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La sala del Grechetto a pochi metri dal ‘Palazzo dell’ingiustizia’ è piena, persone anche in piedi, a 44 anni dalla notte in cui Pino Pinelli fu ucciso in Questura, c’è la proiezione del video di Alberto Roveri dove parlano la vedova Licia, le figlie Claudia e Silvia. Sala piena, ma la maggior parte dei presenti allora c’era già, giovani pochissimi. Trasmettere la memoria non è facile.
Licia, una bella sciarpa rossa al collo, voce squillante, ricorda di aver visto il marito vivo l’ultima volta partito da casa per ritirare la tredicesima e poi di averlo reincontrato sul marmo dell’obitorio. Nel frattempo aveva chiamato in Questura lamentando di non essere stata avvisata della morte di Pino e il commissario Calabresi le aveva risposto: “Signora qui abbiamo da fare”.
In sala il giornalista Piero Scaramucci racconta che Calabresi indagò su Pinelli post-mortem per cercare di trovare almeno un elemento che lo collegasse a qualche bombarolo. “Gli stessi responsabili dell’omicidio di Pino poi iniziarono a parlarne bene un brav’uomo, ma era tutto funzionale a costruire anche il santino di Calabresi” aggiunge Scaramucci.
Capelli e barbe bianche sul filo dei ricordi. Per riaffermare che Pinelli non ha avuto giustizia, anche se è diventato un santino. Al pari del ‘commissario-finestra’. Lui era il più alto in grado, la stanza dalla quale Pino Pinelli “cadde” era la sua. Ci furono depistaggi e imbrogli, la verità fu nascosta accuratamente per responsabilità degli inquirenti e della politica a cominciare da quello che allora era il più grande partito di opposizione. Gli atti giudiziari di piazza Fontana e dintorni dicono che Pinelli fermato e trattenuto illegalmente per 3 giorni morì di “malore attivo”. Una storia di 44 anni fa… attuale…
Cucchi, Aldrovandi e tanti altri, vittime delle “forze dell’ordine”, sacrificati sull’altare della “sicurezza” che secondo gli utili idioti non sarebbe nè di destra nè di sinistra (frank cimini)