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E’ prevista per martedì 17 settembre l’ultima parte della discussione alla Camera dei Deputati del disegno di legge n. 1660, l’ennesimo Pacchetto Sicurezza, ultimo parto dell’ideologia securitaria del Governo.
L’asse portante del provvedimento è costituito dal forte aggravamento della reazione sanzionatoria per fatti tipicamente commessi in occasione di manifestazioni pubbliche, frutto dell’insofferenza del Governo per ogni forma di conflitto sociale e, in genere, di dissenso.
Niente di buono, ma neanche di nuovo. Poi, scorrendo gli emendamenti apportati dalle Commissioni, ci si imbatte in una vera e propria perla: gli articoli 22, tutela legale per il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e 23, tutela legale del personale delle Forze armate, articoli che saranno oggetto di votazione proprio martedì.
L’ipotesi è quella in cui un operante di polizia o dell’esercito finisca indagato o processato perché accusato di aver commesso un reato “per fatti inerenti al servizio” (tanto per capire, “fatti inerenti al servizio” furono i pestaggi della Diaz, le torture di Bolzaneto o, più recentemente, quelle di Santa Maria Capua a Vetere).
Se il testo di queste due disposizioni fosse approvato, sarebbe estesa a dismisura l’operatività di un istituto poco noto in materia di assistenza legale degli appartenenti alle forze dell’ordine: l’anticipazione del pagamento delle spese di difesa da parte dello Stato. Questo significa che, a prescindere da ogni valutazione sulle condizioni di reddito e sulla gravità della contestazione, per difendersi potranno scegliersi un avvocato e farselo pagare dall’amministrazione di appartenenza, cioè dai contribuenti.
Un vero e proprio privilegio, negato ai comuni cittadini, che, quando hanno la sfortuna di affrontare un processo penale come imputati, il difensore devono pagarselo.
L’unica eccezione a questa regola è prevista dalla Costituzione, che assicura ai non abbienti (cioè coloro che guadagnano meno di 1000 euro al mese) i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Ma i poveri sono trattati con molta meno generosità.
Primo, non possono scegliere un avvocato qualsiasi, ma solo uno di quelli iscritti nell’apposito albo. Secondo, le spese non sono anticipate, ma liquidate dal giudice alla fine di ogni fase. Infine, e soprattutto, la misura del compenso riconosciuto al difensore dei non abbienti non può superare la metà della tariffa professionale, ridotta ulteriormente di un terzo: per esperienza, non più di 5.000 euro per tutti i gradi del giudizio.
Quanto potrà ottenere il fortunato difensore di un appartenente alle forze di polizia o all’esercito, grazie alla nuova previsione? Una cifra molto superiore, superiore perfino al massimo di quanto previsto dalla tariffa professionale: fino a 10.000 euro per ogni fase di giudizio, in tutto anche 40.000 euro di parcella (indagini, primo, secondo e terzo grado).
Un esempio tratto da una esperienza diretta può aiutare a capire.
Abbiamo difeso con il gratuito patrocinio una ragazza accusata di aver opposto resistenza ad un agente di polizia che cercava di identificarla. All’esito di un lungo dibattimento, l’imputata è stata assolta e l’agente denunciato alla Procura. Alla difesa sono stati liquidati 1800 euro (e si tratta di una cifra anche superiore alla media). Per la stessa attività, nel processo a carico del poliziotto che l’avrebbe ingiustamente accusata, il difensore potrebbe ottenere da parte dello Stato il pagamento di 20.000 euro (fase indagini e primo grado di giudizio).
Insomma, una clamorosa violazione del principio di eguaglianza nel diritto di difesa.
Avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini