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Non c’è la “prova certa” che sapesse che erano in corso due processi conclusi con altrettante condanne a suo carico, per tentata rapina e resistenza.
Perché i processi sono da rifare daccapo
Nel provvedimento letto dall’AGI con cui è stata accolta l’istanza dell’avvocato, i giudici fanno riferimento alla recente Cassazione nella quale viene spiegato che non basta l’elezione di domicilio presso un difensore d’ufficio per dimostrare che la persona sia a conoscenza di essere sottoposta a un procedimento penale.
Ci vuole di più: “il giudice deve verificare che vi sia un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale e l’indagato, tale da far ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento o vi si sia sottratto volontariamente”.
E, scrivono i giudici della Corte d’Appello, “dalla lettura della documentazione riversata nel dossier processuale si evince che le notifiche relative ai due procedimenti sono state sempre effettuate nel domicilio eletto presso il difensore d’ufficio, senza che sia stata raggiunta la prova certa che l’atto sia giunto a conoscenza del destinatario, peraltro affetto da malattia psichiatrica che verosimilmente ha inciso sulla capacità di cognizione e comprensione”.
La conseguenza è che viene ordinata “l’immediata scarcerazione” e la sospensione dell’esecuzione delle due sentenze col rinvio degli atti ai giudici di primo grado davanti ai quali dovranno essere ricelebrati i processi.
“L’ignobile assenza in aula di uno dei suoi avvocati”
L’uomo aveva da scontare un cumulo di 4 anni di reclusione, frutto di due condanne pronunciate dal tribunale di Milano il 13 marzo 2018 e il 2 ottobre 2019. Per quanto riguarda il primo procedimento, dagli atti emerge che parte delle responsabilità vanno attribuite all’allora avvocato d’ufficio che non ha mai partecipato alle udienze tanto che il giudice, dando conto della sua “continua e ingiustificata assenza”, l’ha definita “una cosa veramente ignobile”.
Anche dell secondo giudizio non ha saputo nulla anche per un errore di notifica: “inspiegabilmente” l’avviso di chiusura delle indagini e il decreto di citazione a giudizio vengono mandati a un difensore d’ufficio che non era quello nominato in un primo momento.
“Percorso costellato da violazioni di diritti”
Pure in questo caso, come nel primo, “la non conoscenza incolpevole ha determinato il venir meno della possibilità di impugnare la sentenza e la conseguente definitività”. “Sentenze – ha scritto Calcaterra nel ricorso poi accolto – che sono la conclusione di un percorso giudiziario costellato da violazioni di diritti (prima tra tutti quello di difesa) e che rischiano di vanificare la cura di una persona che necessita anzitutto di essere presa in carico per la gestione di quelle problematiche psichiatriche che hanno dato causa ai fatti illeciti”. (manuela d’alessandro)