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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Non è un atto garantista affidare la cronaca giudiziaria a un procuratore

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Davvero pensiamo che sia un atto garantista affidare la cronaca giudiziaria solo a un procuratore capo?

Così impone la legge sulla ‘presunzione d’innocenza’: parla lui e lui solo, il sovrano della procura, tale diventato dopo la riforma che un po’ di anni fa ne ha ampliato a dismisura i poteri con le conseguenze che tutti abbiamo visto, anche nelle vicende che hanno squassato Milano: Bruti Liberati contro Robledo, Greco contro Storari, per dire.

E come un vero sire parla in conferenza stampa quando decide lui di dare a un caso la patente di  ”rilevante” spiegando  con “atto motivato” le ragioni di pubblico interesse che lo spingono a farlo. Ed eventualmente, chi le boccia queste ragioni? Un ministro? Un sottosegretario? Un comitato di saggi? Distillare le conferenze stampa, visto che l’alternativa in questi casi rilevanti viene indicata in un comunicato senza possibilità di confronto coi media, significa anche ridurre al minimo uno dei pochi momenti alla luce del sole delle indagini dove chi le fa ci mette la faccia e se ne prende la responsabilità, importante anche in seguito per sapere chi si è preso l’eventuale cantonata.

Peraltro è noto che spesso il capo della Procura le indagini dei suoi sostituti le conosce per sommi capi perché non ha seguito l’inchiesta passo passo, com’è giusto che sia, quindi potrebbe non essere in grado di rispondere alle domande – resta il diritto di fare domande? – ai cronisti.

Accadrà, com’è naturale quando uno cerca di fare al meglio il proprio lavoro, che si continuerà a bussare alle porte dei sostituti , stando sulla soglia o mandando un messaggio che si autodistrugge in cinque secondi. Al pm tremebondo per eventuali sanzioni non si potrà però più attribuire più nulla, come ora spesso accade, restando in quel terreno ispido della citazione di fonti anonime, che poco contribuisce a un’idea di informazione attendibile e trasparente. In fondo, ciò  che un lettore desidera.

Il tutto in un meccanismo che da anni, nonostante le ripetute richieste dei giornalisti, impedisce l’accesso agli atti pubblici senza le disdicevoli elemosine ai bordi dei palazzi, delle questure e degli studi di avvocati.

Ci sono altri modi per garantire il garantismo? Eccome. Qualcuno lo centra pure la legge Cartabia eliminando le indagini nel cui nome viene già pronunciata una condanna (Mafia Capitale, Mani Pulite, Toghe Sporche). Dice anche che i magistrati non devono usare espressioni di condanna anticipata di  un indagato altrimenti devono rettificarle entro un giorno.

Viene da sorridere: davvero è necessaria una legge per sancire un principio che si impara al primo anno di giurisprudenza?

Veniamo a noi giornalisti: spesso colpevoli di fare i processi suoi giornali con tanto di sentenza di condanna. Vero, verissimo. E questo nonostante le miriadi di codici deontologici che imporrebbero la presunzione d’innocenza, il non mostrare un imputato in manette, non fare i nomi dei bambini e delle vittime. Che orrore, sì.

Pensiamo davvero che la soluzione possa venire calata dall’alto da un ministro (meritoriamente) garantista con una carta ottriata? Non risultano in Parlamento consultazioni coi giornalisti, solo coi magistrati. Eppure l’informazione la fanno i cronisti.

Infine, sì, è vero, la cultura del garantismo in Italia sconta anni tremendi, quelli in cui essere rispettosi del principio d’innocenza voleva dire essere berlusconiani e non esserlo no. Una cultura a intermittenza, in base ai fatti propri. Un po’ è così ancora anche se col Cavaliere sono diventati garantisti quasi tutti, tranne Travaglio, sempre perché conviene al proprio orto. E’ la politica per prima ad averla diffusa, questa cultura, perfino prima dei gazzettieri delle procure.  E adesso ci da’ la pozione da ingoiare tutta d’un botto per risolvere il problema. Qualcosa non torna. Eppure lo sapete, da queste parti del garantismo ne abbiamo fatto un’ossessione. (manuela d’alessandro)

 

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