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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Fondi Expo, il Comune accusa i magistrati e fa i loro nomi ad Anac

 

Se qualcuno ha truccato la distribuzione dei fondi Expo alla giustizia milanese, quelli sono solo e unicamente i magistrati. E si fanno nomi e cognomi di chi nel Palazzo di Giustizia avrebbe deciso in autonomia, e molto spesso senza gare pubbliche, come assegnare i milioni di euro regalati dall’Esposizione.

La tesi che Palazzo Marino  offre nella sua recente relazione all’Autorità anti corruzione segna un punto di violenta rottura rispetto alla dichiarazione del presidente del Tribunale Roberto Bichi il quale, tre mesi, fa aveva sottolineato che “la stazione appaltante non eravamo noi, bensì il Comune”. Una precisazione arrivata al termine di una drammatica riunione tra giudici seguita al documento in cui Anac, 3 anni dopo l’inchiesta di questo blog  e del ‘Giornale’, individuava 18 appalti illeciti per l’assegnazione di milioni di euro in nome dell’Esposizione Universale.

Spiega Fabrizio Dall’Acqua, da poco segretario generale e responsabile anti corruzione dell’amministrazione comunale: “Il compito del Comune di Milano era di tradurre in atti amministrativi le scelte operate dagli Uffici Giudiziari. In caso di affidamenti diretti, l’individuazione del fornitore è stata fatta dagli Uffici Giudiziari e dal Dgsia (articolazione ministeriale, ndr) che avevano contezza dei rapporti pregressi e delle problematiche tecniche sottostanti”.

Ed eccoli i nomi che il Comune fa in modo esplicito.

Claudio Castelli, attuale Presidente della Corte d’Appello di Brescia e all’epoca presidente facente funzione dei gip e responsabile del Processo Civile Telematico (PCT). E’ lui che in una riunione del 2012, rispondendo alle lamentele della Corte d’Appello che si sente poco coinvolta nelle scelte, puntualizza che le decisioni sui finanziamenti già assegnati “hanno tenuto in considerazione i vari Uffici Giudiziari (…)” e anche per i fondi ancora da distribuire “sono in corso incontri coni i referenti degli Uffici Giudiziari per acquisire un elenco di fabbisogni e priorità”.

Giovanni Canzio, presidente della Corte di Cassazione e all’epoca presidente della Corte d’Appello di Milano e l’allora presidente del Tribunale Livia Pomodoro.

Da una loro lettera del 2012 al sindaco Giuliano Pisapia, si deduce che “fabbisogni, valutazioni e scelte operative sono state eseguite dagli Uffici Giudiziari col contributo di CISIA/DGSIA e che il Comune si è limitato ad adottare i conseguenti provvedimenti amministrativi”.

Canzio viene chiamato in causa anche per un affidamento diretto al Politecnico  relativo a un software di gestione del personale, assieme al consigliere e giudice Laura Tragni. Le mail tra quest’ultima e Castelli riportate nella relazione spiegherebbero, secondo il Comune, anche la scelta di affidare il restyling del sito del Tribunale alla Camera di Commercio sulla base di una convenzione tra i due contraenti.

Infine, anche la nomina contestata da Anac di Giovanni Xilo nel gruppo di lavoro sugli appalti fu avallata da Pomodoro e Castelli che lo presentarono come “consulente degli Uffici Giudiziari” e “non ebbe mai” invece dal Comune “alcun incarico, né formale, né informale”. Xilo in passato intrattenne rapporti economici, come fornitore, con Net Service, una delle società a cui è spettata una bella fetta del ‘tesoro’ di Expo. (manuela d’alessandro)

Relazione del Comune sui Fondi Expo

 

 

17 anni per chiudere un’indagine su uno spaccio all’inizio del millennio

Capita, a inizio stagione giudiziaria, di trovare un avvocato nei corridoi della Procura e, dopo i saluti di rito, chiedergli se abbia qualcosa di interessante. “Nulla di che, sto andando a informarmi su un’inchiesta chiusa dopo 17 anni”, ti risponde come se fosse un’attività di routine.

Un’indagine complessa, non c’è che dire. Un’ottantina di indagati in origine, diversi pm all’opera, venti faldoni di intercettazioni, pedinamenti, ricostruzioni su un maxi spaccio di pasticche di ecstasy avvenuto a Milano all’inizio del nuovo millennio.  Ma 17 anni per arrivare alla chiusura delle indagini notificata a 11 persone  è un tempo che ci appare davvero mostruoso. “La prescrizione non c’è ancora, ci vogliono più di 20 anni”, spiega l’avvocato Mirko Perlino cui la chiusura è stata recapitata in questi giorni, sebbene la data sull’atto, firmato dal pm Francesca Celle, sia 31 marzo 2016. “Forse hanno fatto fatica a individuare i domicili di alcuni degli indagati”, ipotizza il legale. In effetti, 17 anni dopo uno avrà pure cambiato casa.

(manuela d’alessandro)

“L’avvocatessa aveva ragione a sentirsi perseguitata dal giudice”

Erano “fondate” le lamentele di un’avvocatessa milanese sull’atteggiamento “persecutorio” manifestato a suo danno dal giudice Benedetto Simi De Burgis. Lo scrive il giudice di Brescia Vincenzo Nicolazzo nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione pronunciata a gennaio nei confronti della legale accusata dal magistrato di calunnnia. De Burgis aveva querelato l’avvocatessa perché lei lo aveva accusato di avere pronunciato frasi “offensive, denigratorie e umilianti” durante alcune procedure in cui era stata curatrice “finalizzate a farle togliere gli incarichi e diffamarla”.

Dalle motivazioni si scopre che, tra le altre cose, De Burgis, nelle sue vesti di giudice tutelare, si sarebbe rivolto in modo offensivo verso l’avvocatessa sostenendo che si era intascata una liquidazione troppo alta nell’ambito di una procedura da lui ritenuta “priva di specifica complessità” perché la persona sottoposta a tutela era “sufficientemente autonoma”. L’avvocatessa ha invece spiegato che la sua assistita era affetta dal morbo di Alzheimer in un contesto di “condizioni familiari critiche”. E ancora:  De Burgis avrebbe mostrato poco rispetto per la legale accusandola, nelle sue vesti di amministratore di sostegno”, di “depauperare” la sua assistita.  Ma anche qui la presunta calunniatrice ha risposto in modo puntuale alle critiche. In un altro caso ancora, l’aveva tacciata di essersi trattenuta illecitamente 5mila euro nell’ambito di una curatela, accusa anche questa vanificata da tutti i chiarimenti del caso.

Per spiegare l’assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’, il giudice Nicolazzi ricorda che il reato di calunnia c’è quando il calunniatore “abbia la certezza dell’innocenza” della vittima. “Non si vede – scrive il magistrato – come si possa affermare che l’imputata fosse convinta  dell’innocenza dell’incolpato, emergendo, al contrario, non solo la sua buona fede, ma altresì la fondatezza delle sue doglianze “.

La vicenda penale deriva da una disciplinare, chiusa con un provvedimento definitivo di ‘censura’ da parte della Corte di Cassazione a carico del magistrato per avere tenuto “un tono irridente e allusivo” nei confronti della curatrice. Il legale aveva fatto scattare il procedimento disciplinare lamentadosi col presidente della sezione in cui lavora De Burgis del contenuto di alcuni scritti, da lei ritenuti offensivi, e lui aveva ribattuto denunciandola per calunnia.  Nel suo ricorso alla Cassazione, dopo una prima censura del Csm, il giudice si era difeso sostenendo che la donna avesse “specifici motivi di astio” contro di lui.

(manuela d’alessandro)

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“Evaso per mangiare la pizza”. E il giudice lo lascia libero.

Mesi di prigione per una decina di rapine. Finalmente il suo avvocato Glauco Gasperini riesce a fargli concedere  i domiciliari. E il ragazzo che fa?

Dieci giorni dopo evade. In un modo bizzarro, è vero, ma tanto basta per fargli rischiare di tornare dentro. Così riecco il giovane senegalese davanti a un giudice. Con una giustificazione che strappa un sorriso a tutti: “Mia madre cucina proprio da schifo, ero sceso solo a prendermi un trancio di pizza”. E uno spot per lo ius soli. “Io ormai sono del tutto italiano e la cucina senegalese non mi piace più”.

Il giudice Guido Salvini, a cui lo spirito non manca, ribatte: “La prossima volta ordinala con una consegna a domicilio”. E decide di non applicare nessuna misura (peraltro non chiesta nemmeno dal rappresentante dell’accusa) rinviando la causa a ottobre per vedere come si comporta. Gustizia umana, direbbe Fantozzi.

(manuela d’alessandro)

Fondi Expo Giustizia, le mail che inchiodano il Comune di Milano

Eccole le decine di mail acquisite dalla Guardia di Finanza a Palazzo Marino che dimostrano le irregolarità nella gestione di almeno 10 milioni di fondi Expo per la giustizia. Sono quelle a  cui fa riferimento l’Anac nel provvedimento notificato venerdì scorso al Comune e al Dgsia, la struttura per gli appalti informatici del Ministero della Giustizia.

Al punto 6 di un lungo e dettagliato elenco di appalti sospetti, si spiega il ruolo avuto dal ‘Gruppo di Lavoro per l’Infrastrutturazione informatica degli Uffici di Milano’, di cui facevano parte rappresenti del Comune, il Minisitero della Giustizia e i vertici degli uffici giudiziari.  L’analisi della corrispondenza elettronica interna a questo Gruppo svela che, con circa tre mesi di anticipo rispetto alla delibera di Giunta sulla prima tranche di finanziamenti (nel settembre 2010), i giochi erano già fatti. Cioé  i partecipanti al tavolo, ciascuno in base alle proprie competenze, avevano già deciso di affidare il ‘tesoro’ di Expo senza gare pubbliche alle società Elsag Datamat e Net Service. A loro vennero garantiti ricchi contratti molto prima di capire di cosa avessero bisogno gli uffici giudiziari. E dopo, solo dopo, si trovarono le motivazioni per affidare questi lavori  alle due società, poi fuse in una sola, e in orbita Finmeccanica.

Su 72 procedimenti analizzati, sono 25 quelli che Anac considera viziati. Dei 16 milioni spesi tra il 2010 e il 2015, sono stati messi a gara solo poco meno di 6 milioni. Il resto sarebbe stato distribuito con affidamenti diretti immotivati, in nome dell’unicità del fornitore, della continuità con gli appalti precedenti e della sicurezza. Una parte della relazione di Anac riguarda anche la segnaletica interna al Palazzo e il simbolo di questa storia, i monitor appesi ovunque e mai entrati in funzione. Oltre che il ruolo della Camera di Commercio, beneficiari di lavori delicati come il restyling del sito del Tribunale, senza apparenti valide ragioni.  L’Anac chiama in causa le amministrazioni guidate da Letizia Moratti e da Giuliano Pisapia, mentre sull’accertamento delle responsabilità dei magistrati dovrebbe intervenire la Procura la cui inchiesta, aperta contro ignoti, per ora non da’ segni evidenti di vita. (manuela d’alessandro)