giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Burocrazia giudiziaria: “Caro avvocato, qual è il rapporto di parentela tra moglie e marito?”

“Caro Dipartimento di amministrazione penitenziaria, mi darebbe informazioni sul marito della mia assistita, per il procedimento di divorzio? Lo chiede il giudice”.
“Caro avvocato, qual è il grado di parentela tra la sua assistita e il marito?”
“Caro Dap, credevo fosse sufficiente scrivere che si tratta del marito della mia assistita per spiegare che è il marito della mia assistita”.
“Caro avvocato, ecco le sue informazioni”.
E’ successo davvero, anche se in termini un pochino più formali. Equivoci. Del resto è anche attraverso equivoci, perdite di tempo, burocrazia, che si snoda il rapporto tra professionisti e personale della pubblica amministrazione. L’avvocato Massimo Schirò chiede di sapere se il marito della sua cliente, romeno, 38 anni, sia in carcere. Non lo si trova da nessuna parte. Non in Romania, dove è formalmente residente, non in Italia, nonostante proprio a Milano si sia sposato, senza però mai prendervi residenza o anche solo domicilio.

Quel che si sa, dalle autorità romene, è che nel 2006 è sparito dal suo Paese. Ma bisognerà pur notificargli l’atto del ricorso di divorzio. Il giudice suggerisce al legale di provare con il Dap. Ecco che parte la prima Pec (Posta Elettronica Certificata) con cui il legale chiede informazioni, allegando l’atto di nomina. Il dipartimento risponde a stretto giro: 24 ore dopo. Ma pretende che la domanda venga riformulata: “Preso atto della richiesta acclusa alla presente, considerato che non è stata allegata la prevista istanza formale su carta intestata dello studio e debitamente firmata, si restituisce al mittente per i conseguenti adempimenti. Ciò a significare che le istanze dovranno pervenire a questo ufficio complete  di richiesta di accesso agli atti e in allegato, la prevista documentazione a supporto (anche se precedentemente da Lei già inviata)”. Simpatia. Ma si sa, la forma è sostanza.
E’ giovedì, il legale si adegua ci riprova nel giro di due ore, con tutti i documenti richiesti. Il Dap risponde il lunedì successivo: “Serve un documento dalla quale si evince il grado di parentela tra il suo assistito e la persona per la quale chiede informazioni. Distinti saluti”. Il professionista che non si perde d’animo, è quello che davanti al funzionario che sbaglia mantiene la calma, usa la pazienza come principio guida del suo agire. “Avendo allegato un ricorso per scioglimento del matrimonio mi sembrava evidente che il rapporto tra il signor XY e la signora ZX fosse il coniugio……”. Così, con sei puntini.
Dieci minuti arriva la maledetta informazione. Il marito, quasi ex, non è nelle patrie galere.

Palazzo Marino, il falso ideologico e la Repubblica penale

Questa è una piccola storia che dimostra la facilità con cui in Italia si finisce sotto processo penale per poi essere assolti con spreco di denaro sia da parte dello Stato sia da parte del cittadino chiamato a difendersi.

Scriviamo e parliamo dell’accusa di falso ideologico contestato a un architetto che aveva per un restauro in centro presentato una Dia (denuncia di inizio attività), poi si era informato presso l’ufficio piccole opere del Comune di  Milano sull’esito della pratica, ritirando l’incartamento prima dei 30 giorni e ripresentando il tutto come una richiesta di concessione.

Il funzionario del comune riteneva che il falso si fosse consumato comunque segnalando la notizia di reato alla procura. Il dirigente dello sportello unico emetteva un provvedimento di diffida a sospendere le opere, “ovviamente mai iniziate”, precisa l’avvocato difensore Giulia Gavagnin. Il 6 ottobre scorso c’è stata l’assoluzione “per insussistenza del fatto”. In aula uno dei funzionari di Palazzo Marino affermava che sarebbe stato scorretto informarsi sull’esito della presentazione di una pratica e che sarebbe stato parimenti scorretto ripresentare una diversa Dia anche se la precedente era stata ritirata. Continua a leggere

La prescrizione salva una mamma russa dalle disumane carceri di Mosca

Chi è Ekateryna Tyurina? Una truffatrice che ha falsificato le carte per una proprietà che vale 30 milioni di euro nel cuore di Mosca oppure una giovane madre perseguitata dallo Stato russo, bramoso di mettere le mani sul suo ‘tesoro’? Nel dubbio, la Cassazione blocca il via libera all’estradizione n Russia concesso dalla Corte d’Appello di Trieste lo scorso 11 novembre. E lo fa usando lo ‘scudo’ della prescrizione che consentirà alla donna di restare in Italia.

Tyurina, 38 anni, era stata arrestata dall’Interpol ad agosto mentre era n vacanza a Lignano Sabbiadoro coi tre figli; a dicembre anche suo marito era stato fermato a Praga. L’accusa per lei è quella di avere truffato i soci di minoranza in relazione alla proprietà sulla quale sorge un centro commerciale nel centro storico della capitale.  In realtà, secondo l’avvocato Pasquale Pantano, la donna ha già vinto tutte le cause civili intentate dai soci di minoranza  e l’inchiesta penale sarebbe solo una “manovra” per sottrarle i suoi beni. Il marito invece è finito in carcere per essere il presunto mandante dell’omicidio di un avvocato moscovita, avvenuto 20 anni fa, solo sulla base delle dichiarazioni di una signora che, guarda caso, è una delle socie di minoranza della proprietà contesa. Nel ricorso alla Cassazione, oltre a sottolineare il pericolo che Tyurina potesse essere sottoposta a “trattamenti disumani” nelle carcere patrie, Pantano aveva contestato  ai giudici triestini di non avere calcolato che il reato a lei contestato è prescritto per la legge italiana. Gli ‘ermellini’ hanno ritenuto sbagliati i calcoli fatti dai magistrati di Trieste, annullato senza rinvio la loro sentenza e revocato l’ordinanza di custodia cautelare.  Ekateryina, la cui storia è stata accostata al suo legale a quella della Shalabayeva (“c’è sempre un marito ricco, al di là delle ragioni politiche”),  deve ringraziare la vituperata prescrizione italiana che, sulla base dei rapporti di estradizione tra Russia e Italia, si è rivelata decisiva. Evitandole forse i pestaggi e le violenze subiti dai suoi avvocati russi durante le agghiaccianti perquisizioni notturne a cui li ha sottoposti la polizia moscovita. (manuela d’alessandro)

Domanda semplice e non innocente: il Csm su Bruti deciderà mai?

La domandina è semplice e vorrebbe tanto essere innocente ma non si può. Il Csm, sia pure in via cautelare ha deciso su Robledo trasferendolo a Torino, accelerando improvvisamente dopo aver tergiversato per 10 mesi sull’intera querelle con il suo capo Bruti Liberati facendo emergere sms, magari inopportuni e poco eleganti con l’avvocato leghista, che erano a disposizione da un anno e mezzo. Ma su Bruti Liberati che per “colpevole dimenticanza” (parole sue) lasciò nel cassetto il fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra (ottobre 2011) l’organo di “autogoverno” dei magistrati quando pensa di decidere?

Il Pg della Cassazione Ciani, ora in pensione, dopo aver proposto il trasferimento di Robledo poi ottenuto, aveva emesso un comunicato ufficiale per dire: “Per il resto l’istruttoria prosegue….”. Il resto dov’è? E’ andato in pensione con Ciani?

Non si conoscono i tempi del procedimento disciplinare su Bruti che tra pochi mesi (31 dicembre) andrà in pensione. E nemmeno quelli del procedimento di merito relativo a Robledo. E’, nel caso dell’ormai ex procuratore aggiunto, come mettere in galera un indagato e non fissare la data del processo. Il Csm aspetta che le sezioni civili della Cassazione decidano, è questione di mesi, sul ricorso contro il trasferimento?

E per quanto riguarda Bruti si aspetta cosa? Che arrivi il momento della pensione? O un fascicolo nel cassetto per sei mesi (ottobre 2011 marzo 2012) è ritenuto da lor signori giudici dei giudici meno grave delle informazioni che l’avvocato Aiello afferma di aver appreso dai giornalisti e su Internet? Quindi bisogna pensare che l’intero affaire non è da ascrivere solo a due pesi due misure ma perfino a una tempistica diversa che rischia fortemente di sfociare nel mai?

Insomma, il Csm non vuole fare chiarezza su una vicenda che, per chi vuol capire, ha danneggiato l’immagine, e non solo quella, della magistratura, in misura di molto superiore all’attività dell’imputato più eccellente di tutti. Bruti si sa ha un potere che val molto al di là della sua persona e della sua corrente (Md), il capo dello Stato uscente Napolitano fece fuoco e fiamme per proteggerlo. Era stato designato a capo della procura di Milano quasi all’unanimità e ovvio su input di re Giorgio. Da politico consumato ha garantito un po’ tutte le parti. Adesso ha pure deciso di tenere per sé l’interim del dipartimento anticorruzione, fatto anomalo in una grande, nel senso di grossa, procura. I boatos riferiscono che le inchieste su Expo riprenderanno dopo il 31 ottobre. A palazzo dei Marescialli, cacciato chi aveva gridato che il re è nudo, tutto va bene. Piccolo particolare: Il re di vestiti addosso non ne aveva. Nel frattempo la menano un giorno sì e l’altro pure che sono indipendenti. Persino quando dicono loro che dovrebbero essere in ufficio il primo settembre e non a metà mese, come tutti i comuni mortali. Gridano anche che hanno la produttività più alta d’Europa. Il Csm vada a verificare quanti magistrati, non solo a Milano, stanno in ufficio di pomeriggio. Con calma, anche dopo il 31 dicembre. Non c’è fretta (frank cimini)

Procuratore smentisce il Corriere…. come l’uomo che morde il cane

Non era mai accaduto. E’ successo oggi. Il procuratore della Repubblica di Milano ha smentito il Corriere della Sera in relazione a un accordo raggiunto dal colosso Google con agenzia delle entrate, gdf e pm attraverso il pagamento di 320 milioni di euro per risolvere un contenzioso fiscale.

Edmondo Bruti Liberati, senza nemmeno citare il quotidiano o generiche notizie di stampa, ha emesso un comunicato ufficiale in cui afferma: “E’ stato intrapreso il contraddittorio con rappresentanti del gruppo Google…. allo stato non sono state raggiunte intese con la società che si è riservata di fornire dati che consentano di quantificare la redditività in Italia”.

Cioè, dice Bruti, l’accordo non è stato perfezionato. Su Corriere.it Luigi Ferrarella, l’autore dell’articolo, precisa che l’accordo raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in procura prevede che la settimana prossima la compagnia americana presenti l’istanza di adesioneall’agenzia delle Entrate sulla base della fotografia scattata dal processo di constatazione della gdf.

Anche Google aveva smentito, ma che lo faccia la compagnia interessata al contenzioso fa parte del gioco, è quasi scontato. Che il procuratore di Milano prenda, si diceva una volta carta e penna ora sostituite dal computer, per controbattere quella che al massimo appare come una inesattezza sui tempi della formalizzazione nero su bianco di un accordo già intervenuto è sicuramente singolare.

Il capo della procura di Milano che smentisce o meglio cerca di smentire il Corriere è un po’ come l’uomo che morde il cane. Insomma è una notizia, che va al di là di un pur importante contenzioso fiscale. Anche il circuito mediatico giudiziario di cui parlano spesso i critici, in realtà non moltissimi, della repubblica penale nata nel 1992 ma con ogni probabilità pure molto prima, conosce i suoi intoppi.

Tornando a Google, la settimana prossima l’accordo sarà formalizzato esattamente nei termini di cui ha scritto il quotidiano di via Solferino. Ma allora sarà una notizia vecchia. La novità, vera e unica, è il procuratore di Milano che si imbarca nella smentita (tentata) del Corriere (frank cimini)