. Era già accaduto di recente sia a Roma sia a Bologna, con le misure cautelari annullate dal Riesane e dalla Cassazione.
A Genova è stato necessario arrivare alla sentenza di primo grado davanti alla corte d’Assise. Nel frattempo gli imputati hanno pagato un prezzo altissimo con due anni e mezzo di carcere. Erano stati arrestati nel 2019 con l’accusa di aver confezionato pacchi bomba diretti ai pm torinesi Antonio Rinaudo, noto come grande inquisitore dei NoTav per terrorismo con scarsissimi risultati, e Roberto Sparagna. Il terzo pacco bomba era destinato a Santi Consolo del Dap.
(frank cimini)
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Anarchica fa sciopero della fame nel carcere dei pestaggi
Nel carcere dei pestaggi e dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere dove l’inchiesta ha portato a 52 misure cautelari a carico di funzionari e agenti penitenziari c’è una reclusa anarchica Natascia Savio che fa lo sciopero della fame dal 17 giugno scorso perché considera lesi i suoi diritti di difesa.
Savio è sotto processo a Torino per associazione sovversiva ma a piede libero perché le manette erano state annullate dal Tribunale del Riesame. A Genova invece è imputata per l’invio di pacchi esplosivi.
Savio è in sciopero della fame per protestare contro le sue attuali condizioni detentive che le impediscono di avere rapporti continuativi con i suoi familiari e il suo avvocato e che costituiscono un’evidente diminuzione delle sue possibilità difensive.
Savio è anarchica. È detenuta in custodia cautelare dal marzo del 2019. Da marzo di quest’anno, proprio nell’imminenza dei due processi a suo carico, è stata trasferita a Santa Maria Capua Vetere, che dista circa 1.000 Km dal luogo di residenza dei suoi familiari e dallo studio del suo legale. L’avvocato Claudio Novaro si è rivolto al Garante dei detenuti che ha risposto, confermando di aver avviato un’interlocuzione con il ministero.
Sono state inviate anche plurime istanze al DAP – nella speranza di ottenere un suo trasferimento in un carcere vicino al luogo di celebrazione dei suoi processi e attrezzato per consentirle di consultare gli atti. Tutto finora senza esito. (frank cimini)
Anarchici, dietrofront del pm Dambruoso sul “terrorismo”
La procura di Bologna ha chiuso le indagini che nel maggio 2020 avevano portato agli arresti per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo rinunciando alla contestazione proprio del reato più grave. Il pm Stefano Dambruoso ha dovuto prendere atto delle sconfitte riportate davanti al Riesame prima e alla Cassazuone poi dove gli arresti erano stati annullati.
“Non basta la comune adesione all’ideologia anarchica
come effettivo e reale ‘contagio’ del gruppo investigato da parte delle idee e finalità terroristiche eventualmente sviluppatesi in altre cellule della galassia anarchica mentre viene richiesto al giudice di merito di fornire la prova di una tale e concreta contaminazione che deve portare alla gemmazione di cellule autonome aventi le caratteristiche tipiche dell’associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Era questo uno dei passaggi della motivazione con cui la Cassazione rigettava il ricorso del pm Stefano Dambruoso contro la decisione del Riesame di Bologna di scarcerare gli anarchici arrestati a maggio.
La Cassazione ricordava inoltre che non erano state rinvenute armi ma unicamente artifici pirotecnici aste e bastoni impiegati per dispiegare bandiere o stendardi. L’acquisto di maschere antigas non era finalizzato al compimento di azioni violente ma a scopi protettivi in vista di possibili azioni delle forze di polizia in occasione delle manifestazioni di piazza.
Nel corso dei cortei e delle manifestazioni alle quali parteciparono gli indagati “al di là di qualche imbrattamento e danneggiamento non vi fu mai pericolo concreto per la pubblica incolumità“.
In occasione dell’incendio di un impianto di ricetrasmissione diventato il fulcro della ricostruzione accusatoria la Cassazione sposava la tesi dei giudici del Riesame. C’era l’obiettivo di danneggiare la struttura “ritenuta espressione dell’assoggettamento alle tecnologie da parte delle istituzioni dello Stato piuttosto che la volontà di causare un pericolo di devastazione di maggiori proporzioni”.
Al centro dell’inchiesta che portò agli arresti poi revocati dal Riesame c’erano una serie di manifestazioni di solidarietà con i detenuti che avevano visto aggravata la propria condizione dalla diffusione del Covid. Le riunioni pubbliche si erano svolte usando ogni precauzione dalle mascherine al rispetto della distanza tra le persone. Per cui l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era apparsa spropositata e animata dalla volontà di reprimere il dissenso rispetto alle politiche securitarie. I giudici del Riesame avevano rilevato proprio questo rischio.
Insomma tanto rumore per nulla. Il blitz era costato un po’ di settimane di carcere ai militanti del gruppo anarchico che ora saranno presumibilmente processati solo per i reati fine che da soli
non sarebbero bastati a giustficare le richieste di manette. La procura decideva di forzare la mano anche montando una campagna mediatica sulle pagine dei giornali locali i quali poi avrebbero riportato solo in poche righe la sconfessione del “teorema” da parte del Riesame per concentrarsi nel titolo sulla “manifestazione non autorizzata” per celebrare le scarcerazioni. (frank cimini)
C’è sempre una pista anarchica ovunque e comunque
C’è sempre una pista anarchica, ovunque e comunque. A Torino, dove la procura aveva invano tentato di trasformare l’incendio di un compressore in un atto di terrorismo, il prossimo 21 aprile il tribunale di sorveglianza dovrà decidere su richiesta dei pm se applicare a Marco Boba la misura della sorveglianza speciale e tra gli elementi da valutare c’è un libro scritto sei anni fa dal titolo “Io non sono come voi”. “Io ho odio dentro di me c’è solo voglia di distruggere, le mie sono pulsioni nichiliste” si legge nel romanzo che dovrebbe costare a chi l’ha scritto secondo la procura una forte limitazione della libertà. Non il carcere perché per quello non c’è abbastanza. Ma un prezzo il redattore di Radio Black Out, occupante di El Paso, esponente del movimento anarchico, deve evidentemente pagare.
Da Torino a Roma dove il Riesame su input della Cassazione ha cancellato l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per quattro anarchici arrestati a giugno dell’anno scorso. Siccome il reato più grave era già stato annullato per Francesca Cerrone siamo davanti all’ennesima inchiesta flop sugli anarchici analoga a quella di Bologna.
Marco Boba, 53 anni, in passato aveva scontato diversi periodi detenzione per la sua partecipazione alle lotte sociali. A quanto pare non è sufficiente scontare le condanne ma è anche necessario abiurare la propria identità la propria appartenenza e dimostrare di aver assorbito un’altra idea, quella del silenzio e della rassegnazione.
Nel romanzo l’alter ego di Boba dice: “Per la società per il sistema io sono un violento ma ti assicuro che per indole sono una persona tranquilla, la mia violenza è un centesimo rispetto alla violenza quotidiana che subisco che subisci tu o gli altri miliardi di persone su questo pianeta”.
La misura della sorveglianza speciale risale ai tempi del fascismo ma viene usata spesso anche in democrazia o democratura a seconda dei punti di vista. Il provvedimento si concretizza in un serie di divieti che cancellano relazioni amicizie affetti nel nome della cosiddetta pericolosità sociale. La refrattarietà a piegare la testa è prova di pericolosità sociale secondo la procura già responsabile insieme al tribunale della vicenda di Dana Laureola da nove mesi in carcere con la prospettiva di restarci fino a due anni per aver parlato con il megafono durante una mafistazione dei NoTav in autostrada.
A Roma invece della mega operazione “antiterrorismo” del giugno scorso non resta quasi niente. Il reato associativo è stato spazzato via su indicazione della Cassazione. In carcere resta solo Claudio Zaccone per una presunta azione contro una caserma dei carabinieri ma anche per lui l’accusa di aver agito con fini di eversione dell’ordine democratico è caduta.
Daniele Cortelli, Flavia Di Giannantonio e Nico Aurigemma sono stati scarcerati. Prima la Cassazione e poi il Riesame hanno dato ragione al difensore Ettore Grenci secondo il quale il blitz era stato una repressione del dissenso sociale e politico. Si trattava di manifestazioni in solidarietà con i detenuti alle prese con l’emergenza Covid fatte tra l’altro con l’uso di mascherine e rispettando le distanze tra le persone.
Le procure però sembrano non curarsi dei paletti più volte fissati dalla Cassazione in materia di terrorismo nel senso che non basta l’adesione astratta a una ideologia per far scattare le manette. I servizi di sicurezza poi ci hanno messo il carico presentando le operazioni flop di Bologna e di Roma nella relazione annuale come grandi successi investigativi. Al pari dell’estradizione dalla Spagna di Francesca Cerrone che adesso dell’intero castello di accuse deve fronteggiare solo il presunto furto di cemento del valore di 30 euro. Dopo aver fatto nove mesi di galera praticamente gratis. (frank cimini)
Cade accusa di terrorismo per altri 4 anarchici romani
È caduta l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per altri quattro anarchici romani arrestati a giugno dell’anno scorso. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Roma al quale la Cassazione aveva rimandato indietro gli atti spiegando che la mera adesione all’ideologia anarchica non basta per contestare l’aggravante di aver agito con fini di eversione dell’ordine democratico.
L’accusa di terrorismo cade per Claudio Zaccone, Daniele Cortelli, Flavia di Giannantonio e Nico Aurigemma. Sono stati tutti scarcerati a eccezione di Zaccone che resta detenuto per un’azione contro una caserma dei carabinieri.
In precedenza era stata scarcerata Francesca Cerrone. L’operazione del giugno scorso si rivela sempre di più come un flop investigativo nonostante fosse stata citata come un successo nella relazione annuale dei servizi di sicurezza.
Va ricordata la storia di una analoga operazione avvenuta a Bologna nel maggio dell’anno scorso con scarcerazione da parte del Riesame di tutti gli anarchici dopo tre settimane.
A scoprire gli altarini nel caso di Roma è stata ancora una volta la Cassazione che già in passato aveva avuto modo di fissare paletti ben precisi in relazione all’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Ma gli uffici inquirenti della magistratura e quelli della Digos sembrano proseguire imperterriti per la loro strada di fatto criminalizzando manifestazioni di dissenso come quelle organizzate sotto le carceri in solidarietà con i detenuti alle prese con l’emergenza Covid.
Francesca Cerrone aveva scontato nove mesi di custodia cautelare e dell’accusa a suo carico resta solo il presunto furto di sacchi di cemento del valore di 30 euro. Per capire il contesto politico di queste inchieste va ricordato che Nico Aurigemma si era visto negare il permesso di colloquio con i genitori e la sorella perché il pm esprimendo parere contrario aveva indicato tra i motivi il fatto che il giovane si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia. Cioè Aurigemma per aver esercitato il suo diritto di indagato si vedeva negare un diritto da detenuto. (frank cimini)