Vittime dei reati informatici, questo spazio è per voi. Voi che vi ritenete diffamati su Facebook, truffati compiendo un acquisto online con la carta di credito, derubati della vostra identità. Ogni 15 giorni a partire da oggi, nella saletta dell’ordine degli avvocati di Milano, al primo piano del palazzo di giustizia avete a vostra disposizione dei legali esperti in diritto informatico che vi garantiscono un servizio di orientamento. “E’ uno sportello nato dalla considerazione che chi subisce un reato informatico è spesso una vittima più fragile di altri – spiega una delle promotrici dell’iniziativa, l’avvocato Silvia Belloni – non conosce bene la materia e non sa come muoversi. I legali offrono un aiuto per capire come muoversi, non un servizio di assistenza. Ma se poi la vittima volesse presentare una denuncia le verranno garantite dall’Ordine tariffe calmierate per portare avanti la causa”. Tutte le toghe dietro allo sportello, assicura Belloni, “prestano la loro attività in modo gratuito adempiendo alla funzione sociale che l’avvocato deve esercitare” e sono state formate attraverso corsi organizzati dalla Procura, in particolare dal pm Francesco Cajani, in collaborazione con l’Ordine. Lo sportello è aperto di martedì dalle 14 e 30 alle 16 e 30. (m. d’a.)
Categoria: reati informatici
Il giudice spedisce i legali in camera di consiglio per chiudere la ‘partita’ tra blogger e Canalis
“Vi chiudo dentro e butto le chiavi”. Qualche avvocato fa il muso lungo di chi proprio non desidera violare la sacralità di quella stanza di solito riservata alle elucubrazioni dei giudici prima di una decisione o di una sentenza. Ma poco ci manca che lo spiritoso giudice Stefano Corbetta, accompagni i riottosi uno per uno e per mano nella sua camera di consiglio: i legali di Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera, accusati a vario titolo di avere rubato e spiato foto di vip, e quelli delle loro presunte vittime, Elisabetta Canalis, Federica Fontana e Felice Rusconi (rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini).
Questo processo non è solo una tenzone tra i blogger più cliccati della rete e la ex di George Clooney la cui mail sarebbe stata monitorata per mesi sino al ‘furto’ delle foto del suo 32esimo compleanno a Villa Oleandra. E’ anche una sfida aspra tra alcuni dei legali milanesi più quotati nell’ambito del diritto informatico e delle diffamazioni (Caterina Malavenda, Giuseppe Vaciago, Marco Tullio Giordano, Barbara Indovina).
Così quando il magistrato con tono pacioso chiede se ci siano stati tra la prima udienza di giugno e quella di oggi “contatti tra gli avvocati” per trovare un accordo su un eventuale risarcimento a favore delle parti civili, le toghe si raggelano. “Se vi congedo ora – insiste Corbetta di fronte al silenzio che accompagna la sua domanda - so già che non parlerete tra voi. Allora andate adesso nella mia camera di consiglio e provate a vedere se ci sono margini effettivi di manovra”. Uno dei legali del fronte imputati brontola: “Se proprio dobbiamo perdere mezz’ora…”.
L’inedita camera di consiglio si svolge in un clima polare, le parti sono distanti e gli stessi avvocati della difesa non appaiono compatti sulla strategia. Alla fine i legali escono dal ‘retrobottega’ del giudice senza un’intesa ma promettono di contattare i loro assistiti per valutare se ci siano le condizioni per chiudere almeno la parte del processo che riguarda ipotesi di reato nate da querela. Il giudice ci riprova : “Qualora fosse trovato un accordo, è chiaro che nel caso di un’eventuale condanna terremo conto del comportamento processuale”. Altrimenti, alla guerra. Nella sua lista dei testimoni la parte civile ha messo anche il direttore di ‘Chi’ Alfonso Signorini al quale Lucarelli propose (se a pagamento o no, lo stabilirà il giudice) le fotografie di Villa Oleandra, così appetitose perché per la prima volta gli interni di casa Clooney sarebbero apparsi al mondo. (manuela d’alessandro)
Quando Hacking Team, Ros e Aruba dirottarono il traffico del web
Hacking Team e il Ros dei carabinieri con l’appoggio di Aruba hanno dirottato o interrotto il servizio web ai danni di migliaia di ignari navigatori per inseguire le tracce di sospetti criminali. Tutto senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria.
L’episodio, raccontato per primo da un giovane ingegnere italiano su http://blog.bofh.it/id_456 ed emerso dai file pubblicati da wikileaks, dimostra che l’attività ‘borderline’ dei trojan di Stato può danneggiare non solo obbiettivi sensibili ma anche chi finisce per caso sulla loro strada.
Due anni fa il Ros si trova nel panico perché un server utilizzato in Romania per carpire informazioni su alcuni indagati viene chiuso per motivi tecnici e non è più possibile raccogliere i dati dei sospettati. Per recuperare il controllo remoto dei dispositivi intercettati, i reparti speciali dei carabinieri e HT chiedono al provider Aruba di dirottare verso i propri server il traffico diretto all’ex provider romeno. Aruba non può spostare solo un sito ma deve dirottare l’intera classe di indirizzi IP.
Risultato: improvvisi blocchi della navigazione con siti che non appaiono più raggiungibili o, peggio ancora, utenti che finiscono su siti ‘esca’ col rischio di beccarsi un’infezione dai trojan di Stato al posto del vero obbiettivo.
E’ legale? In questo momento supponiamo di sì, fino a legge o pronuncia contraria di un giudice, ma saremmo più tranquilli se su questi temi ci si confrontasse in modo solare e se certe azioni ‘spericolate’ avvenissero col controllo di un magistrato. (manuela d’alessandro)
le email del dirottamento: 1 2 3 4 5 6 7 8 9
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Colpo ai blog, la Cassazione rivoluziona l’informazione online ma solo per le testate giornalistiche
Le sezioni unite penali della Cassazione hanno stabilito qualche giorno fa che le garanzie previste dalla Costituzione a tutela della stampa si applichino anche all’informazione attuata in modo professionale e diffusa in rete.
Una simile pronuncia è rivoluzionaria sia per il tenore della decisione, sia per alcuni passaggi della motivazione. Ma mentre l’esito ci pare condivisibile, sul ragionamento che ha condotto a tale risultato nutriamo più di una perplessità. La Corte prende le mosse da un’esigenza comunemente sentita. La diversità di disciplina tra la carta stampata e online può urtare contro un certo qual senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, medesime regole.
Per giungere a questo risultato, però, le sezioni unite forniscono quella che ritengono essere un’interpretazione evolutiva del concetto di stampa, contenuto nell’articolo 21 della costituzione e nella stessa legge sulla stampa del 1948 , a cui non si riesce ad aderire. Secondo la Corte, tale nozione va intesa in senso ‘figurato’ e in quest’ottica corrisponderebbe esclusivamente alla stampa periodica, ovvero all’informazione giornalistica professionale, qualunque sia il mezzo con cui viene diffusa.
Una simile presa di posizione, quasi del tutto inedita nel panorama dell’ordinamento, travolge l’interpretazione tradizionale, che riconduceva alla stampa, seguendo la lettera della definizione normativa, solo le riproduzioni effettuate con mezzi meccanici e fisico chimici destinate alla pubblicazione, senza distinzione di contenuto. A tale definizione appartenevano certamente i giornali, ma anche i volantini, i libri, i manifesti,qualunque fosse l’argomento in essi trattato, mentre ne era escluso qualunque messaggio diffuso in via telematica poiché era assente, se non altro, la moltiplicazione delle copie.
L’indirizzo scelto dalla recente sentenza, discutibile di per sé, suggerisce ancora maggiore scetticismo se si considerano i corollari che la Corte esplicitamente ne trae. Sono conseguenze che vanno ben al di là della questione di diritto sottoposta dalla sezione remittente. In sintesi si tratta di questo: tutte le disposizioni previste dall’ordinamento per la stampa, e in particolare per quella periodica, trovano già oggi applicazione alle manifestazioni del pensiero diffuse in rete, a patto che queste ultime abbiano appunto natura giornalistica. Così il collegio sottolinea nella motivazione come sussista fin d’ora un obbligo di registrazione per le testate telematiche presso la cancelleria del Tribunale, con la relativa commissione del reato di stampa clandestina per chi non adempie a tale obbligo. Ancora: i giornali online dovrebbero dotarsi di un direttore , a cui sarebbe praticabile l’articolo 57 del codice penale, con la relativa responsabilità colposa per omesso controllo nel caso di reato commesso dal periodico da lui diretto . La giurisprudenza delle sezioni semplici, finora, aveva escluso simili ipotesi poiché, come acennato, la definizione di stampa non comprendeva la rete, circostanza che escludeva l’applicabilità a quest’ultima delle disposizioni incriminatrici previste per la stampa, in base al divieto di analogia in malam partem.
Non nascondiamo un certo scoramento dopo la lettura delle motivazioni e ci permettiamo di sperare che di questo arresto, proveniente da un organo così autorevole, resti nei repertori il dispositivo più che l’apparato di argomento che lo sostiene. (Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani da ‘Il sole 24 ore’ del 22 luglio 2015)
Hacking Team diventa un caso nel senato Usa e l’Fbi la scarica
L’attacco informatico ad Hacking Team (HT) con la rivelazione su wikileaks degli affari tra la società milanese e regimi totalitari come il Sudan diventa un caso nel parlamento americano.
Il senatore repubblicano dello Iowa, Charles E. Grassley, presidente della commissione giustizia, ha presentato un’interrogazione nella quale chiede conto dei rapporti tra Fbi e Dea con l’azienda italiana, in particolare vuole sapere se le relazioni tra le due agenzie governative e HT siano avvenute in violazione della legge che proibisce di stringere affari di qualsiasi natura con il regime totalitario africano (Sudan Accountability and Divestment Act del 2007).
Dall’interrogazione (qui il testo) rivolta al direttore dell’Fbi, al segretario generale della Difesa e al capo della Dea, scopriamo anche che le due roccaforti della sicurezza hanno ‘scaricato’ Hacking Team in anticipo sulla data di scadenza dei rispettivi contratti, ma, insinua Grassley, troppo tardi, quando già la collaborazione sarebbe stata proibita.
“Le forze militari – fissa il principio – devono avere gli strumenti tecnologici per investigare su criminali e terroristi per la sicurezza pubblica, ma è importante che li acquistino da fonti responsabili, etiche e che agiscano secondo la legge”. Per il senatore i documenti resi pubblici dalla tremenda incursione negli archivi di HT svelano che nel giugno 2014 le Nazioni Unite avevano sollecitato chiarimenti alla società sui rapporti col Sudan, ricevendone una risposta solo a gennaio 2015 quando HT si limitò a negare di avere relazioni in quel momento col Sudan, senza fare cenno al passato.
“Fbi, Dea e DoD (Department of Defense) – insiste l’anziano senatore dello Iowa – avevano fatto mettere nel contratto con HT una clausola che certificasse che non aveva condotto operazioni in Sudan? E se no, perché? HT aveva garantito falsamente che non aveva rapporti col Sudan e per questo, dopo averlo scoperto, Dea ha interrotto il contratto?”.
Questo accade nel Campidoglio americano, mentre da noi Regione Lombardia continua a detenere senza battere ciglio il 26,03 per cento del capitale sociale di HT. Dalla Corea del Sud, intanto, arriva la notizia, battuta da Associated Press e ripresa dal New York Times (Spia corea), che dietro l’apparente suicidio di uno 007 di Seul ci sarebbe l’ombra della vicenda Hacking Team. (manuela d’alessandro)
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