giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Gatti e mobili in vendita:
la nuova vita delle bacheche sindacali con la crisi

Meglio occuparsi del tempo libero che del lavoro, in tempi grami per il lavoro. Il glorioso Statuto dei Lavoratori del 1970 all’articolo 25 offrì ai lavoratori la possibilità di affiggere “pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e di lavoro”. Dello spirito di quel testo che esaltò la dignità di chi lavora è rimasto ben poco. Oggi dagli spazi sindacali, non solo da quelli nella foto, ma anche da altri presenti in Tribunale, spuntano gattini smarriti tra i meandri del Palazzo o in vendita al miglior offerente, mobili in offerta e biglietti per concerti a buon prezzo. Il gatto nobilita l’uomo? (m. d’a.)

Inchiesta, milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara. Perché?

Alcuni milioni di fondi governativi sono stati destinati al Tribunale di Milano nel nome di Expo col meccanismo degli appalti diretti, lo stesso che viene indicato nelle inchieste della Procura di Milano sull’Esposizione Universale come la possibile anticamera delle tangenti. Progetti per consegnare al mondo un’immagine efficiente della giustizia ambrosiana messi nelle mani di imprese senza gara, né italiana, né europea, sebbene la legge preveda l’affidamento diretto come un’ipotesi residuale quando in ballo ci sono appalti ghiotti.

E’ una storia lunga quella che vi stiamo per raccontare, iniziata molti mesi fa da un passaparola nei corridoi del Palazzo. “C’è qualcosa che non quadra sui fondi Expo”. Abbiamo bussato alle porte di alcuni uffici giudiziari e a quelle del Comune per capire come siano stati spesi i 12, 5 milioni di euro destinati a rendere scintillante il Tribunale. La gestione del denaro è avvenuta su un doppio fronte, politico e giudiziario: da un lato la magistratura milanese e il Ministero della Giustizia, dall’altro Palazzo Marino. Non è stato facile capirci qualcosa. La richiesta di esaminare le carte degli appalti formulata al Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio è stata ritenuta “irricevibile” con l’invito di rivolgersi al Comune. In Comune, il funzionario che si occupa degli appalti degli uffici giudiziari, Carmelo Maugeri, ci ha rimandati all’assessore ai Lavori Pubblici Carmela Rozza. Quest’ultima, con molto garbo e appellandosi alla “trasparenza” dell’amministrazione di fronte alle ritrosie di Maugeri,  ha consentito l’accesso, con divieto di farne copia, a un file stracolmo di documenti, delibere, determinazioni.  Un mare di burocrazia. Continua a leggere

Escluso dagli interrogatori, esposto bis di Robledo al Csm contro Bruti

Pensavate che fossimo ai titoli di coda? E invece no. Arrivano le puntate estive del sequel Bruti vs Robledo. Il procuratore aggiunto ha presentato un nuovo esposto al Csm in cui contesta al suo capo Edmondo Bruti Liberati di non averlo fatto partecipare agli interrogatori nelle indagini su Expo. Abusando del  ruolo di coordinatore dell”Area Omogenea Expo’, questa la tesi di Robledo, il leader della Procura di Milano gli ha proibito di essere presente ai confronti con Angelo Paris e Antonio Rognoni.

I due, rispettivamente ex manager di Expo2015 spa ed ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, entrambi arrestati con l’accusa di avere pilotato delle gare, sono stati sentiti la settimana passata  nell’ambito degli approfondimenti sull’appalto della ‘piastra’, il più prelibato tra quelli appetiti dalle imprese in vista dell’evento. Presenti i pm Paolo Filippini, Giovanni Polizzi e Roberto Pellicano, ma non Robledo, che presiede il dipartimento di cui i tre fanno parte, quello dei reati contro la pubblica amministrazione.

Lo scopo delle disposizioni contenute in una mail inviata da Bruti a Robledo il 18 giugno in relazione al procedimento sulla ‘Piastra’ di cui Robledo è coassegnatario è, scrive il pm nell’esposto, “chiaro ed evidente”: non quello di delegare gli atti ai tre sostituti, ma quello di escludere me”. “Non c’è invero – affonda Robledo – nessuna ragione per cui io non possa partecipare a quegli atti, rispetto ai quali sono, anzi, in grado di garantire l’essenziale patrimonio conoscitivo che consente la migliore comprensione della vicenda processuale, essendo stato titolare fin dalla sua origine”. “Tanto premesso – argomenta il pm rivolgendosi a Bruti “con la consuete franchezza” – aggiungo che la tua indicazione con riferimento ad interrogatori da compiere, per la quale ‘l’atto di indagine sarà effettuato solo dai tre sostituti assegnatari” è viziata da una palese illegittimità”. Questa volta la decisione del Csm, stando a fonti ben informate, dovrebbe arrivare abbastanza velocemente perché sul tavolo c’è solo un’accusa e ben precisa. (manuela d’alessandro)

La fattura elettronica? Era meglio la coda in Posta. Parola di avvocato.

Dal 6 giugno scorso se un soggetto vuole emettere una fattura nei confronti di una Pubblica Amministrazione deve farlo necessariamente per via elettronica. I problemi iniziano subito, perché bisogna preliminarmente accreditarsi presso l’Agenzia delle Entrate. Come? Effettuando una pre-iscrizione nel sito e, dopo aver ricevuto dei codici, compilando un modulo di richiesta in cui devono essere indicati diversi dati (tipo di attività svolta, albo di iscrizione, PEC, ecc…) e fino a qui è abbastanza semplice il tutto. Il problema sorge nell’invio della suddetta richiesta con relativo allegato, perché la stessa deve essere firmata digitalmente tramite chiavetta.
Perché è un problema questo? Perché la fatturazione elettronica interesserà prevalentemente gli Avvocati penalisti che nella maggior parte dei casi non dispongono della chiavetta utilizzata dai Colleghi civilisti per il processo telematico. In questo caso si apre un’altra epopea che, per mia fortuna, ho già superato.
Una volta apposta la firma digitale sulla richiesta, la stessa va inviata all’indirizzo PEC. Si attende fiduciosi circa una settimana sino a quando l’Agenzia delle Entrate invierà una e-mail alla casella di posta elettronica certificata comunicando altri codici che devono essere inseriti nel sito per autenticarsi.
Alle parole “l’autenticazione è avvenuta con successo” comparse sul pc sono stata pervasa da una serenità che non mi coglieva da anni.
Invito però i Colleghi a non pensare a questo punto (come ho fatto io) “è andata”, perché a quel punto con tutti gli User, password e PIN si può solo accedere al sito www.fatturapa.gov.it e tramite il servizio “simulazione” si può compilare finalmente l’agognata fattura elettronica.
Peccato che per compilare una fattura elettronica si debbano riempire una serie infinta di campi (giusto per capire di che cosa si sta parlando guardate qua: http://www.fatturapa.gov.it/export/fatturazione/sdi/fatturapa/v1.0/Formato_FatturaPA_tabellare_1.0.pdf).
Io a questo punto mi sono fermata, perché prima di inviare la mia prima fattura elettronica devo studiarmi i due manuali di 120 pagine complessive per capire cosa si intenda ad esempio per “progressivo invio” o “formato trasmissione”. In questi momenti rimpiango solo le lunghe code alla Posta del Tribunale per ritirare in contanti gli onorari della difesa di un soggetto irreperibile. Bei momenti….(avvocato Paola Bellani)

E adesso la Lega chieda scusa a Rosi Mauro,
espulsa dal partito e oggi archiviata dai pm

E adesso la Lega chieda scusa a Rosi Mauro, l’unica espulsa dal partito insieme all’ex tesoriere Francesco Belsito con voto unanime del consiglio federale nel 2012 e per la quale oggi la Procura chiede l’archiviazione dall’accusa di appropriazione indebita nell’ambito dell’inchiesta ‘The Family’.

Schiacciata dal sospetto di avere pagato coi soldi dei rimborsi elettorali anche una laurea per il suo bodyguard Pierangelo Moscagiuro, l’allora vicepresidente del Senato aveva scelto di non dimettersi dalla sua carica con vivo disappunto del Carroccio. “Il rancore prevale sulla verità”, sentenziò l’energica rappresentante dei lumbard a proposito dell’epurazione invece risparmiata a Umberto Bossi e suoi figlioli, Renzo e Riccardo, anche se al ‘Trota’ va dato atto di essersi dimesso dal Consiglio Regionale. Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini hanno chiesto il processo per tutti i Bossi’s e per altre sei persone, tra cui Belsito, l’uomo che maneggiava con leggerezza i denari del partito. Rosi Mauro si è salvata ‘da sola’ presentando ai pm, subito dopo l’avviso di chiusura delle indagini nel novembre scorso, documenti e spiegazioni relativi a quei 99mila e 731 euro che, secondo l’accusa originaria, avrebbe ‘rubato’ dalle casse di via Bellerio. Ha portato le carte che dimostrano che 16mila euro li incassò dalla Lega alla quale aveva venduto una vecchia auto che non le serviva più; che l’assegno da 6600 euro sulla cui matrice Belsito aveva scritto ‘Rosi’sarebbe stato un escamotage del tesoriere per “ritirare denaro contante attribuendolo ad altri”; e, infine, che non investì (?) 77mila euro per comprare una laurea albanese a Moscagiuro, il quale, peraltro, non era neppure diplomato e neanche era il suo fidanzato, come si vociferava (o, almeno, entrambi smentiscono). Tesi, scrivono i magistrati, “accoglibili e comunque tali da rendere assai dubbia la solidità della prospettazione accusatoria”. E adesso Rosi, nel frattempo scomparsa dai radar della politica, meriterebbe una spiegazione dal partito sul perché per lei non valeva il garantismo concesso ad altri. (manuela d’alessandro)