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Pericoloso, così pericoloso perché trovato in possesso di un’arma da meritare il carcere, nonostante la difesa avesse implorato di lasciarlo libero perché soffriva di una grave forma di cirrosi epatica.
S.R., che aveva precedenti per reati non gravi, è stato rinchiuso venerdì, sabato e domenica in cella. Sempre più sofferente, con la malattia che gli mangiava il fegato e la vita, finché lunedì è stato autorizzato il colloquio coi familiari e revocata la custodia cautelare “perché a fronte di tale sopravvenuto stato di morbilità sono venute meno le esigenze che giustificavano l’adozione della misura”.
Ieri mattina, è morto. Ne dà notizia la camera penale di Milano che denuncia “l’ennesima vittima di un sistema processuale che consente l’abuso della misura cautelare custodiale, l’ennesima vita umana, uguale a quella di coloro che la perdono in fondo al mare, durante i viaggi della speranza, alle vittime della strada, alle donne che cadono sotto la violenza degli amori assassini, uguale a qualunque altra vita umana”.
La legge che pure è molto chiara e prevede il carcere solo in casi eccezionali quando ci sono severi motivi di salute viene disapplicata ” a causa dell’evidente resistenza culturale della magistratura a vedere limitato il proprio potere discrezionale nell’ottica di una riduzione della custodia cautelare”. Sono 18mila i detenuti in attesa di giudizio o mai condannati in primo grado, un numero enorme, non dissimile da quello precedente alla riforma del 2015 sulle misure cautelari che “ha introdotto aggettivi e avverbi volti a eliminare il potere discrezionale del giudice”. (manuela d’alessandro)