giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sette morti da spiegare – indagati vigili, carabinieri e metronotte

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Rachid, Soufiane, Haxhi, Simone, Giovanni, Taissir, Marinela.  Sono sette (sempre che non ci siano stati altri casi, non resi noti) le persone morte quest’anno durante operazioni di servizio (canoniche e non) di forze di polizia pubbliche e private (escludendo omicidi volontari in contesti familiari o di coppia e tragedie in carcere.) Cinque decessi sono o sembrano legati a interventi dei carabinieri (con il supporto della polizia municipale in una vicenda), uno rimanda all’azione dei vigili urbani, uno a guardie giurate.

Marinela Murati, Vigevano

L’ultima vittima si chiamava Marinela Murati, aveva 39 anni, una vita complicata e problematiche psichiatriche La mattina del 3 novembre la donna entra nella chiesa della Madonna Pellegrina di Vigevano (nella stessa provincia  dove il 20 luglio 2021 il l’assessore leghista Massimo Adriatici ha ucciso Youns El Boussetaoui, mandato a processo “solo” per eccesso colposo di legittima difesa). Urla, invoca Allah, si inginocchia sul tappeto destinato a un feretro, disturba i fedeli radunati in attesa del funerale. Il parroco non riesce a calmarla e chiama il 112. Accorrono due agenti della polizia municipale. Marinela, diranno, prova a prendere e rovesciare una statua mariana. I vigili la placcano, la ammanettano e la immobilizzano, atterrata a pancia in giù. Un agente, scrive la Stampa, le blocca la testa, asseritamente per impedirle di picchiarla contro il pavimento. L’altro le tiene ferme le gambe. Marinela si sente male, perde conoscenza e muore. I vigili vengono indagati per omicidio colposo, a loro tutela, anche, in attesa dei risultati dell’autopsia. Nel frattempo restano in servizio.

Rachid Nachat, Castelveccana

Il primo nome dell’elenco è quello di Rachid Nachat, 33 anni, spirato il 10 febbraio in fondo a un canalone nel bosco dello spaccio di Castelveccana (Varese).  E stato ucciso, è da capire se per legittima difesa o deliberatamente, da un sottufficiale dei carabinieri in giro con un fucile fuori ordinanza e con due colleghi in borghese, travestiti da cacciatori, a detta loro impegnati in un controllo antidroga. Lo sparatore è il maresciallo capo Mauro Salvadori, comandante del nucleo Radiomobile di Luino, sospeso dal servizio e indagato per ora per omicidio volontario, ipotesi di reato che potrebbe essere modificata o decadere. Sostiene che lo straniero lo teneva sotto tiro con una pistola. Lui prima esplode due colpi con l’arma di servizio, puntando a terra, Poi la Beretta si inceppa e allora usa il fucile a pompa personale che ha con sé, un calibro 12 non di ordinanza, caricato a palle di gomma.  Non si sarebbe accorto di aver colpito l’immigrato e alla schiena. Pensa che sia scappato via. Lo cerca senza trovarlo e rientra in caserma, come se nulla fosse successo. La storiaccia viene fuori a posteriori, dopo la telefonata anonima che segnala un corpo nel bosco e la ricostruzione della perlustrazione tra gli alberi, una “caccia all’uomo”, secondo Marco Romagnoli, uno dei legali del fratello della vittima.

Soufiane Boubagura, Fara Vicentino

Il 24 aprile 2023 a Fara Vicentino (Vicenza) perde la vita Soufiane Boubagura, 28 anni. Cammina scalzo per strada, grida frasi senza senso, inneggia ad Allah, si appende a un camion. Qualcuno avvisa i carabinieri, arriva una gazzella con due militari. Il capo pattuglia usa il taser per provare a neutralizzare lo straniero. Ma la pistola elettrica, dirà poi il comandante della polizia locale, Giovanni Serpellini, “non ha funzionato”.  C’è una colluttazione. L’immigrato riesce a sfilare la pistola d’ordinanza all’altro carabiniere e spara, centrando uno dei due vigli urbani spuntati nel frattempo. Spara anche il capo pattuglia dell’Arma, uccidendo l’uomo prima che possa esplodere altri colpi. La procura indaga il militare (il vicebrigadiere Stefano Marzari) e l’istruttore della polizia locale ferito (Alex Frusti), finito in ospedale in condizioni critiche. Si ipotizza l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. La morte estingue i reati addebitabili all’immigrato.

Haxhi Collaku, Padova

Il 14 luglio 2023, a Padova, quattro proiettili sparati da un carabiniere fulminano Haxhi Collaku, ex professore di matematica, stalker della moglie, con un ammonimento del questore. Quel pomeriggio va sotto casa della compagna assediata, la bordo di un furgone. La figlia si preoccupa e attiva i carabinieri. L’uomo scende dal veicolo, si lascia controllare e indentificare. Poi sale, accende il motore e preme sull’acceleratore per lanciare il veicolo contro la pattuglia. Smonta dal furgone, con un coltello in pugno, e si avvicina al militare che ha travolto, con gravi lesioni a una gamba. Il collega gli spara e lo ferisce, lasciandogli pochi minuti di vita. Il comandante dei carabinieri di Padova, Gaetano La Rocca, dichiarerà: «Secondo i primi accertamenti, le procedure adottate dai nostri militari sono state impeccabili e completamente aderenti ai documenti d’azione». Il carabiniere che ha utilizzato la pistola, Vittorio Stabile, è indagato dalla procura per eccesso colposo di legittima difesa.

Simone Di Gregorio, San Giovanni Teatino

A San Giovani Teatino (Chieti), domenica 13 agosto 2023, c’è un uomo che corre nei pressi della ferrovia, nudo, agitato. Si chiama Simone Di Gregorio, ha 35 anni. Anche qui arriva una pattuglia di carabinieri. Per fermarlo i militari usano il taser, a distanza. Uno dei due dardi sembra non vada a bersaglio o l’uomo comunque non si placa. Viene visto prendere a testate una macchina in sosta. Poi è fermato e caricato su una ambulanza. Gli è somministrato un calmante, non è dato sapere da un medico o un barelliere. All’ospedale di Chieti ci entra morto. I rappresentanti delle associazioni Uniarma e Fsp, prima ancora del deposito dei risultati dell’autopsia, sulla base delle prime indiscrezioni escludono che il decesso sia legato all’utilizzo del taser, corretto o improprio che sia stato. Dovrebbe esserci una inchiesta per omicidio colposo. Non è dato sapere se la pistola elettrica sia stata sequestrata e periziata.

Giovanni Sala, Milano

Due vigilantes dell’Italpol, Enrico Scatigno e Dario Vincenzo Carbonaro, sono indagati per la morte di Giovanni “Gianni” Sala di 34 anni e sarebbero state sospesi dal servizio. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. Succede tutto nella notte tra il 19 e il 20 agosto. Le telecamere di sorveglianza riprendono la scena, un crudo video rilanciato da Repubblica. Pantaloncini neri, petto nudo, scarpe da ginnastica, l’uomo fa avanti e indietro davanti alla sede Sky di Milano. Sembra alterato. Prova più volte a entrare ed è cacciato via. Torna. Viene atterrato due volte, picchia la testa contro il marciapiede. Un vigilante gli mette un ginocchio sulla schiena, gli si siede sopra e lo immobilizza. Passano sette minuti, il “fermato” smette di respirare. Il collega prova fargli un massaggio cardiaco, ma non serve a niente. E solo a questo punto, troppo tardi, vengono chiamati i soccorritori del 118,- L’autopsia documenta che Giovanni Sala è morto per arresto cardiocircolatorio e non riscontra fatture evidenti o lesioni a livello toracico. “Ciò non vuol dire – rimarca l’avvocato dei familiari, Giuseppe Geraci – che Gianni non sia morto per problemi di soffocamento. Sono state trovate raccolte di sangue, ematomi, sia sotto il collo sia sul viso, alla guancia destra. Questo è indice di una attività pressoria o contusiva”.

 Taissir Sakka, Modena

La penultima vittima, sempre in circostanze tutte da chiarire, è il trentenne tunisino Taissir Sakka. Lui e il fratello Mohamed Alì, sabato 14 ottobre 2023, bevono, disturbano, infastidiscono i clienti del al circolo Arci di Ravarino, in provincia di Modena. I gestori chiamano i carabinieri. I due vengono portati in caserma, schedati, indagati per ubriachezza molesta e rilasciati, poco prima di mezzanotte. Sembrano tranquilli, ripresi dalle telecamere di sorveglianza.  Si separano. Domenica mattina Sakka è trovato senza vita nel parcheggio del dopolavoro ferroviario e del cinema Filmustudio 76 de capoluogo emiliano, il volto tumefatto, una botta alla nuca. Poche ore dopo il fratello va in questura e denuncia che entrambi sono stati picchiati. La procura comunica di aver iscritto nel registro delle notizie di reato sei carabinieri, uno per minacce, lesioni e “morte come conseguenza di altro delitto” (senza precisare quale) e cinque “solo” per lesioni. L’autopsia non evidenzia traumi correlabili al decesso. Pe avere certezze bisognerà aspettare i risultati degli esami in corso, analisi tossicologiche e isto-patologiche. Per gli indagati per questa morte, e per tutte le altre, vale la presunzione di non colpevolezza.

Lorenza Pleuteri, giornalista indipendente e collaboratrice di Osservatoriodiritti.it.

 

 

 

 

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