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Legiferare “con la pancia”, a seguito di fatti di cronaca, o peggio ancora per accontentare le associazioni delle vittime della strada, magari, inopinatamente, presiedute da qualche avvocato. Questo é il modo per produrre danni, per intervenire a spot, senza poi preoccuparsi di coordinare e razionalizzare le varie norme. Questo è il progetto di legge sull’omicidio stradale di cui si parla in questi giorni.
L’idea base, neanche innovativa peraltro, è quella che aumentando le pene si riducano i reati, teoria già discutibile per i reati dolosi, assurda per quelli colposi, dove manca la volontà di commettere il reato. Oppure aumentare i minimi della pena, per impedire al giudice di commisurare la sanzione alla gravità del reato, auspicando che tutti gli autori di questo reato così debbano finire in carcere. Si tratta della riedizione addolcita della legge del taglione; al reato, segue la carcerazione del reo, quale punizione, più che quale sanzione giusta.
Siamo tornati al medioevo giuridico. Più carceri per accontentare l’opinione pubblica. Senza pensare che mettere in carcere per un lungo periodo un soggetto magari al primo reato non serve a nulla, mentre magari cercare di fargli capire la gravità della sua condotta, attraverso lavori socialmente utili, in ospedali dove ci sono persone che hanno subito incidenti stradali ad esempio, può servire a eliminare la possibilità che reiteri il reato. Oppure un’attività finalizzata al risarcimento del danno delle vittime, troppo spesso insufficiente. Non si sentiva proprio il bisogno di inventarsi un nuovo reato, proprio mentre si ragiona su ipotesi di “depenalizzazione”, di “diritto penale minimo”, anche perché questo modo di legiferare crea situazioni ingiuste. Perché allora non istituire l’omicidio sui posti di lavoro, forse perché “si notano di meno”‘ perché magari i morti vengono buttati a mare? Non ci siamo proprio, è proprio vero che quando la politica si occupa di giustizia questa esce sempre perdente…a prescidendere direi. (Mirko Mazzali, avvocato e presidente della commissione sicurezza del Comune di Milano)
lorenzo ha scritto:
ma quale legge del taglione, ma dove vivi?
e perché mai “carcere”?
ma tu giri mai in bicicletta, magari in periferia?
lo sai che se vuoi ammazzare uno ti basta metterl osotto in auto e non rischi quasi niente, anzi niente del tutto?
hai provato a sentire l’associazione “vittime della strada”?
sto articolo è proprio na fetenzia, immagino l’abbia scritto un avvocato
lorenzo ha scritto:
mi scuso per la fretta, era proprio un avvocato, anzi presidente di una qualche commissione, quella per la sicurezza degli automobilisti contro pedoni e ciclisti
Paolo Colombati ha scritto:
Non credo che il progetto di far fronte alle (a volte) miti condanne per omicidio causato dall’uso improprio di mezzi di trasporto, sotto l’effetto di droghe o di alcol (perchè di questo si tratta!) con la creazione di un reato specifico sia la soluzione del problema.
Gli strumenti esistono già:colpa cosciente nei casi più lievi (un bicchiere di troppo), dolo eventuale se l’omicidio è commesso sotto l’effetto di droghe. Si tratta di usarli.
Quanto alle pene, che debbono rispettare il principio della gradualità in relazione al bene giuridico offeso, il problema non è carcere o pene alternative ma pene certe. L’alternatività al carcere per i reati di omicidio o lesioni gravi, commessi per colpa cosciente o con dolo eventuale, deve essere valutata caso per caso ed avere come contropartita una forte probabilità di recupero in concreto dell’autore del reato, altrimenti meglio limitarsi a “retribuire” il mal fatto.
Non di nuovi reati, quindi, ha bisogno la nostra giustizia – ché la moltiplicazione delle norme, moltiplicando le lacune legislative, e con esse gli spazi di interpretazione, è causa disomogenea applicazione da un foro all’altro – ma di interpretazioni più omogenee, magari attraverso norme chiarificatrici, interpretazioni autentiche, nonchè di magistrati consapevoli del proprio ruolo.
Paolo Colombati