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La corte d’appello di Milano ha ribaltato con un’assoluzione la sentenza che in primo grado aveva condannato 4 banche estere per truffa ai danni del Comune di Milano in relazione a un’operazione su contratti derivati.
La sentenza arriva dopo che a processo in corso le banche Ubs, Depfa, Deutsche Bank e JPMorgan avevano rinegoziato l’operazione, in cambio della revoca di costituzione di parte civile del Comune, facendo affluire nelle casse dell’ente pubblico 455 milioni. Formalmente non è un risarcimento ma di fatto lo è. Evidentemente gli istituti di credito avevano messo nel conto di poter essere condannate. E così fu in primo grado, un milione di euro di multa e la confisca di 89 milioni. Tutto cancellato oggi dai giudici di appello “perchè il fatto non sussiste”.
Dice il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo che aveva coordinato l’indagine: “I giudici di primo e secondo grado sono tutti eccellenti magistrati. In una materia così nuova e complessa è più che legittima la diversità di opinioni. Non è un’opinione però che esclusivamente a causa del processo le banche abbiano versato 455 milioni al Comune di Milano e che sulla base delle stesse carte trasmesse da questa procura a Catanzaro la Regione Calabria abbia incassato 24 milioni di euro dalla Banca Nomura”.
Va ricordato che lo scopo del processo penale è quello di accertare le responsabilità di persone fisiche e giuridiche, ma ancora una volta verifichiamo di essere in un paese dove non funzionano gli anticorpi, per cui il lavoro dei magistrati serve a risolvere problemi di competenza della società e della politica o semplicemente a porre questioni. Questa vicenda dei derivati, ritenuta “pilota” e seguita non solo in Italia ma anche all’estero, ribadisce che siamo lontani da un paese normale.
E non è la prima volta. Un’altra storia di cui parlarono i giornali di mezzo mondo fu quella dell’accusa a Google di aver violato la privacy con l’immissione sul web delle immagini di un disabile vessato dai compagni di scuola. Anche lì condanne in primo grado e assoluzione in appello. Anche in quel caso Google aveva risarcito il ragazzo con una somma di cui non si è conosciuta l’entità. Pure in quella circostanza senza l’indagine penale, le immagini sarebbero rimaste in rete e il poveraccio non sarebbe stato risarcito. Insomma, la ‘repubblica penale’ continua. (frank cimini)