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Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.
Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.
Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere.
Il responsabile dell’archivio del Tribunale, Umberto Valloreja, che governa con efficienza un luogo in cui sono stoccati con ordine maniacale abbastanza fascicoli da coprire la distanza tra Milano e Lecco, riceve quell’email e di getto risponde per le rime: “Non ritengo per ragioni di dignità e sentimenti di rispetto verso i ragazzi (Lsu) di averli in carico nel nostro ufficio per otto giorni!!!! Assegnateli ad altri uffici dove la necessità si reputi maggiore”. Un’indignazione che nasce dalla conoscenza delle storie di quei lavoratori. Molti under 30, cassintegrati, ormai specializzati per aver già in passato prestato servizio in Tribunale. Dall’archivio sono già passati in otto, prestandosi a ogni mansione richiesta. Il più giovane ha 27 anni. A dicembre scorso sono stati chiamati per quindici giorni ma, a oggi, non hanno ancora ricevuto lo stipendio relativo a quel mese. E dire che il contratto Lsu garantisce loro non più di 350 euro netti al mese, lavorando full-time. Un costo non proprio insopportabile per la pubblica amministrazione. Alcuni di loro ormai aspirano a essere stabilizzati, avendo ormai imparato di districarsi tra fascicoli penali e civili, tra sentenze e ordinanze.
Una possibilità però esplicitamente negata dall’accordo tra Provincia e Tribunale. “L’inserimento non è prorogabile oltre il 12° mese e non darà luogo a stabilizzazioni del rapporto di lavoro”, si legge sul sito di palazzo Isimbardi. Ma che senso ha tutto ciò? Lo scenario da anni è quello di una progressiva riduzione degli amministrativi, pensionamenti e distacchi non sostituiti, blocco dei contratti. La macchina della giustizia deve andare a mille e costare sempre meno. Il che è comprensibile e sensato. Ma allora per quale criterio i più efficienti e meno costosi lavorano per otto giorni al mese? “Ci sentiamo abbandonati – commenta amaro Valloreja – questa è la Lampedusa della giustizia”.