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Guy Chiappaventi, giornalista di La7 romano e laziale che si proclama insofferente agli spigoli della nostra città, da qualche anno si aggira col suo taccuino per i corridoi del Palazzo di Giustizia con l’aria sorniona di chi viene da un altro pianeta. Ora, leggendo il suo libro ‘Pistole e Palloni’ (Editore Castelvecchi), intravvediamo finalmente da quale pianeta sia calato e, dobbiamo ammetterlo, una storia così a Milano, almeno in quella sportiva, non potrebbe mai essere stata scritta. Guy offre ritratti luminosi, dal portiere Felice Pulici al mister Tommaso Maestrelli, dei ragazzi che vinsero il primo scudetto nella storia della Lazio il 12 maggio 1974, mentre lui era in prima elementare e l’Italia diceva sì al divorzio e all’aborto col disappunto di Pasolini, le cui riflessioni incorniciano non per caso i momenti più intensi di questo libro. Sono le parole dell’intellettuale, comunista e omosessuale, a disegnare i confini del ‘campo’ in cui giocò quella squadra di “irregolari”, machista e missina, che per la prima volta nel dopoguerra strappò il tricolore al nord, e dove “le teste erano calde, andavano di moda le pistole e i paracadute, le partitelle di allenamento finivano a schiaffi, gli spogliatoi erano divisi per clan”.
“Io giravo con la pistola, una 44 magnum. Poteva servirmi in certi casi. Ma non l’avevo presa per autodifesa, alla Lazio eravamo quasi tutti armati. Con le armi ci passavamo i ritiri all’Hotel Americana”. Questo è Giorgio Chinaglia che per Pasolini era un centravanti “goffo e delirante”, per i tifosi un amatissimo “re Luigi XIV degli anni settanta”, in grado di poter battersi il petto con la foga che lo spingeva in area di rigore, urlando: “La Lazio? C’est moi.”
Tanti di quei giocatori ammiravano Giorgio Almirante ed esibivano pose neo – fasciste, pur senza essere consapevoli della matrice storica dei loro comportamenti, proprio negli anni del ’riflusso’ che spegne il ’68 e porta dritto alla lotta armata. L’ossessione della polvere da sparo bruciò il volo di Luciano Re Cecconi, l’angelo biondo a cui un gioielliere con una revolverata tolse la vita a 28 anni perché per scherzo inscenò una rapina nella sua bottega. Di quella squadra di “pazzi, selvaggi e sentimentali” spezzata da tali rivalità che i giocatori si cambiavano in due spogliatoi fisicamente distinti (quelli che stavano con Chinaglia e gli ‘altri’) molti ebbero una sorte nera, dalla mezzala Frustalupi, morto in un incidente stradale all’allenatore Maestrelli, il più dolce di tutti che sapeva come ammansire le sue belve e finì in una bara a un passo dalla panchina dell’Italia. Tanti finirono risucchiati in inchieste giudiziarie, calcio scommesse, falsi in bilancio, passaporti truccati. Long John Chinaglia è stato folgorato da un infarto in America da latitante, il 16 settembre di un anno fa. (manuela d’alessandro)