giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Perdere la libertà per un sorriso su Fb, la killer dell’ombrello punita dalla giustizia morale

L’avvocato Nino Marazzita conferma lo scoop del ‘Corriere’ al telefono: “Sì, è andata proprio così. Le hanno tolto la semilibertà solo perché ha pubblicato una foto in costume al mare sul profilo Facebook”. Nessun divieto specifico del giudice della Sorveglianza a utilizzare i social o ad allontanarsi dal luogo di residenza. E allora, cos’è passato nella testa del giudice che ha revocato a Doina Matei  la misura alternativa al carcere conquistata con la buona condotta dopo otto anni, la metà della pena per avere ucciso una ragazza colpendola con la punta dell’ombrello nella metropolitana di Roma?

Forse per la rumena di 21 anni era previsto il divieto a sorridere finché non finisce di scontare la condanna per omicidio preterintenzionale.  Ma questa è una prescrizione che può essere scritta solo nel codice della giustizia a furor di popolo, non in quello di uno stato di diritto.

Immaginiamo il magistrato sfogliare due giorni fa ‘Il Messaggero’, autore della pubblicazione delle foto di Doina Matei, che aveva deciso di sfuttare un permesso godendosi il primo mare al Lido di Venezia. Ce lo figuriamo travolto dall’indignazione che scorre sui social, al bar. E oppresso dalla sua stessa indignazione di uomo per quella felicità che rinasce e seppellisce ancora una volta il dolore di una famiglia.

Ex baby prostituta, Doina Matei aveva chiesto scusa ai genitori di Vanessa Russo, uccisa da un ombrello dopo una lite in metropolitana:”Ho invocato il perdono, non ho avuto risposta. Tocca a me ora piegarmi a quel silenzio”. In quel silenzio non doveva sorridere, ecco la sua colpa estrema. (manuela d’alessandro)

*In serata, il Ministro Orlando ha spiegato che la concessione della semilibertà era condizionata a un utilizzo limitato del telefono cellulare ed è stata revocata perché l’accesso a Fb consente “di intrattenere rapporti con un numero illimitato di soggetti”. Ribatte l’avvocato Marazzita: “La mia assistita è stata ligia alle prescrizioni che, peraltro, non contemplavano alcun divieto esplicito per i social. Si è limitata a qualche foto postata durante un permesso premio di tre ore. Ne discuteremo in aula e sono certo che la spunteremo”.

*Il 5 maggio il Tribunale di Venezia ha riammesso Doina Matei alla semilibertà stabilendo da questo momento il divieto dell’utilizzo dei social network.

Di Martino e le carriere frenate dei pm che indagarono su Di Pietro

Per protestare contro le correnti, i veti e i controveti dentro la magistratura va in pensione il  pm Roberto Di Martino che rappresenta l’accusa al processo per la presunta frode sportiva del ct Antonio Conte. Ma i “guai” di Di Martino che si è visto rigettare dal Csm sia la richiesta di fare il capo della procura di Bergamo sia quella di diventare avvocato generale dello Stato a Brescia non derivano dal pallone. Bisogna tornare indietro di una ventina di anni quando a Brescia Di Martino indagò su Di Pietro per corruzione in atti giudiziari, il famoso caso di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo entrato e uscito come una meteora da Mani pulite, per ricordare le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali nel teleprocesso a Cusani.

A coordinare l’indagine sul magistrato simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite c’erano con Di Martino, Fabio Salamone, Francesco Piantoni e Silvio Bonfigli. Salamone si era candidato per la procura di Bergamo. Il Csm ha detto di no. Piantoni aveva chiesto di diventare procuratore aggiunto e non ce l’ha fatta. Bonfigli, confinato in procura generale a Brescia dopo anni di “esilio” in organismi internazionali, per sua fortuna non aveva chiesto nulla. E si è risparmiato un niet, perché quell’inchiesta che vedeva il buio dove tutti vedevano la luce con la notte che era scura davvero pesa ancora. Chi tocca i fili muore. Non si poteva mettere in discussione Mani pulite e infatti gli ineffabili gip  bresciani si adeguarono alla ragion di Stato, esemplificata da un comunicato dell’Anm che ai tempi per la prima volta nella sua storia difese l’indagato e non i pm. Ovviamente fu anche l’ultima.

La magistratura non perdona chi canta fuori dal coro. Di Pietro viveva a scrocco degli inquisiti del suo ufficio tra prestiti a babbo morto, telefonini, Mercedes e appartamenti, ma fu prosciolto. La categoria così difese sé stessa, la sua immagine.

Una sorta di legge dell’omertà, che sta nel dna del Csm, come dimostra la recente soluzione della guerra interna alla procura di Milano, dove ha pagato solo l’anello debole Afredo Robledo trasferito a Torino, mentre non ha pagato dazio il capo Bruti Liberati che “dimenticò” per 6 mesi in un cassetto il fascicolo Sea e che dal 16 novembre è tranquillamente in pensione.

Tra meno di un anno ci sarà il 25esimo compleanno di Mani pulite. L’unica celebrazione seria sarebbe quella di mettere al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano una targa con le parole intercettate di Pacini Battaglia: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Parole che furono considerate millanterie dai giudici. In un paese in cui si celebrano processi per molto meno, e a ripetizione persino per un pelo di quella lana. Infatti siamo già praticamente al Ruby quater. Quasi come il caso Moro, insomma.  (frank cimini)

 

Così Tarfusser voleva cambiare la Procura di Milano, ma il Csm lo ha escluso

“Prenderò di petto personalismi, invidie e gelosie”: questo era il programma che Cuno Tarfusser, già procuratore della Repubblica di Bolzano e oggi in servizio al tribunale internazionale dell’Aja, aveva sottoposto al Consiglio superiore della magistratura per sostenere la propria candidatura alla guida della Procura della Repubblica di Milano. Tarfusser non sembra destinato a entrare nel cerchio ristretto dei papabili: tanto che, come scrive oggi il Corriere della Sera, il Csm non lo ha nemmeno invitato alle audizioni che si sono tenute la settimana scorsa per dare modo agli aspiranti di illustrare il proprio programma. *
Dalla lettura del programma di Tarfusser si intuiscono le ragioni che lo hanno tagliato fuori dalla corsa a raccogliere l’eredità di Edmondo Bruti Liberati. Innanzitutto la stringatezza del documento, considerata in ambienti del Csm eccessiva, ai limiti della povertà espositiva e di contenuti. Ma anche, forse, la presa di posizione assai esplicita sulle recenti vicissitudini della Procura milanese che Tarfusser indica senza eufemismi e a cui promette di porre fine in modo che è stato considerato un po’ brusco.
Nel documento, dopo una serie di considerazioni piuttosto generiche sulla complessità organizzativa di un ufficio come la Procura di Milano e di auto-attestazioni sulla propria capacità di gestirlo al meglio, Tarfusser (su carta intestata del tribunale dell’Aja) scrive: “se sono indiscutibili le qualità professionali delle donne e degli uomini che rappresentano la magistratura requirente milanese, altrettanto innegabili sono le questioni e le problematiche, diciamo così, interpersonali e interdisciplinari. Considero assolutamente prioritario, quindi, per il nuovo Procuratore della Repubblica affrontare di petto questo problema. In una Procura della Repubblica deve esistere una vivace dialettica, un continuo e aperto scambio di idee e di informazioni, ma non ci può essere posto per personalismi, invidie, gelosie”. E annuncia che se diventerà il Procuratore sarà un capo “decisionista”, all’insegna del motto  “ubi comoda ibi incomoda”. Tradotto: visto che poi le rogne sono mie, è giusto che sia io a decidere. Anche questo, probabilmente, non ha aiutato la sua corsa verso la Procura milanese. (orsola golgi)

* In serata è arrivata la notizia che il Consiglio ha cercato di porre rimedio alla gaffe invitando in extremis il collega altoatesino a presentarsi in piazza Indipendenza tra martedì e mercoledì prossimo.

Il programma di Tarfusser

 

In 2 anni quadruplicate le domande degli aspiranti rifugiati, Tribunale in crisi

Ci sono cifre che erompono dal Bilancio di Responsabilità Sociale del Tribunale di Milano presentato oggi nell’aula magna del Palazzo di Giustizia.  Riguardano il numero di stranieri che chiedono la qualifica di rifugiato. Un pezzetto del loro percorso di dolore e speranza passa dai giudici civili, competenti a valutare i ricorsi contro il diniego di concedere lo status da parte della comissione territoriale della Prefettura. Il lavoro di quest’ultima, si legge nel documento, “è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi anni con conseguente immediato riflesso sul numero dei ricorsi proposti a seguito dei provvedimenti di diniego: 636 i ricorsi iscritti nel 2014, 1679 nel 2015 (fino a  tutto settembre 2015 sono stati 715, nei mesi di ottobre e dicembre i ricorsi sono aumentati a 964), con ulteriore tendenza all’aumento nel 2016 (in gennaio e febbraio il numero dei ricorsi è stato di 807, con una proiezione per il 2016 di oltre 4000 ricorsi)”. Nel giro di 2 anni, si sono più che quadruplicati. La spiegazione sembra facile: le istanze si impennano in concomitanza con la crisi siriana  e la chiusura delle frontiere da parte dei paesi del’Est Europa.

Una situazione definita “critica” a livello giurisizionale nel Bilancio anche se sono arrivati dei rinforzi per far fronte all’emergenza e “dare una risposta alla domanda di protezione in tempi ragionevoli”: l’applicazione alla sezione prima civile, competente per tale materia, di ulteriori 9 giudici ordinari e 6 onorari e l’applicazione di un giudice extragiudiziale, a fronte dei 3 richiesti dalla Presidenza del Tribunale, per i prossimi 18 mesi”. Basterà?

(manuela d’alessandro)

Il pm Gobbis stravince la gara dei voti per il consiglio giudiziario, voglia di nuovo in Procura?

Alessandro Gobbis di Magistratura Indipendente, unico a sfondare il muro dei cento voti, stravince a sorpresa la gara delle preferenze nelle elezioni al consiglio giudiziario del distretto milanese. Assieme a lui, scelto da 136 votanti, entrano nel ‘piccolo Csm’ locale, i pm Donata Costa di Area (96), Alessandra Cerreti di Unicost (95) ed Eugenio Fusco, sempre di Area (86). A sopresa perché era il pm con meno anzianità di servizio in gara, per questo anche candidato al ruolo clou di segretario destinato di solito al più giovane eletto, e si è dedicato all’avventura politica solo negli ultimi mesi. Voglia di novità in una Procura monopolizzata per tradizione da Md cui apparteneva il procuratore uscente, Edmondo Bruti Libeati, e che vorrebbe piazzare anche il nuovo, Francesco Greco? Tra i grandi sconfitti, il pm del pool reati economici Adriano Scudieri, figura molto attiva in Md.

Certo, a dar conto dei commenti nei corridoi della Procura, nessuno accreditava un simile exploit di preferenze al magistrato 48enne di origini venete, ex carabiniere dal carattere esuberante, titolare anche dell’indagine sull’attacco informatico ad Hacking Team. Magistratura Indipendente, considerata corrente di destra, si aggiudica anche la gara delle preferenze tra i giudici, conquistando le prime tre posizioni col pavese Andrea Balba, Anna Introini (presidente del Tribunale di Como) e Nicola Di Leo (giudice del lavoro a Milano).

Tra le liste, resta il predominio di Area, in lieve flessione Unicost, mentre lievita  Magistatura indipendente nonostante la scissione della deludente, con solo un centianio di voti, Autonomia e Indipendenza,  creata dall’ex Mani Pulite Piercamillo Davigo. Martedì dovrebbe insediarsi il nuovo consiglio giudiziario che raccoglie l’eredità di quello diventato protagonista a Milano negli ultimi anni con interventi decisivi nella ‘guerra’ in Procura tra Bruti Liberati e Alfredo Robledo. (manuela d’alessandro)