giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Bruti ai 46 pm in assemblea: ‘Mai indagine insabbiata o rallentata’.

“Mai un’indagine è stata insabbiata e nemmeno rallentata. Non ci sono stati ostacoli. I giornali hanno strumentalizzato scrivendo di procura lacerata, io non sono mai intervenuto sui media, non ho replicato e quindi ho una conoscenza parziale dei fatti”. Così ha parlato il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati davanti a 46 pm da lui convocati in assemblea per ritrovare la compattezza dell’ufficio inquirente, la cui immagine è stata scalfita dalla querelle tra lo stesso Bruti e uno dei suoi vice Alfredo Robledo, che ora dovrà essere definita dal Csm.

Per 40 minuti nel corso dell’assemblea si è parlato di “Giada” il programma per fissare le udienze finanziato con soldi Expo e che ha creato fin qui più problemi di quanti non ne abbia risolti. E pure su questo punto Bruti ha trovato il modo di prendersela con i giornali e con le rappresentazioni che ne hanno dato. Un’assemblea un po’ surreale, in un clima difficile dove a un certo punto un pm si è sentito iun dovere di non essere stato lui a fornire le mail per un articolo su “Giada”.

Nessuno ha fatto cenno invece ai fondi Expo della giustizia assegnati senza gare proprio nel palazzo in cui si prendono provvedimenti restrittivi della libertà in materia di turbativa d’asta. E su “nessun rallentamento di indagini o insabbiamento” non è stata pronunciata da alcuno la parola Sea, il nome del fascicolo “scomparso” per 6 mesi, da ottobre 2011 a marzo 2012, affidato da Bruti a Robledo quando la gara d’asta era già stata fatta, e che poi ha visto il proscioglimento di Vito Gamberale e degli altri imputati. Hanno preso la parola per fare rilievi critici Luca Poniz, Luca Gaglio e Paola Pirotta (solo quest’ultima viene considerata ‘roblediana’), i quali hanno sottolineato come ad alcuni pm vengano messi a disposizione più mezzi (polizia giudiziaria e carichi di lavoro meno pesanti) rispetto ad altri.  Alla fine è arrivato un timido applauso attribuito da chi c’era ai ‘fedelissimi’ del capo.

Per Bruti “l’assemblea è andata bene, le assenze sono dovute a impegni di udienze o comunque di lavoro”. Il capo ha preanniunciato altre riunioni e l’aggiunto Francesco Greco ha proposto di fare unba nuova assemblea “anche prima di Natale”.

Prima dell’inizio della riunione,  Bruti, di cui è nota la proverbiale gentilezza coi giornalisti (anche con chi lo critica), è apparso insolitamente nervoso. “Se il procuratore Robledo vuole fare le conferenze stampa, le faccia”, si è rivolto con stizza ai giornalisti che facevano la ‘conta di presenti e assenti’ davanti alla sua stanza ed erano appena usciti dall’ufficio del ‘rivale’. “Non state qui ad origliare, spostatevi, faremo un verbale che poi resterà a noi e ci faremo una ragione di chi viene e di chi non viene”. Poi è tornato al consueto aplomb e, stando a quanto riferito da chi era presente, ha fatto anche cenno ai problemi più importanti della vita di fronte ai quali anche la sua lite con Robledo viene sminuita.  (frank cimini e manuela d’alessandro)

A leggere Beccaria avvocati, giornalisti e un solo giudice, Roberta Cossia

Si legge Beccaria nell’atrio del palazzo di giustizia per iniziativa della commissione carceri del Comune di Milano e della camera Penale. Ognuno legge un paio di passi. In piedi, al microfono, l’eco non è delle migliori (eufemismo) ma questo si sapeva e si sa.

Si alternano avvocati e giornalisti. E un solo giudice, Roberta Cossia, ex gip che lavora da anni al Tribunale di Sorveglianza. Si tratta di uno dei pochi magistrati che Beccaria lo ha letto bene, lo conosce, lo ha capito. Insomma se ne intende e non avrebbe bisogno di rileggerlo. E invece è qui. Altri no. Molti sono impegnati a studiare come arrestarsi tra loro. Vent’anni fa dovevano e volevano cambiare il mondo, ora si guardano in cagnesco facendosi le pulci, combattendosi nel nome delle correnti. Scimmiottano i partiti e hanno pure il coraggio di gridare indignati che sono indipendenti e autonomi. Da chi? Leggessero Beccaria. (frank cimini)

Alla riunione convocata da Bruti
molti pm avranno altro da fare

Rischia di trasformarsi in un autogol la riunione convocata per giovedì prossimo dal procuratore capo Bruti Liberati con tutti i colleghi magistrati del quarto piano. Dove si farà? Nella sua anticamera. Ma non è un posto un tantino piccolo per più di 80 pm? “E chi ha detto che ci andranno tutti?”, risponde un magistrato ancora incerto sul da farsi: “Di certo non ci andranno alcuni ‘anziani’”. Nome ovvio, e di peso, tra gli assenti, è quello di Ferdinando Pomarici il quale, stando ai bookmakers di Freguglia Street, non si presenterà all’appuntamento. Ma come lui sono parecchi i pm che potrebbero essere impegnati in altre faccende. In tal caso allora la grande stanza con il tavolo a ferro di cavallo in cui il Procuratore organizza le conferenze stampa potrebbe bastare e avanzare. “C’è il rischio che si parlino con il megafono per sentirsi”, scherza il magistrato di cui sopra, implicitamente sbilanciandosi sulle proprie intenzioni.

C’è anche chi, invece, da altri e più alti uffici, medita una discesa al quarto piano, a sostegno emotivo di chi tra i pm vorrà esserci, per sorreggere idealmente i colleghi che vorranno sollevare qualche obiezione sulla gestione dell’ufficio fin qui condotta dal Procuratore della repubblica. C’è chi immagina colpi di scena, come l’annuncio di dimissioni anticipate da parte di Bruti Liberati per evitare una possibile valutazione negativa da parte del consiglio giudiziario sulla sua conferma a capo dell’ufficio. E chi invece ritiene che giovedì non avverrà nulla di particolarmente eclatante, al di là di una riunione condita da un certo imbarazzo viste le divisioni in atto e l’altrettanto forte speranza – fin qui tradita – di superare il momento di difficoltà. Quasi tutti danno per scontata l’assenza del rivale di Bruti, Alfredo Robledo, ‘esiliato’ al dipartimento esecuzione penale, il quale potrebbe magari motivare la propria defezione con una spiegazione scritta.

Tremonti indagato, al Tribunale dei Ministri la procedura è incerta

Non si sa nemmeno, stando alla procedura, se Giulio Tremonti, indagato per corruzione, abbia diritto o meno a leggere gli atti che lo accusano prima dell’eventuale interrogatorio davanti al Tribunale dei Ministri, dove intanto è stata depositata la nomina del suo difensore, il professor PierMaria Corso.

Il legale, stamattina, ha incontrato il pm Roberto Pellicano che due settimane fa, insieme al collega Giovani Polizzi, decise l’iscrizione di Tremonti nel registro degli indagati per una presunta tangente da 2,4 milioni ricevuta da Finmeccanica attraverso una consulenza fiscale inesistente affidata allo studio da lui fondato e dov’è tornato dopo l’esperienza ministeriale.

E anche per un professore come Corso è difficile districarsi tra le norme del Tribunale dei Ministri che risalgono al 1989, prima della riforma del processo penale. Non è dato sapere se il Tribunale dei Ministri debba o meno varare un provvedimento di chiusura delle indagini con conseguente messa a disposizione degli atti affinché l’indagato possa consultarli e difendersi. E’ ragionevole ipotizzare che nel caso il Tribunale Ministeriale decida la convocazione di Tremonti debba dargli la possibilità di leggere le carte. E’ certo invece che in caso di rinvio a giudizio il processo verrà celebrato alla Camera dei Deputati e la Procura che ha avviato l’indagine verrà sentita al fine di acquisire il suo parere. (frank cimini e manuela d’alessandro)

Guido Salvini, “Tranfa ha inquinato il processo, dove sono Csm e Anm?”

E’ stata sempre un’abitudine, quasi un automatismo, una comoda scorciatoia linguistica per i capi dell’Anm, alcuni dei quali assurti al Csm, evocare la “delegittimazione” della magistratura dinanzi a qualsiasi critica nei confronti della categoria, anche una semplice inezia, anche non infondata, anche del tutto disinteressata.

Ora tanto l’Anm quanto il Csm tacciono imbarazzati davanti al gesto del Presidente del processo Ruby, tra l’altro esponente non di secondo piano dell’associazionismo a Milano, che si è dimesso, quasi sbattendo la porta, scrivono i cronisti, subito dopo il deposito delle motivazioni della sentenza. A quanto sembra, anche se la vicenda è avvolta in parte nell’ambiguità, la sua sarebbe una protesta contro l’assoluzione di Berlusconi dopo essere stato messo in minoranza dagli altri due giudici. Non è solo un episodio di scarso buon gusto. Il Presidente avrebbe potuto, come qualsiasi altro giudice e come consente la legge, motivare il suo dissenso e lasciarlo scritto in una busta chiusa depositata a futura memoria in cancelleria, senza violare il segreto del voto in camera di consiglio e senza mostrare poco rispetto nei confronti dei due colleghi. E nulla gli impediva, se proprio lo desiderava, di spiegare il suo punto di vista, magari tra qualche anno, in un libro quando anche il processo Ruby, come ogni cosa, sarà diventato storia. Continua a leggere