giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

L’interrogatorio di Marianna, uccidere in Siria è il dovere di un musulmano

 

“Lo vuole il Profeta, la mia religione è questo”. Il senso dell’interrogatorio di Marianna Sergio sta tutto qua. Che sia il vero Islam quello che predica la guerra santa, per cui un mostro come il terrorista Abu Bakr Al Baghdadi si può far passare per autentico interprete del Corano, che sia una religione quella secondo cui i presunti adulteri debbano essere lapidati a morte (la sorella di Marianna, Maria Giulia, ne ride in una conversazione su Skype come se fosse un fatto ineluttabile e divertente al tempo stesso), pare nient’altro che il pensiero di un’invasata, almeno a chi scrive. Qui però ci si limita a riferire che Marianna, aspirante jihadista e sorella di Maria Giulia ‘Fatima’, già divenuta militante del cosiddetto califfato di Siria e Iraq, ne è fermamente convinta.

Nell’interrogatorio reso a San Vittore davanti al pm Paola Pirotta e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, la ragazza parla proprio di questo. Andare in Siria e unirsi alle fila dell’Isis insieme a Fatima, avrebbe affermato Marianna, era la cosa giusta da fare. Per fortuna la Digos e la magistratura sono intervenute in tempo. “Lì c’è la guerra”, ovvio che si combatta e uccida. Non lo fanno le donne perché non è previsto, avrebbe spiegato la ragazza, ma gli uomini, se veri musulmani, nell’uccidere un infedele compiono il loro dovere. Non usa mai il termine ‘eroina’, riferendosi alla sorella Maria Giulia che il suo viaggio verso il califfato l’ha portato a termine, ma ne parla in termine elogiativi.

Anche la zia del marito di Maria Giulia, Anila, è stata interrogata dagli inquirenti, e in settimana toccherà anche ai genitori delle due sorelle. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Ambrogio Moccia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, salvo per poche dichiarazioni spontanee del padre delle ragazze, Sergio Sergio, ritenute non particolarmente utili dagli investigatori.

Presunto basista assolto per via Palestro, per la prima volta Spatuzza smentito

E’ la prima volta che una sentenza di merito da’ torto al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, l’ex mafioso di Brancaccio le cui rivelazioni hanno riscritto la storia dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e di molti altri capitoli firmati da Cosa Nostra.  La Corte d’Assise di Milano, presieduta da Guido Piffer, ha assolto per non aver commesso il fatto Filippo Marcello Tutino dall’accusa di strage per essere stato quasi 22 anni fa il basista della strage di via Palestro. L’indagine che aveva portato a un mandato di arresto a suo carico nel 2014 firmato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari era scaturita dalle rivelazioni del pentito, autoproclamatosi “autore di oltre 40 omicidi”, il quale aveva identificato Tutino come l’uomo che prelevò Spatuzza assieme a Francesco Giuliano alla stazione di Milano, partecipò al furto della Fiat Uno e poi la imbottì di esplosivo.

“Nel merito è la prima volta che Spatuzza viene smentito”,  spiega l’avvocato Flavio Sinatra che ha difeso Tutino, in passato legato al clan dei Graviano. “In un’altra occasione, la Cassazione aveva annullato senza rinvio la condanna all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili inflitta al boss Francesco Tagliavia, accusato da Spatuzza”.

In attesa delle motivazioni, è evidente che i giudici non hanno ritenuto riscontrate, diversamente da quanto sostenuto dal pm Storari, che si è battuto con toni molto accesi con l’avvocato Sinatra, le affermazioni ribadite da Spatuzza anche in aula. Il difensore aveva sottolineato la stranezza per Cosa Nostra di affidarsi per un incarico così delicato a un uomo considerato “instabile” e “inaffidabile” dai Graviano che lo avevano cacciato da Palermo e trasferito a Milano per la sua indisciplina. “Finalmente qualcuno mi ha creduto”, ha detto Tutino, per il quale era stato chiesto l’ergastolo, al suo avvocato. L’imputato ha voluto assistere alla sentenza in videocollegamento dal carcere di Opera dove è detenuto per altre vicende, fiducioso in un verdetto a lui favorevole. (manuela d’alessandro)

Via Palestro, le scuse di Spatuzza a Milano

 

 

 

Perché Adriano Sofri non è considerato una ‘persona normale’

Colpevole o innocente che fosse, a Adriano Sofri non basta aver scontato la pena e pagato il suo conto con la giustizia per essere trattato come una persona normale. Ad altri protagonisti di quel tentativo di rivoluzione fallita è andata anche peggio, molto peggio, ma ciò non deve impedire la critica più radicale possibile contro la gazzarra reazionaria e forcaiola scatenata contro l’ex leader di Lotta Continua da uno schieramento che va da ‘Il Giornale’ al ‘Fatto Quotidiano’.

A Sofri si chiedeva semplicemente di interloquire in tema di riforma penitenziaria, lo stesso dove negli anni lui aveva dato un contributo rilevante anche a livello scientifico con varie pubblicazioni e interventi. S’è scatenato una sorta di diluvio universale e Sofri ha deciso di rinunciare a partecipare a una riunione in cui avrebbe espresso il suo pensiero.

E’ la conferma, questa storia, di un paese pieno di garantisti ma a senso unico, ognuno solo per i suoi amici. E’ la conferma, questa storia, di un problema irrisolto. Se la Germania fatica ancora a fare i conti con il nazismo e gli Usa con il Vietnam, l’Italia ha sempre un nodo irrisolto che la politica non ha voluto sciogliere avviando una riflessione seria e profonda sulle ragioni per cui tanti anni fa in migliaia presero le armi per dare l’assalto al cielo. La politica allora delegò tutto ai pm e ai giudici e poi non ha voluto più interessarsene. Per cui ogni due per tre quella storia ritorna. E puntualmente si ritirano fuori le offese alle vittime, ai loro parenti, come se fossimo in una repubblica islamica.

E dentro quella storia, che di recente Rai Uno ha usato per santificare il commissario Calabresi, ce n’è un’altra dove è inutile aspettare una risposta a una domanda, a meno di non voler credere che sia stato il freddo, era il 15 di dicembre dopotutto, a uccidere Pino Pinelli in questura. La “giustizia” ci ha detto chi uccise il commissario, ma non ci dirà mai come morì l’anarchico fermato e trattenuto illegalmente. Due pesi e due misure con cui siamo costretti a fare i conti ancora oggi. E a Sofri è impedito di dire la sua su cos’è il carcere nel 2015. Perché puntuali si scatenano gli anatemi, “terrorismo”, “anni di piombo”. Viene in mente la vignetta di Altan: “Sono finiti gli anni di piombo… tornano i vecchi familiari anni di m….” (frank cimini)

I dubbi della Procura sul marocchino arrestato e le certezze della politica

Per partecipare alla strage del museo del Bardo, Abdelmajid Touil avrebbe dovuto prendere un aereo da Milano a Tunisi con ritorno immediato in giornata, 18 marzo, perché il ragazzo, 22 anni, è in Italia dal 17 febbraio (fino a prova contraria). Era arrivato con un barcone e poi era stato destinatario da Agrigento di un decreto di espulsione. Le autorità tunisine lo accusano di essere tra l’altro un reclutatore di guerriglieri nel nome dell’islam. Dicono da Tunisi che Touil sarebbe stato tra gli organizzatori dell’attentato. Nelle settimane scorse, la Tunisia ha già arrestato più di 40 persone e non è certo nota per essere una culla del garantismo.

Gli inquirenti italiani che hanno dato esecuzione a un mandato di cattura internazionale stanno svolgendo in queste ore accertamenti sul suo effettivo ruolo nell’attentato. Politici di ogni colore, in testa il presidente del consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’interno Angelino Alfano si sono spprofondati in elogi per la brillante operazione, come si dice sempre in casi del genere. Giornali online e tg hanno fatto il resto e pure di più, sbattendo il mostro in prima pagina.

Per arrestare un altro immigrato dal nordafrica Mohamed Fikri furono dirottate due navi di cui una sbagliata. Era lui oltre ogni ragionevole dubbio l’assassino di Yara Gambirasio. E invece no, ma per arrivare all’archiviazione impiegarono due anni e l’indagine è ancora in mano alle stesse persone che adesso sempre ostentando sicurezza accusano Bossetti.

I parenti di Touil dicono che il 18 marzo il ragazzo era qui. Alla polizia italiana non risulta come frequentatore di ambienti radicalizzati e nemmeno di moschee. Gli inquirenti italiani hanno dato semplicemente attuazione a un provvedimento tunisino, come sono obbligati a fare.  “Non sappiamo che ruolo abbia avuto Touil nella strage – dice un investigatore del Ros – in questa fase il Paese che chiede l’estradizione non è tenuto a descrivere le condotte contestate. Si è limitato a comunicarci il titolo di reato: omicidio volontario e partecipazione ad attività terroristica internazionale”.

Per l’eventuale estradizione su cui deciderà la Corte d’Appello ci sono problemi perchè in Tunisia il codice prevede la pena di morte. I due paesi possono anche trovare un accordo nella non esecuzione della pena capitale in caso di condanna. Staremo a vedere. Ma l’informazione del nostro paese oggi ha scritto una delle sue pagine più nere. Non è la prima e crediamo molto verosimilmente neppure l’ultima. Insieme ai politici che a caccia di facili consensi elettorali si accodano alle autorità tunisine senza manifestare il minimo dubbio. (frank cimini e manuela d’alessandro)

Nuovo scontro, pm contro Bruti su nomine anti terrorismo

Non è finita, e che potesse davvero finire ci ha creduto solo il Csm quando ha cacciato Alfredo Robledo da Milano.

Questa volta all’ombra dei marmi del Piacentini ci si accalora sulla nomina da parte di Edmondo Bruti Liberati del pm Enrico Pavone al quarto dipartimento che si occupa di terrorismo e reati informatici. E non è così importante capire chi ha ragione e chi ha torto, ciò che conta è la sensazione di una Procura ancora livida di tensioni.

Ma veniamo alla nuova polveriera. Dopo l’addio all’esperta in eversione Grazia Pradella, migrata a Imperia, si era aperto un concorso interno per scegliere un sostituto.  In fila per conquistare un posto erano in sette ma alla fine il capo ha scelto il 18 marzo scorso Pavone. A tre degli ‘sconfitti’, Francesco Cajani, Paola Pirotta e Alessandro Gobbis, non è piaciuta la modalità con cui Bruti ha selezionato il pm, a loro dire senza motivare la scelta tant’è che nel provvedimento di nomina non risulta traccia formale della loro bocciatura. I tre hanno investito delle loro perplessità il Consiglio giudiziario che nei prossimi giorni convocheràMaurizio Romanelli, capo del pool, per ascoltare la sua versione e  dovrà anche pronunciarsi sulla possibile irregolarità della nomina di Pavone, il quale non avrebbe trascorso, come prevede il Csm, due anni in un dipartimento prima di passare a un altro.

Vi chiederete: ma perché quei tre volevano prendere il posto di Grazia Pradella quando già stanno nel quarto dipartimento? Perché ritengono di essere stati emarginati in questi mesi dalle inchieste di terrorismo e ‘costretti’ a occuparsi per lo più di reati informatici. E perché erano emarginati? Forse, azzardiamo, in quanto considerati ‘roblediani’ ? Che fosse o meno così - Bruti rivendica la correttezza della sua scelta (“Sono state rispettate le regole, le domande erano inammissibili ed era giusto assegnargli meno fascicoli di terrorismo “) –  rieccoci al punto di partenza. Il Csm, che da mesi tergiversa sull’incompatibilità ambientale di Bruti, come ha potuto credere di risolvere una frattura così profonda in Procura solo cacciando Robledo? (manuela d’alessandro)