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E’ l’aula grande della corte d’assise d’appello di Milano, dove le gabbie per i detenuti erano state coperte ai tempi del processo a Berlusconi per il caso Ruby al fine di evitare di mostrare al mondo intero attraverso le tv estere le vergogne medioevali della giustizia italiana. Adesso via i teloni bianchi, le gabbie sono visibili in tutto il loro “splendore” e utili per metterci dentro Mattia Zanotti, uno dei 4 Notav accusati di terrorismo a Torino per il danneggiamento di un compressore e di qualche filo elettrico. Zanotti a Milano viene processato insieme ad altri per i fatti relativi allo sgombero del centro sociale di via Conchetta, gennaio 2009. Resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, recita il capo di imputazione, e rapina di capi di abbigliamento da un negozio di via Torino, da dove però il proprietario sentito a verbale ha detto che non mancava nulla.
Zanotti è in gabbia nonostante i suoi legali lamentino la violazione del diritto di difesa perché vorrebbero che sedesse in mezzo a loro per consultarsi e preparare eventuali domande ai testi della procura in sede di contro-interrogatorio. L’istanza viene reiterata in occasione di ogni testimonianza. “Avvocato – dice a un certo punto il presidente quasi infastidito – manca un solo teste, poi abbiamo finito…”. I difensori insistono e il collegio dà l’assenso alla trasferta dell’imputato dalla gabbia ai banchi degli avvocati. Ma non in mezzo ai legali, all’esterno, il più vicino possibile agli agenti della polizia penitenziaria che poi negano la consegna a Zanotti di una bottiglia d’acqua e di un panino da parte di una coimputata a piede libero.
Zanotti “è pericoloso”. Il danneggiamento del compressore il 14 maggio del 2013 provocò “gravi danni all’immagine dell’Italia e della Ue”, stando a quel laboratorio politico della repressione del terzo millennio che è la procura di Torino, egemonizzzata da pm di sinistra, la parte politica molto interessata agli appalti dell’alta velocità che sarebbero pure gli unici onesti e trasparenti. Zero inchieste, infatti (frank cimini)