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Per carità, nessuna censura ma una storia significativa su come vengano percepiti i media nei palazzi di giustizia di questi tempi. Processo di revisione sulla strage di Erba, tribunale di Brescia. Per decisione dei vertici, i giornalisti non possono entrare nell’aula della corte d’appello dove si celebra ma vengono distribuiti in due sale: una per cronisti e operatori con telecamera che potranno scaricare le immagini che la troupe di ‘Un giorno in Pretura’ metterà a disposizione, l’altra per la carta stampata che ormai solo stampata non è da un bel po’ visto che chi scrive i pezzi per il giorno dopo è chiamato anche ad aggiornare i siti in tempo reale.
In entrambe il processo va in onda su degli schermi. Al piano interrato in cui vengono dirottati carta stampata e web, non ci sono finestre. Il segnale internet, già fievole ai piani alti, praticamente svanisce o, nei momenti di grazia, funziona a intermittenza. Risultato: lavorare per i giornalisti delle agenzie e per tutti gli altri che scrivono sul web diventa molto difficile. Ci si aggira come ridicoli rabdomanti con in mano i dispositivi per captarlo tra imprecazioni e la sensazione che stia accadendo qualcosa di surreale. Un piano più in su va in scena il processo ‘reale’ a Olindo e Rosa alla presenza di una quarantina di cittadini che vi hanno avuto comodamente e giustamente accesso.
Com’è potuto accadere che non siano potuti entrare anche i rappresentanti dei media? La spiegazione che viene fornita dai severissimi controllori, carabinieri e personale del palazzo, è che l’aula è troppo piccola per farci stare tutti. Non pare, a occhio, ma se lo dicono loro…All’obiezione che si sarebbe potuto dividere il pubblico tra cittadini e giornalisti, facendo alternare i cronisti, delle diverse testate, la risposta di uno dei più solerti ‘guardiani’ dell’organizzazione con tesserino del Ministero della Giustizia è: “La prossima volta magari la porta la chiudiamo proprio e non entrate manco in sala stampa”.
Certo, si può ribattere, un giornalista avrebbe potuto entrare come cittadino godendo quindi di un posto al sole. Ma chi entrava in aula con questa modalità non avrebbe potuto utilizzare “qualsiasi mezzo idoneo a effettuare riprese audiovisive, televisive e fotografiche pena l’espulsione dal palazzo”. Quindi nemmeno un telefonino. E vabbé, si dirà: ci sono la carta e la penna e il vecchio block notes, quelli usati dal bravissimo illustratore giudiziario Andrea Spinelli che infatti siede tra le prime file (la rivincita della matita!). Solo che poi gli appunti in qualche modo dovresti spedirli alla tua testata, la forza del pensiero non basta.
Laggiù, nei sotterranei, l’immagine di Olindo e Rosa non si è mai vista perché i due hanno scelto di non farsi riprendere. “Cosa vi interessava vederli? Tanto hanno chiesto di non essere ripresi” si stupisce una funzionaria del tribunale ribattendo alle proteste di alcuni cronisti agitati. Lezione dei tempi: solo quello che finisce in uno schermo ha un senso, il resto non conta. Dostoevskij non era in aula ma una lettura dei ‘Fratelli Karamazov’ potrebbe illuminare sul potere magico e la vividezza della parola scritta applicata a un processo.
Manuela D’Alessandro