giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Bichi ai giudici, “errori fatali” e “atti dispersi” per il crac del processo digitale

“Allo stato non sembra possa escludersi l’eventualita’ di ‘atti dispersi‘”, “si sta lavorando per il recupero degli errori fatali”.

Una forza cieca e malevola accompagna il Processo Civile Telematico che vive l’ennesima empasse  perché dal 15 settembre, come spiega il presidente del Tribunale Roberto Bichi in una lettera mandata ai giudici, si sono verificati “gravi malfunzionamenti” nell’invio e nella ricezione degli atti.

Quasi apocalittiche le conclusioni: “Allo stato sembra non possa escludersi l’eventualità di atti dispersi” e “si pone il problema dell’individuazione della data di deposito per gli atti inviati dagli avvocati e rimasti in situzione di non conoscibilità da parte delle cancellerie e del giudice”.

Di fronte a questa “situazione”, “tutti noi siamo chiamati ad una valutazione prudente e che agevoli, anche sotto il profilo del valido recupero processuale, la
ricostruzione della serie degli atti processuali, là dove siano
proposte istanze di remissione in termini o comunque volte a
sanare la situazione, giacché l’inadempimento non può  certo
essere imputato alla parte”. E meno male. Il processo civile telematico del resto la comunità l’ha già pagato abbastanza, con i milioni di fondi Expo investiti per agevolare il primato milanese sulla via del digitale.  Con modalità all’attenzione dell’Anac e di due Procure (Milano e Venezia) dopo le inchieste di Giustiziami, del ‘Giornale’ e del ‘Fatto’ tre anni fa.

(manuela d’alessandro)

Fondi Expo per il processo telematico, Milano sconfitta in Europa

Milano battistrada nazionale del Processo Civile Telematico, Milano che a luglio faceva sapere a mezzo stampa di essersi candidata alla prestigiosa ‘Bilancia di cristallo della giustizia’, il riconoscimento del Consiglio d’Europa alla pratiche innovative che contribuiscono all’efficienza e qualità della giustizia.

Ma poi, vuoi mettere: con tutti i milioni elargiti nel nome di Expo proprio per realizzare il sogno di un processo ‘leggero’, senza straziare foreste, come si poteva non vincere?

E invece. E’ di oggi la notizia che ad aggiudicarsi la ‘Bilancia’ è il Tribunale di Catania scelto per il progetto che punta a migliorare i tempi delle procedure reative ai ricorsi dei migranti che si sono visti rifiutare la protezione  internazionale dalle Commissioni Territoriali. La proposta etnea è stata selezionata assieme ad altre provenienti dall’Azerbaijan, Bulgaria e Norvegia, scelte tra 37 candidature arrivate da 18 Paesi.

Un dubbio: e se ai giurati l’idea di consegnare una ‘Bilancia di cristallo’ a un Tribunale che ha assegnato i fondi Expo in modo così opaco, tanto da ‘meritarsi’ gli strali dell’Anac e due inchieste penali, sia apparsa un po’ comica?

(manuela d’alessandro)

La nuova mappa del potere in Procura, gli aggiunti scelti dal Csm

Cambia la mappa del potere a Milano con 6 procuratori aggiunti nuovi di zecca chiamati a sostituire Francesco Greco, Pietro Forno, Alfredo Robledo, Maurizio Romanelli e Ilda Boccassini che per vari motivi hanno lasciato o lasceranno a breve il loro posto a capo dei dipartimenti.

Dopo mesi di trattative tormentate, dalla votazione della quinta Commissione del Csm, quella che si occupa degli incarichi direttivi, vengono fuori 5 nomi già sicuri del posto: due con l’unanimità, Maria Letizia Mannella e Tiziana Siciliano più Fabio De Pasquale, Eugenio Fusco e Alessandra Dolci con 5 voti. Entreranno al Plenum come ‘generali’ e tali ne usciranno. A parte Mannella, sostenuta dalla corrente moderata Unicost, gli altri sono tutti esponenti di Area, formazione di sinistra. 

Sarà bagarre invece sul sesto nome perché l’attuale pg Nunzia Ciaravolo e il pm Laura Pedio hanno preso 3 voti a testa. Sembra leggermente favorita la prima, che nel curriculum ha esperienza in Kosovo per l’Onu, e dovrebbe contare sui voti di Unicost, Magistratura Indipendente e di alcuni consiglieri laici, oltre alla preferenza del presidente della Cassazione Giovanni Canzio, col quale è stata a lunga nel consiglio giudiziario milanese. Pedio è sostenuta da Area e dal procuratore capo Francesco Greco che le ha affidato diverse inchieste economiche di rilievo. (manuela d’alessandro)

Il giudice lascia l’aula alla bimba per conoscere il papà presunto torturatore

L’esperto giudice Giovanna Ichino ne ha viste tante ma un processo così mai. Osman Matammud, 22 anni, somalo, viene accusato di avere sequestrato centinaia di connazionali in un campo da lui gestito in Libia, ucciso quattro persone e stuprato decine di donne. Oggi, chiamata dalla difesa, è venuta a deporre la moglie dell’imputato che vive a Roma e non lo vede da anni. Con sé ha una bimba coi codini di 4 anni. Mentre la mamma testimonia per due ore davanti alla Corte d’Assise, la piccola passa il tempo disegnando in una stanza adiacente.

Alla fine dell’udienza, il legale di Matammud, l’avvocato Gianni Rossi, chiede al presidente Ichino se è possibile un breve saluto dalla gabbia dove siede il suo assistito tra Matammud, la moglie e quella bimba che è la figlia del ragazzo e lui non ha mai visto prima d’ora. Il magistrato si spinge oltre con un gesto definito dall’avvocato Rossi “di grandissima umanità”. Va via dall’aula assieme agli altri giudici disponendo che le sbarre si aprano. La bimba può così abbracciare e riempire di baci per la prima volta il suo papà. Per lei l’uomo  indicato dalla legge come un presunto aguzzino e che per il suo avvocato è la vittima innocente di un conflitto tra clan è solo il papà di cui la mamma le ha parlato per tanto tempo.  Dieci minuti tra gli sguardi inteneriti di tutti i presenti in un’aula di Tribunale illuminata da una presenza infantile, come mai accade (i minori non possono entrare). La gabbia si chiude ma un agente della polizia penitenziaria vedendo la bambina esitare ad andarsene decide di spalancarla per l’ultima volta:”Dai, vai a salutare il tuo papà”. E lei corre.  (manuela d’alessandro)

 

 

Perché un avvocato difende anche uno stupratore

L’avvocato che non deve difendere. Nulla di nuovo sotto il sole (ma sarebbe più giusto dire nuvole) se il peggior becerume nostrano si è scagliato in questi giorni contro un avvocato di Lugo, reo di prestare la propria opera professionale a un imputato di omissione di soccorso stradale. O se una collega romana ha ritenuto di doverci pubblicamente spiegare che ha accettato di difendere uno dei due carabinieri accusati di stupro solo perché ne avrebbe letto negli occhi la di lui innocenza.

Quante volte infatti, anche in contesti più ‘evoluti’, ci viene richiesto con dissimulata malizia: “Come fai a difendere un assassino ?”. O uno stupratore o un mafioso o un pedofilo o anche, perché no? un bancarottiere o un politico corrotto e persino un truffatore, aggiungo: il codice penale è ricco, come la vita, di figure delinquenziali.

Si ha un bel dire che i paesi civili si distinguono da quelli ove vige la legge del taglione proprio perché esiste il diritto, il processo e quindi anche gli avvocati difensori. O che assistere tecnicamente un imputato affinché vengano rispettate le regole sancite da quella stessa legge che sarebbe stata da lui violata è un principio tutelato anche dalla nostra tanto amata Costituzione, oltre che dal mero buon senso, eppure nulla da fare. Difendere il ‘mostro’ equivale, per i benpensanti di risulta, a contribuire al suo crimine garantendogli impunità, e pertanto non resta che confidare nei bravi e onesti magistrati che non si fanno buggerare dall’azzeccagarbugli prezzolato di turno. Ai quali invece a nessuno verrebbe in mente di chiedere, con altrettanta malizia e tra un tramezzino e l’altro di una serata mondana, “Ma come fai a sbattere in una gabbia per tutta la vita un essere umano ?”. Eppure il mestiere dell’avvocato dovrebbe essere considerato non si dice nobile, anche se un tempo pare lo fosse, ma almeno utile perché consiste semplicemente nel vigilare che venga applicata la legge che regola il processo accertativo di un fatto, anche perché, come disse anni fa qualcuno ben più bravo di me: “il codice penale è scritto per i colpevoli e quello di procedura per gli innocenti”.

Una sentenza giusta è una sentenza che ha applicato la legge, e quella legge prevede che il verdetto sia la conclusione di un iter che indica tra le parti necessarie anche l’avvocato, altrimenti è una sentenza sbagliata che non vale nulla. E’ un controsenso dire che non si difendono i colpevoli di un certo reato, anche perché difendere non significa solo sostenere contro ogni logica l’innocenza del proprio assistito, ma far sì che venga condannato alla pena giusta. E se al termine del processo le prove a suo carico si sono rivelate insufficienti, la sentenza giusta è quella che lo assolve e non quella che lo condanna nel dubbio per tacitare la voglia di forca, e bene ha fatto l’avvocato a impegnarsi perché non avvenisse ciò. A questo servono gli avvocati, che per definizione si occupano di fatti accaduti “ad altri” e non certo a loro, e mi piace ricordare come rispose una simpatica e brava avvocata a un cliente che le diceva che con il suo mestiere ne avrebbe ‘viste’ di tutti i colori: “Abbia pazienza, ne sento, non ne vedo…”. Ma il diritto non piace più, piace la legalità intesa nel suo peggiore degli ossimori, esultando quando una gabbia si chiude e gridando allo scandalo quando si apre, al punto che sono stati coniati neologismi imbecilli tipo “garantista”, per definire un giudice che rispetta la legge.

Perché è legittimo non esserlo? Assistiamo a leggi assurde sulla prescrizione trasformata da secolare baluardo di diritto a mero escamotage da contrastare. Però detto questo, diciamoci la verità colleghi, è anche colpa nostra se da anni vige intorno a noi questa pessima fama. Da quanto tempo abbiamo consentito che anche nei Tribunali il nostro ruolo venisse pesantemente sminuito se non considerato d’intralcio alla giusta prevenzione e repressione del male “in nome del popolo italiano”? Da quanto tempo anche tra noi il legale apprezzato è solo quello che collabora col magistrato e coi media, altrimenti viene ritenuto un fastidioso rompiscatole se non in taluni casi addirittura un connivente? E allora, se non serviamo a nulla e finiamo con il partecipare quali convitati di pietra ad un gigantesco teatrino, sol per comperarci la casa o fare le vacanze al mare con la famigliola e la bella macchina, fanno bene tutti gli altri a considerarci degli inutili impicci alla tanto agognata legalità, e ad additarci come mercenari del crimine.

avvocato Davide Steccanella