Tutto per Achille Serra, poi Questore di Milano, Prefetto di Palermo, Firenze, Roma e senatore della Repubblica, inizia il 12 dicembre 1969 quando il capufficio Ernesto Panvini decide di mandarlo in piazza Fontana “per imparare”, mettendosi alla prova con quella che sembrava un’attività di routine. “Avevo 27 anni, dopo la laurea in Legge e il concorso sono arrivato a Milano, ero un apprendista commissario – racconta – mi avevano messo alla centrale operativa per fare esperienza sul campo. Arrivò al 113 una telefonata anonima in cui si riferiva che era scoppiato un tubo del gas e c’erano uno o due feriti. Panvini annunciò che toccava a me perché era una buona occasione per apprendere il mestiere. Appena giunto in piazza Fontana con altri due colleghi a bordo della volante ‘in sirena’, mi resi subito conto che non era affatto una cosa da poco”.
Le immagini e gli odori sono nitidi nel suo ricordo: “Vidi che tutti i vetri dei palazzi circostanti erano frantumati e avvertii un odore di carne bruciata. Quando entrai, mi si spalancò uno ‘spettacolo’ che, ancora oggi, a 50 anni di distanza, ho negli occhi: c’era un uomo vicino all’ingresso tagliato in due, mezzo tronco e mezzo sangue. In mezzo a un fumo indescrivibile e alle urla dei feriti, scorsi alcuni arti staccati dai corpi”. In quel momento, il giovane poliziotto capì che doveva avvertire i suoi superiori: “Mi attaccai alla radio e invocai almeno un centinaio di ambulanze, ma dalla centrale operativa mi presero per pazzo. Mi dissero: ‘Sei giovane, non ti preoccupare, vedrai che si risolve tutto, adesso mandiamo il funzionario anziano’. Rientrai e la prima cosa che volli fare, siccome c’era tantissimo fumo, fu quella di aiutare i feriti che non riuscivano a uscire. Era molto difficile perché al centro della sala c’era un buco enorme, una voragine. Si sentiva un penetrante odore di mandorla perché la bomba aveva lasciato questa sensazione olfattiva”. La scena si era animata all’improvviso e con violenza: “Eravamo vicini al Natale e i milanesi andavano fuori per le spese. Appena sentito il botto, la gente si riversò su piazza Fontana e arrivarono di corsa a sirene spiegate le ambulanze, le auto dei vigili del fuoco, dei carabinieri, della polizia”. In quel momento la vita di Serra prese una direzione non prevista, senza possibilità di ritorno. “Dopo avere fatto tutto che quello che potevo, mi sedetti sconvolto sul gradino della banca insieme a Panvini. Avevo preso da poco la decisione che, dopo l’esperienza milanese, sarei andato a Roma per diventare avvocato. Ma in quell’istante, in piazza Fontana, fui certo che sarebbe stato molto più opportuno restare in polizia per difendere la sicurezza e la legalità”. Dei funerali Serra ricorda “un’intera città che piangeva e l’omelia del cardinale Colombo. Non scorderò mai che, quando arrivò in piazza Fontana, si inginocchiò sul cadavere ‘mezzo uomo e mezzo sangue’ e lo benedisse, come poi fece con tutti gli altri”. Tra i sentimenti ancora vivi a 50 anni di distanza “c’è il rancore per quel governo che non trasferì il mio carissimo amico Calabresi, che, dopo la la morte di Pinelli, subì un ‘omicidio quotidiano’ e non gli diede la scorta. Quello era il momento in cui si chiedeva il disarmo della polizia. Un periodo terribile a cui guardo ancora con amarezza e stupore”. La giustizia ha stabilito che gli autori della strage appartenevano al gruppo di estrema destra di Ordine Nuovo. E’ una risposta sufficiente per Serra? “”Preferisco non rispondere, io ho una mia idea su quello che accadde e la tengo per me”. (manuela d’alessandro)